Cresce la fiducia ma la politica resta lontana

 

-di SANDRO ROAZZI-

Cresce la fiducia delle famiglie e delle imprese. Certificato Istat. Il calo precedente solo un incidente di percorso? Bisogna avere cautela in questi casi, la direzione dell’economia è ancora incerta ed il passo poco spedito. Quest’ultimo aspetto viene sottolineato dalla Corti dei Conti, autorevole ma sempre poco ascoltata, che segnala come la nostra crescita viaggia su ritmi inferiori ad altri Paesi e per giunta le distanze paiono allargarsi invece che restringersi .

La Corte non perde occasione per ricordare che non solo il debito pubblico resta molto, troppo, ingombrante ma che anche gli sbandierati effetti della spending review governativa sono meno eclatanti di quel che appare. Certo la Consip “avrebbe” carburato, inciampi esclusi, ma le innumerevoli…eccezioni ne limitano l’efficacia. In tutto questo scenario le responsabilità politiche non possono non essere prevalenti, senza nome come al solito ma presenti ed invasive.

Che la ripresa ci sia non è contestabile: ma con risvolti negativi che vengono aggirati dalla indifferenza politica. In primo luogo l’Inail ricorda che nel primo trimestre del 2017 gli infortuni sul lavoro sono aumentati di quasi sei punti. E’ l’inesorabile corollario alla ripartenza dell’economia che si ripresenta puntualmente, almeno fino a quando la sicurezza sul lavoro non sarà più considerata un freno alla attività economica.
In secondo luogo emerge sempre più con evidenza che la crescita torna ad accompagnarsi ad una elevata precarietà del lavoro, Anche in assenza di politiche attive del lavoro degne di questo nome e di investimenti a lungo termine. Che servirebbero in particolare nel settore delle costruzioni che sta rialzando la testa ma sempre con una intonazione negativa per quanto riguarda l’occupazione (senza dimenticare che la recessione ha cancellato 600 mila posti di lavoro).
Da non trascurare due fenomeni che si intrecciano sempre più strettamente con l’economia reale: la corruzione denunciata dalla Corte dei Conti e l’infiltrazione delle organizzazioni criminali al nord in modo permanente e assai pericoloso.
Al di là delle norme in vigore e degli scandali raccontati dai media, quello che appare macroscopico è la mancanza di una reazione politica e sociale ampia e di spessore. Non cè certo necessità di altri folkloristici… girotondi, tanto i protagonisti di allora sono in… pensione, ma certo servirebbe una mobilitazione delle coscienze assai più forte e pronunciata di quel che si vede.

Questi fenomeni rallentano l’economia, aumentano la disgregazione sociale e le ingiustizie, avvelenato la competizione economica. E se si alimentano senza freni lo si deve anche a terribili errori del passato. Intanto il motore della opposizione alle mafie sono stati i corpi intermedi nel passato. Irridere al loro ruolo ha ridotto anche questa capacità di reazione e ne ha limitato, anche il raggio di azione. Parlo di sindacati, ma anche di realtà imprenditoriali impegnate nella lotta al pizzo ed all’usura.
Inoltre si è affermata per ragioni “sfuggenti” una logica di impunità della seconda Repubblica al cui riparo hanno prosperano il malaffare ed una ulteriore decadenza del costume politico.

In terzo luogo il disfacimento dei partiti, la fine di una formazione alla politica e la negazione spesso arrogante della opportunità di una dialettica sui valori e sui contenuti fra destra e sinistra ha peggiorato le cose. Fino al paradosso che i contenuti su questa antica contrapposizione fanno parte del lessico coraggioso e puntuale dell’attuale Papa.

Ed ancora la distanza fra politica incapace di progettare, rassicurare e concentrare l’attenzione sui problemi generali, e la popolazione a partire da quella giovanile ha avuto fra i suoi effetti nefasti anche un abbassamento del grado di tensione civile.
Per non parlare infine di errori specifici come quello della Lega, novella Don Ferrante manzoniana che negava la peste in una Milano devastata dalla pestilenza, che si è rifiutata per troppo tempo di ammettere che la ‘ndrangheta sapeva parlare anche lumbard e non solo. Trincerandosi in un imbelle “Roma ladrona”.
Ma questo scenario diviene ancor più intricato se si dà retta alle previsioni sul futuro del capitalismo, con i suoi intrecci con la finanza e le tecnologie, i rischi di maggiore emarginazione e sfruttamento, l’indistinguibilità dei centri reali di potere. Chi è più prossimo a tutto questo? Il malaffare o la politica? Forse varrebbe la pena di ragionare anche di questi temi che potrebbero far parte di quel richiamo veltroniano alla “perdita di identità” di cui soffre uno dei maggiori partiti italiani, ovvero il Pd. Una notazione sterile se non si ricostruiscono i passaggi che l’hanno determinata e se non si sa guardare avanti. Ma questa è una riflessione che non esclude nessuno, anche chi si muove su logiche… antisistema. Senza di essa i guai saranno economici, ma le responsabilità politiche.

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