-di EDOARDO CRISAFULLI-
Annotiamocelo tutti, sarà utile per il manuale del cittadino europeo modello, perfettamente integrato nel sistema: non è più sufficiente che i musulmani – i leader religiosi, i predicatori, gli imam, gli ulema e i semplici credenti – rigettino a chiare lettere il terrorismo jihadista. Non basta neppure che isolino e caccino dalle loro comunità gli estremisti violenti. Eh no, troppo poco! Ora che finalmente le autorità religiose islamiche (tra cui il grande Imam dell’Università cairota di Al Azhar, una delle massime autorità sunnite) condannano gli atti terroristici di matrice islamica, i nostri intellettuali benpensanti alzano l’asticella.
Che si estirpi dall’opinione pubblica araba nientedimeno che il vittimismo, figlio di un viziaccio: quello di incolpare l’Occidente di ogni magagna. Questa è la formula magica che farà materializzare un “Islam moderato”. Ne è convinto Ernesto Galli Della Loggia: “Dietro il terrorismo islamista è facile scorgere un vasto retroterra di opinione pubblica mussulmana – presente anche in Europa che certamente condanna le imprese dei terroristi ma che oscuramente ne subisce una certa fascinazione perché, magari inconsapevolmente, ne condivide alla fine un sentimento di fondo: cioè una radicata avversione antioccidentale.” (“L’Islam moderato non fiorirà mai in un Medio Oriente senza storia”, Corriere della Sera, 10 giugno 2017; sottolineature mie). Ah, è facile… ma davvero? Quale metodo sociologico rivoluzionario avvalora questa ardita tesi? Quali sofisticate indagini sociologiche la sostanziano? Della Loggia predilige, qui, un metodo divinatorio, sul genere di quello degli aruspici, che esclude il ricorso a campioni più o meno rappresentativi dell’opinione pubblica sotto esame (questo sì che non sarebbe facile: i musulmani sono oltre un miliardo). Ciò che conta è l’intuito del grande intellettuale. Credetegli, milioni di musulmani sono attratti dal terrorismo in maniera oscura, senza esserne peraltro consapevoli. Non chiedete verifiche o prove falsificabili, mica c’è un procedimento empirico-scientifico per sondare i moti della coscienza altrui.
Sì, certo, i musulmani hanno il dovere politico/morale di combattere il fanatismo ideologico-religioso che prorompe dalle loro società. Non ho mai pensato che un (fantomatico) Occidente omogeneo, tutto d’un pezzo, fosse corresponsabile del terrorismo di matrice islamica, che è autoctono. Un fatto è innegabile però: le politiche guerrafondaie di alcuni governi occidentali, condotte in nome della più spregiudicata Realpolitik, hanno giocato un ruolo non indifferente nel marasma mediorientale. Chi ha finanziato, armato e financo addestrato certi gruppi jihadisti, che ora hanno il vento in poppa? E chi ha guadagnato soldi a palate dal commercio delle armi in Medioriente? Non mi risulta che un singolo paese arabo-islamico abbia la nostra capacità di produrre armamenti sofisticati…
In altre parole: la fiammella del fanatismo l’hanno accesa in loco, ma c’è chi, in Occidente, ha soffiato a pieni polmoni sul focherello fino a trasformarlo in un incendio devastante. Questo lo ha ammesso obtorto collo anche Tony Blair, un leader tutt’altro che rivoluzionario e anti-occidentale, ammirato dai conservatori: la guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein, motivata da inesistenti armi di distruzione di massa, è stata la madre delle sciagure attuali nel Medioriente. Detto ciò vi pregherei di non arruolarmi fra coloro che, oppressi da un senso di colpa paralizzante, incentivano il morboso vittimismo arabo. Concedetemi anche una provocazione. Noi cristiani occidentali – praticanti o ‘sociologici’, cioè tali per nascita – pretendiamo dai musulmani ciò che noi probabilmente non faremmo al posto loro. Siamo un po’ ipocriti, oppure difettiamo in empatia: i panni degli altri ci stanno troppo larghi o troppo stretti. Quanti di noi condannerebbero senza esitazioni e senza distinguo un ipotetico terrorismo ‘cristiano’ reattivo, di rivalsa, se vivessimo sotto dittatura e le nostre città venissero bombardate da nazioni islamiche, popolate cioè in prevalenza da musulmani, guidate da leader fautori della dottrina della guerra preventiva (a fin di bene, naturalmente)?
Intendiamoci: l’ideologia nichilistica è il primo vettore del terrorismo. La lotta contro la patologia terroristica dev’essere anzitutto culturale. Le persone moralmente integre sanno che nessun atto criminale ne giustifica un altro. E quelle raziocinanti sanno che la violenza è un metodo fallimentare sul piano politico: genera solo altra violenza. Ma tale consapevolezza richiede un distacco critico che non è da tutti. È così anche per la meditazione o lo yoga: riesci a praticarla con più naturalezza se la tua prospettiva immediata è quella di poter sorseggiare un bel prosecco ai Parioli; se sei costantemente nel mirino o vivi in una baraccopoli o sei un rifugiato, direi che è necessario qualche sforzo in più. L’opera pedagogica contro le perversioni mentali è velleitaria fintanto che i cannoni sparano. Un definitivo cessate il fuoco: questo sì che favorirebbe lucidità e serenità mentale. In altre parole: il terrorismo è come un virus latente, portatore di un’aggressività congenita. Si riattiva, causando infezioni o patologie, quando il controllo immunitario è debole. In questo momento il Medioriente ha un sistema immunitario impazzito.
Soffermiamoci sul vittimismo arabo, che impedirebbe la svolta radiosa verso un Islam modernista. Non c’è che dire, una bella categoria sfuggente, il vittimismo! Applicarla a milioni di individui è come voler agguantare un’anguilla a mani nude. E qui si potrebbe aprire un discorso infinito sulle vittime ignorate e su quelle esaltate. Ogni fazione ha le sue vittime di riferimento; il primato della sofferenza è molto conteso perché conquistarlo significa rafforzare rivendicazioni politiche molto attuali. Attenti all’uso spregiudicatamente politico della storia, che è tutto a favore dei revanscismi (o degli opportunismi) e a scapito dello spirito critico. Parlare degli italiani infoibati dai partigiani titini, finché il Pci era egemone, equivaleva (a torto, ovviamente) a schierarsi con i fascisti; sollevare il discorso dopo il crollo del comunismo è stato un atto dovuto, ma ha avuto il sapore della rivalsa. Ricordare i crimini contro l’umanità commessi dai fascisti durante la ‘riconquista della Libia’, per la destra italiana, era propaganda comunista; ricordarli oggi è rendere giustizia – ma troppo tardivamente – alle vittime, e quindi rimane l’amaro in bocca.
Il nostro solerte difensore dell’Occidente cristiano senza macchia sorvola tutte queste considerazione, e ci insegna una tecnica infallibile per sradicare il vittimismo: che si (ri)studi la storia secondo i dettami politically correct dei conservatori. Il libro di Bensoussan, Les juifs du monde arabe sfaterebbe il mito alimentato (e inventato di sana pianta) dalla sinistra terzomondista secondo cui gli ebrei un tempo convivevano felicemente con gli arabi. Eh no, il mondo arabo non è mai stato, neppure in un lontano passato, quell’eden su cui noi ingenui filo-islamici fantastichiamo. Bizzarro, questo modo di argomentare. Nessun intellettuale di sinistra consapevole della complessità delle vicende umane idealizza l’Islam o i musulmani. Abbiamo semplicemente reagito alla demonizzazione della civiltà arabo-islamica, leitmotiv degli ultimi successi di Oriana Fallaci. Ci siamo indignati per ragioni quasi più scientifiche che politiche: neppure uno studente liceale oserebbe dire che l’intera civiltà arabo-islamica è un coacervo di infamie e brutture, una civiltà nemica e ostile, nonché una sostanziale nullità culturale. Lo stesso discorso, ovviamente, vale per l’Occidente cristiano, che non è mai esistito come entità monolitica interamente ‘buona’ o interamente ‘cattiva’: cristiani erano i Guelfi e i Ghibellini, Dante e Bonifacio VIII, i re di Francia e d’Inghilterra, i banchieri e i lanzichenecchi, gli inquisitori e San Francesco, i Borgia e i principi illuminati degli innumerevoli staterelli europei, i colonialisti/massacratori spagnoli in America Latina e i missionari nell’Africa affamata, Matteotti e Mussolini, Churchill e Hitler. Mi scusi, il lettore: a compendiare 2000 anni di storia si banalizza. Ma chi è senza peccato…
Senonché tutto quel che abbiamo studiato all’università e negli anni successivi sarebbe propaganda di intellettuali radical-chic, corrosi da un malsano sentimento anti-occidentale. Riveliamola, la verità nascosta: nelle terre arabo-islamiche “il pregiudizio antigiudaico” è sempre stato ben “più vasto e pervasivo di quello diffuso nel mondo cristiano.” Questa è quella che gli inglesi chiamano una sweeping generalisation, e non corrisponde affatto alla verità storica. È certamente vero che ebrei e cristiani furono discriminati o perseguitati da alcuni musulmani, in certi momenti storici (e infatti bisognerebbe specificare: chi perseguitò, quando, dove, come e perché), anche se nel complesso ebbero una posizione privilegiata rispetto ad altre minoranze religiose nell’Islam. Ciò non toglie che i cristiani odiassero (e quindi maltrattassero) gli ebrei assai più dei musulmani. Questo è un fatto notorio. Hans Küng, straordinario intellettuale e fine teologo cristiano (beninteso: progressista!) scrive così in Ebraismo: “Sotto l’Islam gli ebrei si sono trovati meglio che sotto il dominio del Cristianesimo, dell’Impero romano e romano-germanico dal momento che nell’impero mondiale islamico, per la minoranza ebraica, nonostante tutte le restrizioni, esisteva una base giuridica per tutti con diritti sicuri.” Fornisco solo l’episodio più eclatante dell’antisemitismo cristiano in epoca moderna, una sorta di macabro ‘assaggio’ di quella follia omicida che a secoli di distanza sfocerà nella shoah. Nel XV secolo gli ebrei spagnoli (200-300.000 circa) se la passavano mediamente alquanto meglio dei loro compatrioti cristiani (dai 5 ai 17 milioni). Ma la patria, a quel tempo, poteva essere solo una Res Publica Christiana, governata da re o imperatori cristiani e regolata da una “shariah” cristiana. Tirare in ballo, col senno dei contemporanei, la tassa che gli ebrei e i cristiani nel mondo islamico erano costretti a pagare, è molto scorretto. Tale tassa, per quanto discriminatoria, tutelava la loro libertà di culto. I sovrani spagnoli non si accontentarono di tassare le minoranze: da un certo momento in poi, imposero conversioni forzate a tutti gli ebrei del regno, seguendo l’esempio di altri regnanti cristiani europei del tempo. Nel 1492 l’Inquisizione spagnola ordinò perentoriamente agli ebrei: o vi convertite all’unica vera religione, la nostra, o verrete cacciati dalla Spagna. Centinaia di migliaia di ebrei spagnoli – i coriacei che rifiutarono di abiurare il credo dei loro avi – furono processati, torturati ed infine espulsi per sempre da quella che era da secoli la loro terra. Espropriati di ogni loro avere, fuggirono in gran parte nell’Africa del Nord. Speravano che non sarebbero finiti dalla pentola nella brace. E così fu: nei paesi islamici che li accolsero non trovarono il paradiso, ma neppure l’inferno che Galli della Loggia dipinge. Infatti lì ci rimasero per secoli e si mescolarono con gli arabi, pur mantenendo la loro identità religiosa (gli ebrei sefarditi si chiamano così perché Sefarad, in ebraico, vuol dire Spagna. Sono, appunto, gli ebrei di origine araba che in Israele si sono ‘ricongiunti’ con gli ebrei ashkenaziti, quelli di origine europea). I loro discendenti ebbero quindi la fortuna di scampare al genocidio ebraico fortemente voluto dal cattolico Adolf Hitler.