-di FRANCESCA VIAN-
Lo stato voleva, dopo tanti anni da ‘Lettera a un professoressa’, ‘fare le parti uguali fra disuguali’. In un contesto serio: cioè all’esame di stato. Se il disabile, a scuola, fosse in grado di sostenere prove eguali a quelle degli altri studenti, sarebbe diversamente abile? No. Sarebbe ‘egualmente abile’.
Sconcertante la scivolata del Ministero che proponeva uno schema di decreto in cui gli studenti disabili avrebbero conseguito la licenza dell’esame di stato conclusivo del primo ciclo (prima chiamato esame di Terza media), solo se fossero stati in grado di superare ‘prove equipollenti a quelle ordinarie’. Poiché ‘equipollente’ significa di ‘uguale efficacia’, il ministero ci proponeva la seguente tautologia: Sostengano i disabili pure prove diverse, ma sostanzialmente uguali, e allora avranno la licenza. Ma non sarebbero diversamente abili, se fossero egualmente abili!
Fortunatamente, l’Italia è insorta, non essendo disponibile a tornare così tanto indietro sulle conquiste civili. Ieri, dunque, il ministro Valeria Fedeli ha fatto marcia indietro, garantendo a tutti che non sarà messo in discussione il riferimento alla ben più solida legge 104 del 1992, cioè che le prove d’esame saranno calibrate sul Piano educativo individualizzato di ogni studente.
La ‘scivolata’ avrebbe negato, d’un colpo, tutti i presupposti su cui si fonda la scuola, dall’articolo tre della Costituzione in poi: era impossibile non ripensarci.
Non ci sono solo i diversamente abili all’esame. Dal 29 maggio 2015, anche gli studenti con bisogni educativi speciali (normati dal ministro Profumo nel 2012) fanno un esame di fatto diverso. Pur avendo le stesse prove, esse sono valutate diversamente, possono avvalersi di mezzi compensativi, cioè che portano al peso degli altri, chi sul piatto della bilancia non pesa a sufficienza. Dovrebbero eguagliare di fatto ciò che nella realtà delle cose è disuguale, considerato un ampio spettro di differenze: lingua madre diversa, malattia psicologica o fisica, distanza dovuta a qualsiasi causa.
Dunque l’esame è diverso per ciascuno studente, poiché ‘è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli’, non ‘fare le parti uguali fra disuguali’ (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa).
A fronte di una legislazione tanto fiera, in cui nel percorso di crescita della gioventù l’eguaglianza stretta non esiste (quella la lasciamo alle macchine in serie), non è dunque possibile ‘equipollèntare’ i disabili. Non vi è, in chi ha fatto la scivolata, la consapevolezza di cos’è la scuola.
La scuola è il luogo dove tutte le differenze si incontrano. I ragazzi, nella loro eterogeneità, corrispondono fra loro, incrociando a metà del cammino le loro diversità: è una corrispondenza biunivoca, nel senso etimologico del termine, da ‘rispondere con’, cioè trovare un’intesa comune in un percorso comunicativo. Il diversamente abile ha ben altro da insegnare di prove equipollenti!
All’esame – che invece è individuale – queste immense creatività parlano da sole, raccontano una storia. Gli studenti disabili istruiscono i docenti con le loro differenti abilità. Insegnano come edificare la conoscenza con linguaggi diversi, con modalità particolari e sorprendenti. Fino a quando quello studente uscirà dall’aula d’esame, forse goffo, forse traballante, forse no, ma comunque fiero, e si avvierà da solo fuori, oltre i vetri, verso il sole che scotta, in quel pomeriggio di giugno, lasciando studenti e docenti emozionati di nostalgia.
Il ministero può intervenire dunque non per siglare sillogismi impossibili, ma per aiutare la magìa che si rinnova ogni estate, cioè per vigilare sull’inclusione. Perché proprio qui sta il nodo. Non è tanto necessario cambiare la legge, ma vigilare sulla sua esecuzione: soprattutto non permettere che ci siano studenti allontanati dalla classe e reclusi nell’aula di sostegno. Come si è provato a fare con le assenze dei dipendenti pubblici: vigilare affinché non vi sia chi nega allo studente diversamente abile la gioia dei compagni, di istruirli sui suoi diversi linguaggi, di imparare egli stesso dai diversi loro linguaggi, di incontrarsi a metà strada nel percorso comunicativo, di mescolare tutte le differenze ed edificare l’apprendimento.
E purtroppo non si contano queste reclusioni nella scuola. Molte aule di sostegno diventano tutte colorate di cartelli e di disegni. Ospitano docente e studente, o al massimo altri disabili. Si abbelliscono di ora in ora, come prigioni bombate, ma che prigioni sono. Destinate a massacrare per sempre i diritti dei bambini di tutta la classe. Sia del prigioniero, sia dei compagni, che non potranno così sperimentare la motivazione inesauribile che dà l’inclusione.
Brava Francesca, fatti sentire! Ti approvo incondizionatamente! Licia