A 38 anni dalla “rivoluzione”, torna lo scontro Iran-Usa

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-di MAGDA LEKIASHVILI-

Il Padre della rivoluzione iraniana l’Ayatollah Khomeini entrò nella storia anche come padre spirituale dell’Iran. Ruhollah Khomeini è il suo vero nome. Nato a Kohmeyn (Iran centrale) nel 1902, diventato uno studioso di religione e agli inizi del 1920 diventato un “ayatollah”, un termine con il quale vengono indicati gli studiosi sciiti. Nel 1962 Khomeini fu arrestato dal servizio di sicurezza dello Scià per la sua aperta opposizione al regime filo occidentale. Un curriculum da dissidente che lo ha trasformato a diventare un eroe nazionale. Esiliato prima in Turchia, successivamente in Iraq e poi in Francia. Anche a distanza esortava i suoi sostenitori a rovesciare lo Scià. Negli anni Settanta lo Scià era profondamente impopolare. Questa antipatia aveva preparato il terreno per scontri, scioperi e manifestazioni di massa in tutto il paese. Khomeini ritornò in patria nel febbraio del ‘79, appena crollato il governo dello Scià che con la famiglia fuggì in esilio.

Oggi è il trentottesimo anniversario della rivoluzione iraniana. A marzo del ‘79 un referendum sancì la nascita della Repubblica islamica con il 98% dei consensi. La nuova costituzione prevede l’esistenza parallela di due ordini di poteri: quello politico tradizionale rappresentato dal Presidente della Repubblica e dal Parlamento, e quello di ispirazione religiosa affidato ad una Guida Suprema assistita da un Consiglio dei Saggi, a cui fu affidato l’effettivo esercizio del potere e che riconosceva nell’Islam e non nelle istituzioni il vertice dello stato. Tra le prime decisioni del Consiglio ci fu l’avvio di grandi nazionalizzazioni che cambiarono radicalmente la struttura economico-produttiva dell’Iran. Dopo la rivoluzione cominciarono anni difficili per i sostenitori dello Scià. Vennero condannati a morte quattro generali del vecchio governo. Bastava un minimo sospetto o la simpatia verso lo Scià esiliato per venire condannati.

La memoria dell’Iran post-rivoluzionaria rivive nel racconto di Marjane Satrapi, scrittrice iraniana che ha pubblicato un libro intitolato “Persepolis” nel 2000. In due anni la vita quotidiana del paese cambiò volto. Soprattutto per le donne. Con l’avvento del regime teocratico le scuole straniere vennero chiuse e le classi miste abolite, in favore della separazione fra i sessi. Poco dopo, fu anche reintrodotto l’obbligo per le donne di indossare in pubblico il chador, o in alternativa un ampio fazzoletto scuro che copra i capelli (hijab).

La scrittrice e giornalista italiana Oriana Fallaci fece un’intervista a Khomeini, pochi mesi dopo la sua ascesa al potere. La Fallaci riuscì a descrivere con grande precisione il nuovo mondo iraniano, che aveva riempito le sue strade con i ritratti della “Guida” del Paese (praticamente come una volta avveniva con i ritratti dello Scià). Cambiarono anche le abitudini. Niente bevande alcoliche, per incominciare. Le libertà sessuali divennero crimini da punire. Non passava giorno senza che la stampa desse notizia di qualche adultera fucilata. Si fucilava anche gli omosessuali, le prostitute. Khomeini forniva una sua interpretazione della parola libertà e democrazia.

Una delle prime domande della Fallaci riguardò proprio la libertà e la democrazia. Riportiamo un pezzo del’intervista.

Oriana Fallaci: Allora parliamo di libertà e di democrazia, Imam. E facciamolo così. In uno dei suoi primi discorsi a Qom lei disse che il nuovo governo islamico avrebbe garantito libertà di pensiero e di espressione a tutti, compresi i comunisti e le minoranze etniche. Ma questa promessa non è stata mantenuta e ora lei definisce i comunisti «Figli di Satana», i capi delle minoranze etniche in rivolta «Male sulla Terra».

Ayatollah Khomeini: Lei prima afferma e poi pretende che io spieghi le sue affermazioni. Addirittura pretenderebbe che io permettessi le congiure di chi vorrebbe portare il paese all’anarchia e alla corruzione: come se la libertà di pensare e di esprimersi fosse libertà di complottare e corrompere. Quindi rispondo: per più di cinque mesi ho tollerato, abbiamo tollerato, coloro che non la pensavano come noi. Ed essi sono stati liberi, assolutamente liberi, di fare tutto ciò che volevano, godersi in pieno le libertà che gli concedevamo. Attraverso il signor Bani Sadr, qui presente, ho perfino invitato i comunisti a dialogare con noi. Ma in risposta essi hanno bruciato i raccolti di grano, hanno dato fuoco alle urne degli uffici elettorali, e con armi e fucili hanno reagito alla nostra offerta di dialogare. Infatti sono stati loro a riesumare il problema dei curdi. Così abbiamo capito che approfittavano della nostra tolleranza per sabotarci, che non volevano la libertà ma la licenza di sovvertire, e abbiamo deciso di impedirglielo. E quando abbiamo scoperto che ispirati dall’ex regime e da forze straniere essi miravano alla nostra distruzione anche con altri complotti e altri mezzi, li abbiamo messi a tacere per prevenire altri guai.

Khomeini proibì l’espressione Repubblica Democratica Islamica, cancellò la parola democratica con la giustificazione che la parola islam non aveva bisogno di aggettivi. Inoltre, limitò i contatti con il mondo occidentale. Mentre con gli Stati Uniti (che avevano accolto lo Scià per curarsi essendo da tempo malato di cancro) tagliò le relazioni diplomatiche. Così si scivolò verso il 4 Novembre 1979 quando a Teheran. Varie centinaia di manifestanti entrarono nell’ambasciata statunitense prendendo in ostaggio tutti i funzionari (52 in totale). I manifestanti – “studenti islamici” – chiesero l’estradizione del deposto Scià. Per liberare gli ostaggi trattenuti nell’ambasciata occupata, l’allora presidente, Jimmy Carter, autorizzò una folle impresa: con 90 soldati avrebbero dovuto raggiungere Teheran e con un blitz porre fine al “sequestro”. L’operazione fallì e otto soldati statunitensi rimasero sul terreno. Solo durante la presidenza di Ronald Reagan, dopo 444 giorni di “rapimento” arrivò l’annuncio della liberazione. La vicenda si concluse con un “accordo” semplicissimo: armi americane in cambio della chiusura della vicenda. Lo scontro tra Usa e Iran torna a riaffiorare oggi. Donald Trump, rovesciando la politica di Obama che aveva portato a un’intesa, ha riaperto le “ostilità” politico-diplomatiche con Teheran e proprio oggi, mentre in occasione dei festeggiamenti per la vittoria komeinista riemergevano in Iran cartelli che sembravano ormai in archivio (“Morte all’America”), il presidente statunitense lanciava un inequivocabile avvertimento al collega Hassan Rohani: “Si pentirà di aver utilizzato un linguaggio minaccioso”. Immediata la risposta di Rohani: “Chiunque minaccia l’Iran e le sue forze armate sappia che la nostra nazione vigila”.

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