In calo il costo delle pensioni sul Pil (11,3%)

L’incidenza sul Pil della spesa per le pensioni è in calo: 11,3 per cento, con una netta inversione di tendenza rispetto al periodo che aveva raggiunto il suo culmine tra il 2004 e il 2014 (11,8). Il dato può contribuire a sviluppare intorno al sistema (che, peraltro, paga una contabilità che non ha precedenti in Europa, a cominciare dal fatto che la spesa viene calcolata al lordo delle tasse e non come avviene altrove, al netto. Ma non solo) una riflessione meno isterica soprattutto zittendo i paladini dello smantellamento tout court.

Anche perché la realtà italiana non è fatta di “pensioni d’oro”, o di gente che cumulando più pensioni riesce a raggiungere elevati livelli di reddito, ma in larga misura di persone che vivono nella normalità. Anzi, molto al di sotto della normalità (cioè la linea della sopravvivenza). Perché è evidente che ci sono ben pochi sprechi se il 63,1 per cento, cioè diciotto milioni di assegni non sfondano il “tetto” (a dir il vero piuttosto basso) dei 750 euro. Così come coloro che si stracciano le vesti per il fatto che non si favorisce un sufficiente turn over per aprire ai giovani il mondo lavorativo (ma vorremmo ricordare che l’avvicendamento quasi mai in questi anni ha portato al “pareggio del bilancio”, cioè non è quasi mai accaduto che per dieci che uscivano dieci ne entravano), dovranno valutare con maggiore attenzione i dati sulla disoccupazione che vedono gli over 50 sempre più presenti: è l’inevitabile conseguenza del fatto che andare prima in pensione con assegni già miseri è un pessimo affare (non è un caso i pensionamenti anticipati siano calati del 46,4 per cento). Insomma, i dati invitano a ragionare sulle cose con maggiore equilibrio e semmai uscendo dalla retorica da campagna elettorale.

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