-di SANDRO ROAZZI-
Stranezze d’Italia: l’avvio del 2017 sul versante della produzione industriale non è positivo, ma l’attenzione dei media e del Palazzo è certamente assai più viva nei riguardi delle prossime nomine dei pochi grandi gruppi industriali che il Governo varerà.
Si dice che il dato negativo della produzione industriale era scontato. In realtà fa parte di quel procedere altalenante della nostra economia che in assenza di strategie economiche chiare non può che farla da padrone.
Il Ministro dell’Economia (giustamente peraltro) si scaglia contro l’eventualità di un Italexit; il governatore di Bankitalia esprime le sue preoccupazioni sulle incertezze politiche che non possono non avere conseguenze sull’economia reale. Tutto bene, ma al di là della solita solfa delle riforme da fare non si va. Eppure la possibilità per l’Italia di restare nel gruppo di testa di un’Europa che vuole andare avanti tenendo testa ai populismi ed al declino della sua identità, passa anche dalla capacità di garantire prospettive di sviluppo al nostro sistema produttivo.
In questo senso il “pentimento” nei confronti dei numerosi cedimenti verso un liberismo che ha finito per distruggere opportunità e creare maggiori diseguaglianze, ha riaperto la strada ad una riflessione sul ruolo dello Stato in economia. Con compiti che vanno dal governare i processi innovativi, a quelli di favorire la creazione di nuova occupazione, a quella di avvicinare fra loro i vari settori produttivi per creare integrazioni fino a ieri impensabili, come quelle che hanno un terreno comune nelle tematiche ambientali.
Ma la coerenza non abita qui. Perché quando poi si chiede quali saranno le strategie del ministero dell’Economia o di Palazzo Chigi ci si imbatte in affermazioni che ancora una volta sanno di breve periodo. Si pensi al ventilato scambio fra aumento dell’Iva e riduzione del costo del lavoro. Una prospettiva che ha scatenato molte proteste ma tutte preoccupate della conseguenza sui consumi, nessuna finora che invece abbia segnalato la inutilità di tale scambio che già in passato ha deluso e finirebbe per disperdere ancora risorse.
Le risorse utilizzabili invece potrebbero assai più utilmente essere spese per determinare quel colpo di reni della nostra economia che non si vede.
Pensiamo alla messa in sicurezza del territorio, oppure a scelte necessarie come quelle in materia energetica. Invece i salotti fremono per le ormai prossime nomine presidenziali dei grandi gruppi: dall’Enel all’Eni, a Finmeccanica e via di questo passo. Senza uno straccio di ragionamento che metta insieme i criteri di scelta dei candidati ed i progetti, o per lo meno le… intenzioni, che dovranno fare da piattaforma per le attività future dei giganti economici nei quali ancora lo Stato esercita una certa influenza.
Un cambio di passo in questa direzione potrebbe esercitare un condizionamento positivo anche sui comportamenti del nostro intero apparato produttivo? Probabilmente sì perché andrebbe nella direzione di offrire certezze sul futuro a tutti i competitori del sistema industriale italiano. Viceversa si discetta sul calo dei beni durevoli, del settore finora trainante dell’auto; si ammonisce sul fatto di non tirare precipitose conclusioni, si fa anche… spallucce. Ma porsi il problema di aprire un confronto vero sul domani del nostro apparato industriale, senza appassionarsi troppo ai soliti noti da incoronare, non è cosa. Ed i ritardi aumentano.