Prendendo sul serio la crescita dell’eurozona

 

-di JIM O’NEILL-*

Contrariamente alle credenze popolari, la crescita mondiale non è stata così deludente in questo decennio. Dal 2010 al 2016, la produzione globale è salita a un tasso annuale medio del 3,4%, secondo quanto affermato dal Fondo Monetario Internazionale. Tale valore potrebbe essere inferiore rispetto alla media del 2000-2010, ma è maggiore del tasso di crescita degli anni ’80 e ’90, decenni che solitamente non sono considerati deludenti da un punto di vista economico.

Un calo della performance di paesi particolari offre ulteriori spunti di riflessione. Nonostante i significativi traumi politici, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno realizzato buoni risultati secondo le attese. Anche Cina, India e Giappone hanno assistito a una crescita vicina al loro potenziale. Caso abbastanza raro, nessuna economia principale ha registrato una performance sensibilmente migliore rispetto al suo potenziale.

Tuttavia tre economie hanno deluso ampiamente: Brasile, Russia ed Eurozona. Ciò significa che molti osservatori, compreso me, hanno sopravvalutato il potenziale di queste economie? Bisogna domandarsi se, contrariamente alle aspettative predominanti, nuovi sviluppi o cambiamenti in una o in tutte e tre le economie potrebbero sorprenderci positivamente per il resto del decennio.

Quando si tratta dell’Eurozona, abbracciare l’idea che la crescita economica possa essere sul punto di decollare, può essere abbastanza per essere spedito da uno specialista di malattie mentali. Ma, nella mia vecchia vita, avrei incoraggiato i miei analisti a passare più tempo prendendo in considerazione questa possibilità, perché, nella remota possibilità che questa folle affermazione fosse vera, la gente avrebbe guadagnato soldi veri nei mercati di oggi.

E, infatti, la prospettiva di una ripresa della crescita nell’Eurozona potrebbe essere solo in parte una follia. Ciclicamente, l’Eurozona sta andando bene sia in relazione ai suoi standard che a quelli degli altri. Nel primo trimestre dell’anno, l’Eurozona è cresciuta molto più di Usa e Regno Unito, e la maggior parte dei paesi più grandi della zona euro ha mostrato una crescita relativa più forte.

Tuttavia, le previsioni strutturali a lungo termine dell’Eurozona non ispirano fiducia. Le prospettive dei due elementi chiave della crescita a lungo termine, le dimensioni e la crescita della popolazione attiva e la produttività sembrano deprimenti per i maggiori paesi dell’Eurozona, anche per la Germania, l’unica economia che, come riconoscono in molti, sotto una prospettiva ciclica, sta andando bene.

Ma se possiamo usare ancora quella strana nozione di un aumento imprevisto della crescita dell’eurozona cosa succede se qualcosa cambia significativamente fino a rafforzare questi driver di crescita? Con tutti quei rifugiati (molti di loro giovani) che continuano a riversarsi in Europa dalle zone turbolente del Medio Oriente e dell’Africa, ciò non può essere una prospettiva totalmente fantasiosa.

Naturalmente, sfruttare il potenziale offerto dai rifugiati significa assimilarli alle società ed economie europee, una sfida che ha giustamente preoccupato molti europei. Tuttavia, se quel bisogno venisse soddisfatto, certamente ridurrebbe la crescente sfida demografica dell’Europa, soprattutto in Germania e in Italia.

C’è anche la possibilità che nuovi sviluppi porteranno a un approccio politico più costruttivo. La maggior parte delle situazioni fiscali dei membri dell’Eurozona hanno assistito a considerevoli, eppure spesso passati inosservati, miglioramenti negli ultimi anni al punto che il deficit fiscale di tutta l’Eurozona è ora inferiore al 3% del Pil, molto meglio degli Usa e del Regno Unito.

Inoltre, aumentare il numero delle ricevute fiscali in alcune parti dell’Eurozona, soprattutto in Germania, ha fatto salire in modo quasi imbarazzante i surplus fiscali. Potrebbe essere ora il momento di fare pressioni per un ambizioso sforzo di stimolo franco-tedesco?

Se il nuovo presidente francese, Emmanuel Macron, riesce a ottenere un sostegno sufficiente nell’Assemblea nazionale nelle elezioni di giugno, forse potrebbe fare qualcosa per ridurre la spesa pubblica strutturale della Francia, pur perseguendo tagli fiscali e migliorando la flessibilità del mercato del lavoro. La riforma del mercato del lavoro, in particolare, potrebbe essere cruciale, non solo per la Francia stessa, ma anche per convincere la cancelliera tedesca Angela Merkel, se sarà confermata a settembre, ad andare verso una maggiore integrazione fiscale, compresa la creazione di un ministro delle Finanze dell’Eurozona, sostenuta da Macron.

Gran parte di ciò probabilmente risulta improbabile, ma lo era molto di più fino a pochi mesi fa. E, tenuto conto delle valutazioni del mercato, è molto più interessante esplorare tali possibilità, piuttosto che concentrarsi su molte delle altre questioni alle quali gli analisti guardano in modo ossessivo.

Guardando le cose in prospettiva futura, si potrebbe anche sognare una situazione ottimistica per la bilancia commerciale del Regno Unito, con un tasso di cambio molto competitivo che migliori notevolmente la domanda nel suo principale mercato, l’Eurozona. Ciò potrebbe compensare le sfide che sorgono dalla fine dell’accesso al mercato unico. Con quest’ultimo colpo, il paese si ritroverà a corto di idee. Ma non si sa mai.

 

*Già presidente di Goldman Sachs Asset Management e segretario al Commercio presso il Tesoro del Regno Unito, professore onorario di Economia all’Università di Manchester.

Sintesi da Project Syndicate Institute, 16 Maggio 2017

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