Ipocondria maestra di vita

di Luca Giammarco

Quando si parla di ipocondria, di solito, si intende un atteggiamento di tipo paranoico che ha per oggetto il terrore di avere qualche malattia in atto.

Malattia, non patologia. Cioè, un’alterazione transitoria del proprio corpo.

Quando entra in una condizione percettiva del genere, l’ipocondriaco cerca pareri specialistici. Lo fa, afferma, per tranquillizzarsi e uscire da una situazione di ansia nella quale non vuole stare. Ma il più delle volte, quando un medico rasserena che il tale sintomo o la tale percezione non sono riconducibili a nessuna malattia, l’ipocondriaco non recepisce il messaggio e prosegue nella sua preoccupazione di avere qualcosa che non va. Nel migliore dei casi, invece, accoglie quanto il medico gli comunica, e trascorso del tempo orienterà i propri timori verso un’altra malattia, un altro organo.

Esiste un libro bellissimo, e divertentissimo, di Lorenzo Marone, Inventario di un cuore in allarme, nel quale gli effetti dell’ipocondria sono raccontati con ironia e veridicità. Non per deriderli, ma per acquisire da essi la giusta prospettiva.

C’è un’opinione comune che vorrei sfatare: e cioè che l’ipocondriaco è una persona che ha rinunciato a vivere.

È effettivamente così?

Leggendo il libro di Marone, ci si accorge del contrario. Di per sé, la persona ipocondriaca immagina una malattia per fuggire da una realtà che la riguarda da vicino e che è molto più pesante da vivere rispetto alla presunta malattia immaginata.

Al di là di casi specifici, guardando alla generalità, gli ipocondriaci sono persone che per un verso o l’altro non hanno potuto realizzare qualcosa nella loro vita di importante che stava loro a cuore. E tale aspetto non realizzato, rimane sempre presente, una specie di tacito compagno del quale non ci si libererà mai.

Per metterlo a tacere, o per cercare di ignorarlo, è necessaria una narrazione che divenga non ad esso sostitutiva, ma momentaneamente più urgente e, quindi, che sia in grado di spostare l’attenzione dell’individuo dalla sua consapevolezza di non aver realizzato ciò che più desiderava o considerava importante per sé e la sua esistenza.

In parole semplici: l’ipocondriaco non è qualcuno che rinuncia a vivere a causa della sua ipocondria, bensì è una persona che ha già rinunciato a vivere (in tutto o in parte); e per allontanare questa consapevolezza, si racconta – convincendosi – di essere malato, di avere problemi, di non stare bene, diventando ipocondriaco. Una narrazione che, come i migliori romanzi a puntate, procede con costanti colpi di scena.

Come guarire dall’ipocondria?

La strada che Marone ci propone, quella dell’ironia, è una buona soluzione. Ma non risolutiva, perché non va alla radice del problema. Tuttavia aiuta a convivere con esso, ed è già un risultato.

Per guarire, si spera definitivamente, dall’ipocondria e interrompere il racconto di sé come individui malati, bisognerebbe prendere il coraggio a due mani e realizzare ciò che più si desidera per se stessi.

Ne conseguirebbe, quindi, di considerare l’ipocondria non come qualcosa di infernale, bensì un giusto campanello di allarme da non demonizzare né condannare.

Per usare un’immagine: l’ipocondria è un po’ come una guardia carceraria che dice a un detenuto: “Sei libero!”, e va via lasciando la porta della cella aperta. Il detenuto, per essere realmente libero, non deve solo uscire dalla sua cella, ma dal penitenziario.

Perché uscire dalla cella vuol dire guarire da un sintomo ipocondriaco in attesa che ne giunga un altro.

Guarire dall’ipocondria vuol dire uscire dal penitenziario e iniziare vivere secondo il proprio progetto ideale.

 

 

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