Macron annichilisce le opposizioni (soprattutto i socialisti)

 

La Francia ha regalato un vero e proprio plebiscito a quello che appare sempre di più la prima creatura politica costruita in laboratorio: La Republique En Marche. Alla fine di questa tornata elettorale, cioè dopo il prossimo turno di ballottaggio, il movimento messo insieme da Emmanuel Macron con l’aiuto di amici banchieri e possenti poteri finanziari, potrebbe ritrovarsi con una maggioranza parlamentare bulgara, tra i 415 e i 445 seggi. Ha vinto il neo-presidente ma in la partita che si è svolta in un clima segnato dall’indifferenza, con un astensionismo-record (50,2 per cento, la più alta della quinta Repubblica), segno evidente di stanchezza e di incertezza. Macron non ha solo fatto il pieno: ha anche fatto il vuoto. Ha soprattutto cancellato il “sogno” di Marine Le Pen (e questa non è certo una brutta notizia). Fino a qualche mese fa, la figlia di Jean Marie era accreditata di un bacino elettorale che oscillava tra il 25 e il 28 per cento. Ebbene, secondo le proiezioni non andrebbe oltre il 13,1, cioè 19 punti e mezzo in meno di En Marche dato al 32,6. Il Front National è stato “svuotato” da Macron. Ma ancora di più dai Repubblicani che seppur privi di un leader “unitario” avrebbero comunque tenuto raggranellando un 20,9 per cento dei consensi che tradotto in seggi garantiscono 80-100 parlamentari. Marine, invece, se le va bene avrà quattro rappresentanti, se va male soltanto uno. In sostanza non potrà formare un gruppo parlamentare.

E la sinistra? Non va bene. Nemmeno a Mélenchon che nelle legislative non è riuscito a replicare il buon risultato delle presidenziali. Le proiezioni gli attribuiscono un 11 per cento che, per i meccanismi elettorali francesi, si trasformerebbe in 10-20 seggi, addirittura meno dei 30-35 che potrebbero conquistare i socialisti con un consenso più contenuto (9 per cento).

Mette tristezza il risultato socialista, vittima della campagna-acquisti di Macron, di una presidenza Hollande disastrosa più che semplicemente deludente, di una linea politica incerta, piena di contraddizioni e troppo ispirata nelle scelte di governo alle politiche liberiste (la Loi Travail che Macron annuncia i peggiorare). Il Psf è stato il partito di Francois Mitterrand, di Francois Rocard, di Jacques Delors; ha una storia, una tradizione e ancora un radicamento. Ma deve ritrovare una identità perché questo mesto crepuscolo nasce proprio dall’indefinitezza della sua collocazione, della sua immagine, delle sue opzioni strategiche. Una indefinitezza che l’ha allontanato dal suo elettorato che non lo ha trovato più riconoscibile e si è disperso in mille rivoli alcuni dei quali hanno alimentato addirittura anche il Front National. Il segretario del Psf, Jean-Christophe Cambadelis nell’ammettere la sconfitta non ha usato mezzi termini definendola “senza precedenti” e sollevando un problema che era stato posto già durante la campagna elettorale ma che non ha impressionato e condizionato l’elettorato: la cancellazione dell’opposizione a causa di una maggioranza fin troppo ampia. Non una gran notizia per la democrazia.

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