Quando Falcone disse: “Si muore perché si è soli”

 

-di GIULIA CLARIZIA-

Palermo. La città intera è in strada. Quando le telecamere dei giornalisti attraversano la folla, la gente grida ancora più forte affinché la sua voce di rabbia e frustrazione arrivi il più lontano possibile:“Vergogna”, “Hanno dimostrato che lo stato non è con noi”; “Io sto con i magistrati onesti”.

Gli “onesti”, quelli che hanno sfidato la mafia e l’ingiustizia in una guerra ad armi impari. Tra questi Giovanni Falcone, di cui venticinque anni fa si celebravano i funerali, insieme a quelli di sua moglie e dei tre agenti della scorta uccisi con lui.

Combattere nel quadro della legalità quando il tuo nemico usa le bombe è già di per sé un atto di coraggio.

Ma ancora più difficile è proseguire le proprie battaglie quando da parte degli stessi alleati (in teoria) vengono innalzati degli ostacoli. Falcone ha affrontato anche questo. Candidatosi senza successo al ruolo di Consigliere istruttore della procura di Palermo, entrò in aperto contrasto con il nuovo Consigliere Antonino Meli. Egli infatti smantellò il metodo di indagine portato avanti da Falcone e dal Pool Antimafia, arrivando allo scioglimento di quest’ultimo. Intanto, il numero delle vittime di Cosa Nostra cresceva.

L’estate del 1989 è emblematica nel mostrare come Falcone fosse attaccato da più fronti: il fallito attentato di Addaura da un lato, la vicenda del “corvo” dall’altro. Quest’ultima dimostra quanto malsano fosse diventato l’ambiente all’interno del quale Falcone ed i suoi colleghi continuavano a svolgere a testa alta il proprio lavoro.

Infatti, cinque lettere anonime, alcune scritte su carta intestata della Criminalpol, furono inviate ad alti rappresentanti delle istituzioni, tra cui il Presidente della Repubblica e l’Alto Commissario per la Lotta Antimafia. Queste diffamavano il lavoro di Falcone e dei suoi colleghi accusandoli di aver liberato il pentito Salvatore Contorno per “scatenarlo” per fini privati. La voce di corridoio che iniziò a circolare era che dietro quelle lettere ci fosse un “corvo”, un magistrato, un collega.

In seguito alle indagini sulle impronte digitali e sulla calligrafia fu accusato di diffamazione il giudice Girolamo Alberto Di Pisa, prima condannato dal Tribunale di Caltanissetta e poi assolto in appello quattro anni dopo.

Di chiunque fosse la mano, resta l’idea di un Falcone costantemente sotto accusa, come dimostreranno gli attacchi da parte di alcuni esponenti del mondo politico per avere accettato la carica di dirigente della sezione Affari Penali del ministero di Grazia e Giustizia.

Esito di queste accuse, che Falcone definì “eresie”, sarà la convocazione davanti al CSM in seguito all’esposto di Leoluca Orlando. Oggi, la documentazione di questi episodi è a portata di mano dei cittadini. Infatti per il venticinquesimo anniversario della morte di Falcone, il CSM ha deciso di rendere pubblici i documenti che lo riguardano, prima conservati nel caveau di sicurezza del Palazzo dei Marescialli.

Di fronte alla stessa istituzione, in occasione della scorsa commemorazione della strage, la sorella Maria Falcone ha impietrito l’uditorio dichiarando una verità che va molto al di là della retorica che ci si attende in queste occasioni: proprio in quell’aula“Giovanni cominciò a morire”, tradito da chi ha scelto di ostacolarlo ed umiliarlo. È facile eroicizzare i morti e perdere il contatto con la realtà, ma come ha voluto sottolineare il cognato Alberto Morvillo, sono stati in molti a volerlo infamare e nessuno ha avuto il coraggio di dire di aver sbagliato.

Senza mai fermarsi, Falcone nell’ultimo periodo della sua vita ha agito non con la paura, ma con la certezza della morte. In un’intervista rilasciata qualche tempo prima a Marcelle Padovani Falcone disse: “Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.

In questi giorni di compianto sta a noi cittadini scegliere come affrontare la storia e il presente. Possiamo limitarci a ricordare uomini come Falcone postando sui social qualche citazione, oppure possiamo chiederci se non sia una banalizzazione vedere nella mafia che fa saltare in aria i ponti l’unico nemico da temere o combattere.

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