Il commento dell’ormai tremebondo capo del governo, Binali Yildirim, appare quasi caratterizzato da una vena di non voluta ironia: “Questa è una nuova pagina nella storia della nostra democrazia, il risultato verrà usato per garantire la pace e la stabilità della Turchia”. Se i mezzi sono quelli utilizzati per “riportare l’ordine” dopo il sempre più misterioso golpe dello scorso anno, molti turchi devono cominciare a preoccuparsi. Perché ai suoi connazionali Recep Tayyip Erdogan può raccontare quel che vuole (e in tantissimi non gli crederanno) ma agli occhi del mondo nel referendum costituzionale con il quale si è assicurato la presidenza a vita (ha 63 anni, resterà sulla poltrona di presidente che si arricchirà con la funzione di capo dell’esecutivo come si conviene in una Repubblica presidenziale, sino agli 80 cioè sino al 2034) ha solo perduto la faccia.
Dopo il golpe ha avviato un giro di vite con il quale ha provato a far fuori un pezzo dell’opposizione; ha messo il bavaglio alla stampa; ha intimidito il mondo accademico; ha condizionato la magistratura; con la scusa del golpe ha reso difficilmente utilizzabili i luoghi pubblici ai suoi oppositori nel corso di questa campagna elettorale; ha gestito con i suoi uomini l’organizzazione della consultazione in un paese in cui le garanzie democratiche sono già state profondamente manomesse; ha fatto praticamente da solo campagna elettorale occupando i muri delle città con i suoi manifesti e quelle dei media con le sue manifestazioni. Aveva insomma creato le condizioni per un plebiscito. Ha vinto con il 51,2 per cento, spaccando il paese, aggrappandosi all’Anatolia profonda, più tradizionale e anche arcaica.
Le grandi città dove comunque continua a soffiare il vento della modernità, gli hanno voltato le spalle: da Istanbul ad Ankara a Smirne dove batte ancora forte nonostante la repressione di Erdogan il “cuore laico” sabotato dall’attuale presidente, i no hanno raggiunto il 70 per cento. Nonostante il tentativo di imbavagliare l’opposizione, il rifiuto della riforma costituzionale ha coagulato il 48,8 per cento con i partiti contrari a Erdogan che, probabilmente a ragione, denunciano brogli e parlano di una manipolazione che tocca il 3, 4 per cento dei consensi, di due milioni e mezzo di schede “problematiche”. Lui, Erdogan, dirà di aver vinto (già lo dicono i suoi zelanti portavoce di governo), di essere il padrone del paese in spregio alle regole della democrazia. Ma in queste condizioni rischia di essere solo un pericoloso padroncino da operetta.