Pil, di decimali si muore

-di ANTONIO TEDESCO-

Come lasciava presagire la frenata di dicembre della produzione industriale, la stima della crescita del PIL italiano, elaborata dall’Istat, dell’ultimo trimestre del 2015 è di un + 0,1%.

Nonostante il fievole ottimismo del Governo siamo dinanzi a segnali di rallentamento della crescita. Se l’aumento su base annua è dello 0,6 destagionalizzato e dello 0,7 se si tien conto dei tre giorni lavorativi in più, il dato che fa riflettere è la costante frenata del Pil nel corso del 2015. L’Italia procede con il piede sul freno, ed ogni trimestre ci siamo lasciati per strada 0,1 punti percentuali di ripresa, partendo dal +0,4% del periodo gennaio-marzo e arrivando proprio al +0,1% di settembre-dicembre.

Non è solo l’Italia a faticare, tutta l’Eurozona rallenta con tassi di crescita dello 0,3%, comunque migliori rispetto a quelli italiani. Nonostante le buone performance nel rapporto deficit/pil, l’Italia resta uno dei paesi con la crescita più bassa tra le grandi d’Europa.

I segnali di debolezza dell’economia italiana provengono dall’interno: se i dati per le esportazioni sono incoraggianti, resta ferma la domanda interna, i consumi. Unici segnali incoraggianti vengono dai servizi e dalle attività legate al settore turistico (+2,2% la presenza negli alberghi e +4,5% i passeggeri sui voli).

La sostanziale frenata della crescita italiana è stata accolta con reazioni contrastanti nel mondo della politica e del sindacato. Se il Governo sostiene che “ #l’italiariparte “, il leader della UIL Barbagallo ha dichiarato che “se non si fanno investimenti pubblici e privati, se non si restituisce potere d’acquisto ai lavoratori e ai pensionati, la ripresa vera e strutturale resta una chiacchiera“.

Se appaiono volenterose le azioni intraprese per spingere la crescita dell’occupazione, con gli incentivi, convincono meno le iniziative del Governo per spingere il consumo interno e quindi la produzione. Perché il primo ha bisogno che il reddito disponibile aumenti e i salari in Italia crescono poco da troppo tempo; il secondo di una propensione al rischio che in molti imprenditori italiani manca tanto è vero che tra le cause del lento procedere della nostra crescita vi è una certa obsolescenza dei macchinari, sui quali si è investito pochissimo (non è un caso che vada meglio l’industria che prodece per l’estero: in quel settore bisogna aggiornarsi per non essere superati dai tantissimi concorrenti), e lo scarso impegno sul fronte dell’innovazione e della ricerca (e qui paghiamo il nanismo della nostra struttura industriale perché sono le grandi imprese che di solito puntano su questi “strumenti di lavoro”, le medie e le piccole usano le novità che altri mettono a punto).

Le misure del Premier dal punto di vista economico, lo scorso anno, soprattutto grazie a fattori esterni e all’insieme dei provvedimenti economici messi insieme finora dal governo (gli 80 euro, il taglio dell’Irap, il bonus scuola, le misure sulle famiglie previste nell’ultima legge di Stabilità) hanno avuto un impatto sulla crescita del Paese relativo, qualche decimale.

Diciamolo chiaramente: per evitare che la crescita si attesti su valori decisamente più bassi (1/1,2%), bisogna fare di più.

Se è apprezzabile la presa di posizione contro l’Austerity dell’Europa (ma attenzione che non diventi un alibi), quello che attendiamo con urgenza di sapere e che cosa farà Renzi per far ripartire seriamente il Paese?

Adotterà misure economiche adeguate ad un Paese importante come l’Italia? Ci saranno investimenti pubblici in infrastrutture per il Mezzogiorno nei prossimi anni? Metterà in circolo quei “capitali pazienti” necessari per superare il gap che abbiamo accumulato in termine di innovazioni? Proverà da un lato a difendere i settori produttivi strategici (cosa che sino ad oggi non ha fatto avendo maturato la convinzione che il problema si risolva solo rendendo l’Italia attrattiva per gli investimenti stranieri) e dall’altro a costruire un sistema basato sulle attività e le produzioni del futuro?

Confidiamo che il Premier affronti, al tempo stesso, il tema delle disuguaglianze economiche nel nostro Paese e che possa varare misure concrete di lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Le attuali proposte del Governo non sembrano andare in questa direzione (in ultimo l’idea di tagliare le pensioni di reversibilità: cosa che avrebbe un impatto sulla domanda interna catastrofico visto che i pensionati hanno retto il Paese in questi ultimi otto anni non solo attraverso il welfare familiare ma anche attraverso un livello di consumi che hanno impedito alla domanda interna, di passare da fiacca ad anemica). Ma attendiamo fiduciosi i prossime “annunci” del Premier.

Antonio Tedesco

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