Eugenio Scalfari su la Repubblica di domenica 6 giugno scrive: “La politica – lo dice la parola stessa – è una visione del bene comune, la visione di una società al cui servizio la politica si pone. Attenzione: il ‘demos’ cioè il popolo, esprime una società, cioè è un insieme di comportamenti che spesso non collimano con la visione del bene comune di una parte politica. Questa distinzione non va dimenticata da quanti riflettono su ciò che avviene intorno a loro. Tra il ‘demos’ e le diverse parti politiche che competono c’è sempre un rapporto interrelazionale: il ‘demos’ modifica le parti politiche e queste a loro volta modificano il ‘demos’, ciascuna a proprio modo. Questa è l’etica della politica: quella di Aristotele, non quella di Platone. Il resto è futile chiacchiera o esperta demagogia.”Impeccabile e incontrovertibile: in poche righe, la sintesi di un sistema (quello della politica) esplicato nei termini della sua totalità. Tutta da sottoscrivere in pieno. Ci permettiamo, soltanto, una chiosa da completamento di definizione e anche un’osservazione d’aggiunta. La chiosa riguarda la frase: “Questa è l’etica della politica”. Si può supporre che essa debba essere completata così: “Questa è l’etica della politica, la quale è etica proprio perché coincide con la logica della politica, giacché l’etica della politica e la logica della politica sono la stessa cosa.” E qui potremmo trovarci, con un solo balzo, anche entro il sistema di Hegel. Con il che si potrebbe aprire tutta una quaestio, che dire enorme è già poco. Però, che tentazione! Vogliamo dire con ciò che l’asserzione di Scalfari, se portata appena di poco più in là del com’è stata da lui formulata, sarebbe tale da condurre ben più lontano del suo commento ristretto all’analisi della situazione politica attuale, nello spezzone geografico dell’Italia. Peraltro, siamo perfettamente convinti che Scalfari ha detto la cosa che ha detto proprio mirando a un intento più generale. E, difatti, lo fa soprattutto facendo ricorso alla citazione delle fonti supreme in proposito, mettendo a confronto i due paradigmi di fondamento: o Aristotele o Platone. Aristotele, ovviamente. Ed è sulla portata di questa scelta che, dopo la chiosa da completamento di definizione alla formula scalfariana, da parte nostra, s’inserirebbe l’osservazione d’aggiunta. Osservazione che intravede, nella giustissima impostazione data da Scalfari (o Aristotele o Platone), un’occasione per tradurla in termini d’attualità, riportando la scelta da lui esposta a una delle matrici della modernità: concetto al quale, sempre molto pertinentemente, Scalfari si richiama. Ebbene, a uno dei principali crocevia di svolta della modernità, quale rappresentante risorgente dell’”irrazionalità” della politicità a ispirazione platonica, vi troviamo Jean Jacques Rousseau: il capostipite delle deviazioni, non solo dalla razionalità, ma anche dalla comune ragionevolezza, che hanno inficiato il decorso della modernità fino alla corrente attualità aggiungendo ai “disagi della civiltà” anche i “disagi dell’arcaicità”, tanto per completare (malamente) l’opera. Detto in breve, l’aut aut pronunciato da Scalfari, o Aristotele o Platone, andrebbe interpretato meglio, odiernamente, se espresso come segue: o Aristotele o Rousseau. Il fatto è (ed Eugenio Scalfari lo sa, perché è la sua prospettiva teorica generale che lo dice e inoltre con l’aggiunta della sua ben nota codificazione sulle differenze antropologiche) che il genere umano (“demos” o “aristos” che sia) risulta essere differenziato in aristotelici e roussoiani per predisposizione nativa (in analogia con quanto ne pensava sant’Agostino a proposito di massa dannata e schieramento degli eletti). Come si vede, attraverso il portale aperto da Eugenio Scalfari, come si diceva, si sarebbe indotti a finire lontano, molto lontano, in tutti i sensi. Sia come sia, il suo aut aut, che, riportato in termini “contemporanei”, suonerebbe: “O Aristotele o Rousseau”, ci rinvia a un compito da enciclopedia veramente critica, per stabilire il come, il dove e in chi la differenza tra Weltanschauung aristotelica e Weltanschauung roussoiana, possa essere determinata soltanto dalla diversità a impostazione esclusivamente ideologia, oppure dalla diversità deterministica di una “condizione” antropologica. Ebbene questa questione elusa e tuttavia risorgente, più che essere il portale, è la forca caudina, che il presente è costretto ad affrontare in vista di un futuro di cui chissà. Ma l’aut aut che Eugenio Scalfari propone “o Aristotele o Platone” a favore di Aristotele, in versione attuale, dovendo diventare “o Aristotele o Rousseau”, non c’è scampo, che, come Eugenio Scalfari, si debba scegliere Aristotele.
P.S. Suggerimento politico dovuto: bisogna optare a favore di Aristotele, anche se si è da Weltanschauung e da antropologia roussoiana.
Cesare Milanese
Temo che oggi non sia possibile stare dalla parte di Platone e tanto meno da quella di Aristotele, in quanto la Weltanschauung odierna è del tutto opposta alla loro che ragionavano ed agivano in un contesto in cui il mètron: l’equilibrio e la giusta misura erano innanzitutto rifiuto della crematistica, e cioè della accumulazione di una ricchezza fine a se stessa.
Nel quarto libro della Repubblica, Adimanto obietta a Socrate che i governanti potrebbero non essere “felici” a rinunciare al possesso delle ricchezze e dei beni (dato che proprio questo prevedeva il progetto politico platonico) e Socrate risponde in modo oggi completamente spaesante ma assai acuto che possono, proprio perché alcuni trovano la propria realizzazione non nella ricchezza, ma in altre cose. Diremmo noi che uno così, in politica, oggi non sarebbe entrato mai, giacché attualmente chiunque mette piede in un Parlamento di privilegiati l’ultima cosa a cui pensa e che fa, è proprio quella di andarsene o dimettersi.
Ma veniamo anche ad un passaggio aristotelico, anch’esso piuttosto stupefacente per noi: Politica VII, 12, 1332: “La vita felice richiede un certo sostegno di beni materiali, ma in misura minore per quegli individui che hanno le migliori disposizioni morali, ed in più grande quantità per coloro le cui disposizioni, sul piano etico, sono meno buone”. Oggi, con una lettura superficiale, potremmo dire che “non possiamo non essere aristotelici”, e ti credo!..con quello che abbiamo, specialmente in Italia, sotto gli occhi…
Però, attenzione, Aristotele dice che la ricchezza è solo un dato compensativo per risarcire dei “poveretti”, quelli che intellettualmente e umanamente (cioè moralmente) sono alquanto carenti. Essi infatti cercano la ricchezza perché “si impegnano a unicamente a vivere e non a vivere secondo il bene. Ora, proprio perché la fame di vivere è illimitata, essi sono egualmente portati a desiderare mezzi illimitati per soddisfarla” In pratica, questo ci dimostra che oggi viviamo dominati da “morti di fame” che però affamano la gente pur di arricchirsi e soddisfare la loro bulimia..
Allora, tenendo conto che Rousseau dice chiaramente che “La ricchezza dei poveri è rappresentata dai loro figli; quella dei ricchi dai loro genitori.”, in un’epoca in cui il demos non è più quello di una polis, ma più concretamente quello di una cosmopolis, i cui figli ormai vagano sparsi per il mondo, superando anche piuttosto agevolmente le frontiere, forse sarebbe il caso di dire che tra Platone, Aristotele e Rousseau, ha ancora ragione Marx, specialmente quando ci ricorda che: “L’esercizio della dittatura democratica popolare implica due metodi. Nei confronti dei nemici, noi applichiamo quello della dittatura; in altri termini: per tutto il tempo che sarà necessario, noi non permetteremo loro di partecipare all’attività politica, li obbligheremo a sottomettersi alle leggi del governo popolare, li costringeremo a lavorare con le loro mani affinché si trasformino in uomini nuovi. Per contro, nei confronti del popolo, non il metodo della coercizione, bensì il metodo democratico viene applicato; in altri termini: il popolo deve poter partecipare all’attività politica; occorre applicare, nei suoi confronti, i metodi democratici di educazione e di persuasione, invece che obbligarlo a fare questa o quest’altra cosa.”
In poche parole: costringere ad una seria dieta i bulimici del profitto, ed educare il popolo a nutrirsi e a nutrire, secondo giusta misura.
La salute dell’umanità e della Terra sicuramente, in tal modo, ne avrebbe un gran beneficio.
Carlo Felici
Capita che io tenga per Platone *e* per Rousseau, nell’alternativa accennata. Bizzarro che si debba dare apoditticamente per scontata la scelta opposta (sulla base delle oracolari, senili esternazioni di Scalfari?) tanto più in queste colonne.