– di ANTONIO MAGLIE-
Inaugurando Go Beyond, il corso di formazione organizzato dalla Uil, dalla Fondazione Pietro Nenni, dalla Feps e dal Forum dei giovani, Massimo D’Alema, al centro dell’interesse generale per le questioni che accompagnano il dibattito interno del Pd (“scissione o non scissione), ha sciorinato una serie di dati che illustrano la tragica condizione dei giovani italiani vittime di un paio di decenni di politiche contrarie ai loro interessi (prendiamo la cosa come un atto di contrizione dello stesso oratore che pure è stato presidente del consiglio seppur per un tempo non lunghissimo). La freddezza dei numeri può essere spietata ma da questa spietatezza, purtroppo non si può sfuggire. In Europa siamo tra gli ultimi a livello di tassi occupazionali, siamo ultimi nell’alta formazione (cioè la percentuale di laureati), siamo fanalino di coda tra i giovani sulla soglia dei trent’anni costretti a rimanere a casa per mancanza di lavoro (o sua inadeguatezza salariale) e di reddito.
Loro, i giovani, sono vittime di politiche per l’occupazione incentrate non sull’aumento degli investimenti e, quindi, dei posti di lavoro (in maniera stabile) ma su facilitazioni contributive e fiscali garantite agli imprenditori ai quali in sostanza è stato dato un riconoscimento non per il fatto di non aver investito in questi anni di crisi, ma di non averlo fatto nei dieci anni precedenti al fallimento di Lehman Brothers intenti com’erano a trasferire quote consistenti degli utili sulle rendite finanziarie (e, quindi, parassitarie); di riforme della scuola e dell’università, da quella della indimenticabile Gelmini alla Buona Scuola renziana che di buono ha solo l’aggettivo, che hanno avuto l’unico effetto di impoverire l’istituzione; di una politica formativa basata sulle mance elettorali (i famosi cinquecento euro) ma non su un rilancio e una valorizzazione reale del diritto allo studio; di una legislazione sul lavoro che ha solo tolto garanzie aggiungendo precarietà (esistenziale prima ancora che occupazionale); di scelte che hanno bloccato l’ascensore sociale inaridendo progressivamente il concetto di giustizia e coesione sociale. Una condizione disperata e disperante illustrata con parole semplici da papa Francesco nel corso della visita all’università RomaTre: “”La liquidità dell’economia toglie la concretezza alla cultura del lavoro, i giovani non sanno cosa fare, perché se non trovo che faccio? Girano, li sfruttano qui, tre giorni là e non trovano, alla fine l’amarezza del cuore porta alle dipendenze; le dipendenze hanno una radice, o mi porta al suicidio, o mi porta da un’altra parte e mi arruolo in un esercito terroristico, almeno ho qualcosa da fare e do senso alla mia vita”.
Negli anni in cui esplodevano i contratti flessibili, si parlò di “non garantiti”. Ma ora la definizione veramente non è più sufficiente. D’altro canto siamo il Paese che meglio può essere rappresentato da una nota battuta di cabaret: quando tocchiamo il fondo, cominciamo a scavare. Abbiamo scavato, con impegno e straordinari risultati. Dalla generazione dei “non garantiti” siamo passati a quella degli “esclusi”.