Amore e Psiche 3.0

di Luca Giammarco

I miti, le storie antiche ci hanno sempre colpito per la loro universalità. Da uomo di scienza – impegnato quotidianamente, in modo pratico e per attività di studio, nella ricerca medica-, mi sono sempre chiesto cosa ci sia di vero e quanto di inventato nelle storie che dall’antichità sono giunte fino a noi.
Perché ci affascinano? Perché ce ne sentiamo così attratti? Cosa fanno risuonare in noi?
Domande a cui non so dare una risposta. O meglio, non sapevo. Fin quando mi sono imbattuto in un libro particolare pubblicato qualche anno fa, Il mulino di Amleto, dove gli autori (Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend) hanno dimostrato che i miti antichi sono la traduzione in forma favolistica di osservazioni scientifiche riguardanti la volta celeste, i pianeti e le stelle. La scienza antica aveva metodi diversi rispetto a quella moderna. Ma questo poco importa. Era comunque scienza.
E quel libro mi ha fatto sorgere una domanda: quanti miti, bellissimi e affascinanti, ancora non sono stati letti come trasposizioni favolistiche di scoperte scientifiche (o viceversa)?

Prendiamone uno famosissimo: la storia di Amore e Psiche.

In un regno lontano, un re e una regina hanno tre bellissime figlie. La più giovane di esse, Psiche, è di una bellezza così eccezionale che la gente si prostra davanti a lei come se fosse la dea Venere. La devozione per la ragazza suscita la collera della dea, che chiede a suo figlio Amore di punire Psiche facendo in modo che si innamori di un mostro. Mentre sta per colpire la fanciulla con una delle sue frecce, però, il dio sbaglia mira e la freccia d’amore colpisce invece il proprio piede, cosicché egli si innamora perdutamente di lei.
Psiche viene così portata a malincuore sulla cima di una rupe e lì viene lasciata sola. Con l’aiuto di Zefiro, Amore la trasporta al suo palazzo, dove la giovane viene accudita da servitori invisibili che provvedono a ogni sua necessità. Alla notte, Psiche viene raggiunta da Amore che si dimostra uno sposo innamorato, ma non le rivela la propria identità: dopo aver trascorso la notte con lei, la saluta avvertendola che anche in futuro i loro incontri avverranno sempre al buio, e che la ragazza non dovrà mai cercare di vederlo né conoscerne il nome.
Psiche è felice e innamorata del misterioso sposo, ma desidera rivedere le sue sorelle. Amore, per quanto malvolentieri, acconsente a invitare le due donne nel palazzo. Qui le sorelle, colpite dal lusso in cui vive Psiche, concepiscono un’invidia bieca nei suoi confronti: insinuano così in lei il sospetto che lo sposo misterioso sia in realtà un mostro che prima o poi la ucciderà; le suggeriscono perciò di attendere la notte per trafiggerlo con un pugnale. Dopo molte riluttanze, una notte Psiche decide di agire. Armandosi con il pugnale ed una lampada ad olio, decide pertanto di scoprire chi realmente sia il suo amante, ma proprio quando sta per uccidere lo sposo, alla luce della lanterna le appare il bellissimo dio dell’amore. Mentre Psiche ne contempla l’abbagliante bellezza, una goccia d’olio cade sulla spalla del dio e lo scotta, svegliandolo.
Amore, vistosi tradito nella promessa fattagli, fugge via da Psiche. I due si ritroveranno insieme dopo svariate peripezie.

Adottando la prospettiva usata da de Santillana e von Dechend, questo mito, in sostanza, ci spiega ciò che a livello scientifico avviene nel rapporto d’unione fisica fra uomo e donna.

Ultimamente, molte ricerche scientifiche si sono interrogate sul modo diverso col quale una donna vive, sotto il profilo sessuale, il rapporto con un uomo.
E si è scoperto che la sessualità maschile è estremamente complessa a livello mentale, perché la natura non gioca a suo favore.
Per avere un’erezione in grado di far affluire un’ingente quantità di sangue all’interno dei corpi cavernosi (strutture anatomiche dell’organo sessuale maschile), serve un mix complesso di ormoni e fattori psicologici scatenanti in grado di condurre all’eccitamento.
In pratica, l’uomo deve prima crearsi in mente le scene immaginifiche di quello che potrebbe essere il rapporto, poi deve saperle “gestire” nelle sue varie dinamiche nel corso dell’amplesso.
La donna nel mentre potrebbe già aver avuto più di un orgasmo. L’uomo questa condizione non può permettersela, perché sa che subito dopo i livelli di testosterone scenderebbero bruscamente lasciando il posto alla dopamina che crea quello che in gergo tecnico viene definito “periodo finestra” .
Per dirlo in modo più semplice: il piacere erotico dell’uomo è in funzione della sua capacità psicologica di autocostruirselo.
L’eccitazione maschile si attiva per gran parte a livello cognitivo per poi terminare immediatamente quando raggiunge il livello fisico e non è mai del tutto appagante come nel caso di quella femminile.
La conoscenza dei meccanismi che regolano i vari e complessi comportamenti che fanno dell’uomo e della donna un unico e meraviglioso essere vivente stanno iniziando solo adesso ad essere studiati e compresi nelle loro intricate dinamiche.
La favola di Amore e Psiche, però, già illustra tutto questo, perché a ben leggere Amore s’innamora di Psiche, e ha rapporti con lei, avendola vista una sola volta e ricorrendo continuamente alla sua capacità di ricreare mentalmente ciò che più gli dona piacere. Desirerebbe che lo stesso facesse Psiche, se lo fa promettere, ma lei disattende proprio essendo – stando a quello che le ricerche scientifiche recenti ci dicono – tutt’altro che mentale il rapporto fisico vissuto dalla donna.
Che la scienza stia facendo progressi straordinari è sotto gli occhi di tutti.
Ma se accogliesse anche quanto miti e favole antiche ci raccontano, forse giungerebbe a scoperte ancora più sconvolgenti (in senso positivo). E tornerebbe a mettere l’essere umano al centro di tutta la sua attività di ricerca.

N°110 del 28/04/2023

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