Vendita Ilva: Calenda deve “vedere” i rilanci

 

A proposito della vendita dell’Ilva e del rilancio attuato dalla cordata ora composta da Jindal e da Leonardo Del Vecchio, il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, dice: “È chiaro, hanno paura che un industriale innovativo, che ha cura dell’ambiente, che ha presentato un piano di decarbonizzazione rilevante, che mantiene alti i livelli di occupazione, scompagini le lobby del carbone che probabilmente temono che una riconversione produttiva dell’ Ilva scardini questo assurdo monopolio di una sostanza dannosa che viene utilizzata in maniera impropria. Mi auguro che questo disegno salti… Dal punto di vista giuridico noi pensiamo che un rilancio sia possibile”.

Il governo ha tra le mani una grande “patata bollente” e se si valutano gli ultimi interventi del ministero dello sviluppo economico (Alitalia, ad esempio) non si può certo essere fiduciosi. Ma qui non sono solo in ballo posti di lavoro; qui sono in ballo due principi costituzionali (il diritto al lavoro e al reddito e quello alla salute) e una comunità intera (quella tarantina) devastata in questi anni dalle polveri e dai fumi dello stabilimento siderurgico. Di questa devastazione porta la responsabilità lo Stato (quindi anche questo governo) che del più grande centro siderurgico d’Europa prima è stato proprietario e poi lo ha messo nelle inaffidabili mani della famiglia Riva: sarebbe veramente grave se Carlo Calenda commettesse dopo vent’anni lo stesso errore facendo la scelta meno opportuna.

Ecco perché ha ragione il presidente della regione Puglia che istituzionalmente è più vicino alle comunità colpite e ne conosce speranze, attese e anche rabbie (fondatissime). Così come sarebbe un tragico errore se in questa partita non fossero coinvolti ben oltre la contrattazione sui numeri degli esuberi, i sindacati, se non si cercassero strade nuove, originali per la gestione delle fasi di crisi attraverso un vero coinvolgimento dei lavoratori, costruendo soluzioni-pilota che siano da esempio per l’oggi e soprattutto per il domani perché alla persone non si può solo presentare il conto chiedendo cambiali in bianco che né la politica né la classe imprenditoriale italiana hanno dimostrato di saper e di poter onorare (e il verbo richiama direttamente l’Onore, cioè la capacità di tener fede ai patti senza sotterfugi, senza levantine furbizie).

I commissari hanno indicato la propria preferenza per la proposta Arcelor Mittal-Marcegaglia. I motivi di questa scelta erano da ricercarsi nell’offerta economica più alta rispetto a quella dei concorrenti, la cordata Acciaitalia, cioè Jindal-Del Vecchio con il contorno di Cassa Depoisiti e prestiti e Arvedi che hanno deciso di abbandonare la partita. Ora Jindal-Del Vecchio hanno ritoccato la loro offerta economica migliorando addirittura quella dei concorrenti; hanno presentato una proposta più interessante dal punto di vista occupazionale (limitando di molto gli esuberi) e decisamente più innovativa e credibile da quello dell’adeguamento ambientale dell’impianto e, dunque, della salute della comunità.

Sarebbe stato bello se in campo ci fossero stati solo imprenditori italiani perché la presenza di stranieri sollecita pessimi ricordi: nessuno può escludere che si ripeta la storia dell’Alcoa, che i due colossi che si contendono la siderurgia italiana “ammazzino” un concorrente appropriandosi del kow how per poi darsi a gambe levate. È allora evidente che la valutazione va fatta tenendo presente l’affidabilità, le garanzie e la robustezza dei partner italiani presenti nelle due cordate.

Certo, Marcegaglia ha esperienza nel settore (a Taranto, però, non li ricordano certo con piacere visto l’epilogo della loro avventura nei pannelli solari) ma che Del Vecchio sia il miglior “campione” dell’imprenditoria italiana, l’unico capace di internazionalizzarsi a livelli altissimi, di sperimentare all’interno delle sue aziende metodi di gestione innovativi, moderni, avendo a disposizione una “potenza di fuoco” economico-finanziaria testimoniata da tutte le classifiche mondiali di super-ricchi stilate dalle riviste specializzate (a cominciare da Forbes), è un dato di fatto. Sarebbe miope in una situazione di emergenza appigliarsi alla sacralità delle regole in un paese in cui non si rispettano nemmeno quelle più elementari del codice della strada. La posta in questo caso è troppo alta per rinunciare all’ispirazione creativa del momento.

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

One thought on “Vendita Ilva: Calenda deve “vedere” i rilanci

  1. *In altre parole, la futura Ilva di proprietà di Arcelor Mittal e Marcegaglia non potrebbe produrre più di 6 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, ovvero circa la metà delle 12 tonnellate potenzialmente alla portata del gruppo e molto meno rispetto ai 9,5 milioni di tonnellate promessi nell’offerta della cordata Am Investco Italy.* Tutto dipende dalle già enormi dimensioni del gruppo Arcelor-Mittal. Dimensioni tanto notevoli da rendere la Commissione Europea, incaricata dalla vigilanza su possibili violazioni delle regole sulla concorrenza, a dare il semaforo verde a un incremento della produzione per gli stabilimenti Ilva al di là delle attuali 6 milioni di tonnellate. L’Italia è libera di scegliere a chi aggiudicare l’impianto, ma se Roma decidesse di accettare l’ultima controfferta formulata da parte di AcciaItalia, gruppo più ridotto e meno pericoloso per la concorrenza, per Bruxelles sarebbe più facile consentire a tempo debito un incremento della produzione dell’Ilva oltre i 6-7 mln di tonnellate. Una partita molto delicata, dunque, per il governo e per il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda che se da’ l’aggiudicazione alla prima cordata si deve dimettere con De Vincenti che dice di procedere in fretta. Intanto si è appena conclusa l’assemblea dei lavoratori Ilva a Genova Cornigliano, durata poco più di un’ora. I siderurgici sono usciti in corteo dallo stabilimento per dirigersi verso la Prefettura. Gli operai sono in mobilitazione oggi contro le migliaia di esuberi previsti dal piano industriale e i rischi occupazionali per i dipendenti dello stabilimento di Cornigliano.

    dr.Pier Luigi Caffese

Rispondi