Ora abbiamo capito perché in Italia i giovani non trovano lavoro: è tutta colpa della crisi del calcio, del fatto che pur essendo ancora lo sport più popolare ormai molti ragazzi preferiscono altre discipline sportive. In fondo è questa la spiegazione scientifica fornita dal principale esperto di questioni occupazionali del nostro Paese: Giuliano Poletti, ministro del lavoro. In un incontro a Bologna con un gruppo di studenti, ha affermato: “Il rapporto di lavoro è prima di tutto un rapporto di fiducia. È per questo che lo si trova di più giocando a calcetto che mandando curriculum”. Pensa un po’ che imbecilli quei ragazzi che si sono sforzati di prendere un paio di lauree, qualche master in giro per il mondo, un dottorato. Avrebbero potuto risolvere tutto da bambini frequentando una bella scuola-calcio e poi, invece di iscriversi alla Normale di Pisa, assicurandosi una bella tessera di socio presso uno di quei circoli del tennis in cui si mescolano racchette e pallone in versione dimezzata (cinque invece di undici) rispetto a quello classico. Improvvisamente, pur senza particolari conoscenze e competenze, riceveranno un posto da direttore generale o, nel migliore dei casi, da amministratore delegato. Insomma, un bel palleggio e la carriera è assicurata. Perché lì, sul campo di calcetto si crea il rapporto di fiducia che poi, anche nella versione edulcorata di Poletti, sembra avere molto a che fare col clientelismo, il familismo o, peggio ancora, con la dimostrazione fattiva di una disponibilità futura e illimitata all’obbedienza e al servilismo “qualità” estremamente apprezzata tra i datori di lavoro. In fondo Poletti non ha detto una bugia. Ha semplicemente svelato, da manager, la sua vecchia e più profonda anima.