-di GIANMARIO MOCERA-
Quando si parla di capitale umano e capitale sociale, spesso, si rischia di imbattersi in una dialettica molto ampia e articolata. Quindi, in questo contesto, per capitale umano e sociale s’intende il presupposto, la precondizione, la capacità di una nazione di creare i presupposti per costruire e rafforzare il sapere: il capitale degli uomini.
Le nazioni innovative, quelle più consolidate, ma anche quelle emergenti, hanno scommesso molto sul capitale umano investendo sull’istruzione e la formazione, molti stati hanno utilizzato proficuamente gli incentivi dell’Unione Europea, creando un tessuto vivo e attivo sulla formazione continua, sulla riqualificazione professionale.
Se guardiamo al nord dell’Europa, possiamo osservare anche come un piccolo paese come l’Estonia sia riuscito a creare le condizioni per uno sviluppo delle conoscenze degli individui in termini generali; certo stiamo parlando di una nazione ancora giovane e molto piccola, tuttavia questa condizione non è stata certo un ostacolo, anzi è stato uno sprone importante; un paese sostanzialmente povero, privo d’industrie di peso e con un territorio generalmente poco abitato è riuscito a generare iniziative che hanno inciso positivamente sui cittadini. Se oggi facciamo conferenze video in tutto il mondo, lo dobbiamo a SKIPE che è stato sviluppato in Estonia.
Capitale umano preparato scientificamente ha trovato le condizioni sociali per creare innovazione, reddito e un miglioramento considerevole delle condizioni di vita degli estoni.
Il capitale umano è la continua crescita del sapere dell’uomo attraverso l’insegnamento formale e non formale; tutti i livelli dell’istruzione, fino all’università fanno parte di un percorso “istituzionale” dell’apprendimento; più alto è il livello scolastico medio delle nazioni, più alto è il livello di libertà e di autodeterminazione degli individui, e non solo perché sono evidenti i miglioramenti sulla salute e le attese di vita.
L’apprendimento non formale, quello degli istituti tecnici, degli stage, della formazione professionale possono rappresentare un’importante copertura alle attività complessive del sistema; possono dare opportunità sociali d’inserimento nel mondo del lavoro a donne e uomini con una forte base culturale, tecnica e scientifica. In altri termini è il salto di qualità e per certi versi la nuova frontiera sul quale le politiche di sviluppo sociale devono rapidamente cimentarsi.
Purtroppo da qualche anno assistiamo ad un fenomeno che considera l’emigrazione come un’opportunità; quando nel tuo paese la tua professionalità, le tue capacità non trovano sbocco occupazionale, vengono meno quelle condizioni essenziali per mettere in campo il capitale umano, un capitale che hai costruito con il tuo sacrificio, ma anche grazie allo sforzo dello Stato, che ti ha dato un’università, un percorso di ottima qualità media.
Quando manca il capitale sociale da mettere in campo, si deprimono le prospettive d’inserimento sociale; allora si va via, in Inghilterra piuttosto che negli Stati Uniti, in Canada, ovunque ci siano le possibilità di lavoro, di quel lavoro per lo svolgimento del quale tanto hai studiato e investito.
Abbiamo un livello d’istruzione superiore rispetto al passato, quando i nostri nonni emigravano verso altri paesi, quando l’80% della popolazione era pressoché analfabeta; la nostra posizione sociale era a un livello molto basso e i nostri nonni non ambivano a diventare banchieri o medici, non c’erano le condizioni per farlo. Oggi, le giovani donne e i giovani uomini che escono dalle nostre università ed emigrano, fortunatamente, competono con altri coetanei che provengono dalle più prestigiose e blasonate università, è cambiato lo scenario, non solo uomini politici di origini italiane, ma anche scienziati e manager di grande successo. Italiane e gli italiani che hanno sviluppato sistemi innovativi fuori dai nostri confini: il fenomeno della fuga dei cervelli è la conferma di un modello realizzato solo per metà.
Capitale umano e capitale sociale sono la faccia della stessa medaglia, la cartina di tornasole, un misuratore della coesione sociale e culturale di una nazione: una buona preparazione deve coincidere con necessarie opportunità di lavoro, altrimenti il capitale umano si disperde e si deprime in rivoli pseudo occupazionali che aumentano frustrazione e non danno alcuna opportunità d’inserimento sociale.
La precarizzazione dei giovani, la difficoltà di un inserimento nel mondo del lavoro svilisce tutti gli sforzi fatti per accrescere il capitale umano, creando un fertile terreno per la depressione dello stesso capitale.
Il grido di dolore lanciato dal ricercatore italiano, in giro per il mondo e che fortunatamente ce l’ha fatta, è il grido di dolore di una persona che vorrebbe ritornare nel suo paese: chiede solo che gli vengano offerte le stesse opportunità sociali che gli hanno permesso avere successo in un altro paese. Vorrebbe ripetere il “miracolo” in Italia. Ma ci sono le condizioni? C’è un capitale sociale a disposizione?
Una nazione come la nostra, attanagliata da una crisi decennale dell’economia, sta reagendo con molta lentezza alla sfida.
La stagnazione dei consumi sono l’evidenza di una crisi latente; la difficoltà a trovare una collocazione lavorativa nel settore privato se non attraverso la porta stretta della precarietà, è un limite; ed è un limite uno stato che fa assume con modalità da novecento. Tutto questo non favorisce lo sviluppo del capitale sociale.
Le previsioni economiche del prossimo futuro segnalano un costante aumento del capitale umano ma una progressiva difficoltà sul fronte del capitale sociale, cioè all’altezza dell’offerta, che sarà sempre più impegnativa e competente.
E’ una grande sfida quella che già stiamo vivendo e quella che ci attende, abbiamo bisogno di politiche economiche di forte indirizzo formativo, formale e non formale, c’è bisogno di uno stato programmatore e riformatore, che sappia fare della funzione pubblica anche un motore dello sviluppo. Sanità, scuola, ricerca e università, trasporti, infrastrutture, non manca certo il materiale su cui lavorare. Uno stato innovatore e all’altezza delle necessità ha il dovere di cimentarsi con questi temi, ha l’obbligo di cercare soluzioni e di stimolare in maniera positiva l’economia. Solo cosi capitale umano e capitale sociale possono migliorare la condizione di libertà degli individui. In assenza, la depressione economica e motivazionale rischia solo di aumentare.
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