La Resistenza e l’Ucraina: tifoserie e ipocrisie.

-di Edoardo Crisafulli-

Ero lì quando è scoppiata, la guerra criminale voluta da Putin e dai suoi collaboratori. La mattina del 24 febbraio 2024 – giornata infame che non dimenticherò – mi hanno svegliato i boati dei missili russi che, in lontananza, squarciavano l’alba di una città tranquilla, assopita; cadevano a pochi chilometri da un centro storico stupendo, che vanta alcuni gioielli architettonici sopravvissuti miracolosamente alle immani devastazioni della seconda guerra mondiale. Ne scrivo ora, per la prima volta, dopo un periodo di riposo e meditazione. Sono partito da Kiev, alla volta dell’Europa pacifica, in un convoglio umanitario il 26 febbraio. Ho viaggiato 34 ore per raggiungere la frontiera con la Moldavia (sarebbero circa 600 km in linea retta, ma noi abbiamo zigzagato attraverso tanti villaggi e siamo stati perquisiti ai numerosi posti di blocco), senza dormire né mangiare, con la paura dei bombardamenti e dei sabotatori russi infiltratisi nelle retrovie. Mi ci è voluto molto più tempo per far mente locale sulle reazioni politiche a questo conflitto devastante e insensato.

Kiev, l’ultimo avamposto autenticamente europeo sul limes-faglia fra Europa ed Asia; la capitale antichissima di una cultura ibrida fin dal brodo primordiale in cui si formò: gli intraprendenti variaghi, imparentati con i normanni che conquistarono la Sicilia, navigando i fiumi scesero in Ucraina, dove si fusero con gli antichi slavi e diedero vita alla singolarità nota come Rus’ di Kiev. Dopo i progenitori degli scandinavi, giunsero in queste terre fertili altri gruppi etnici, portatori di nuovi influssi. La cultura slava dell’Ucraina, insomma, ha subito mille contaminazioni, è un impasto nel quale si mescolano pulviscoli nordici e memorie bizantine, frammenti di Mitteleuropa (L’Impero asburgico comprendeva la Galizia, il cui capoluogo è Leopoli) e mediorientali (i Tatari di Crimea ecc.). Da questo amalgama nascono gli impulsi libertari che caratterizzano l’epopea dei cosacchi. L’anelito alla libertà e all’autogoverno è la cifra dell’identità ucraina, in opposizione al dispotismo asiatico che ingabbia la Russia da secoli.

Questi pensieri mi frullavano in testa mentre mi dirigevo, trafelato e ansioso, verso il bunker dell’Ambasciata d’Italia – a due passi da casa mia. L’Unione Europea – mi domandavo – saprà stare al fianco di questo popolo che ha sofferto così tanto nel Novecento e che ora rischia di perdere la libertà a causa di un tiranno imperialista? Mi veniva in mente l’orrenda carestia pianificata a tavolino da Stalin e dai suoi scherani bolscevichi, agli inizi degli anni Trenta del Novecento, nota come “Holodomor”, politica criminale che si affiancò alle fucilazioni e deportazioni che decimarono il fior fiore dell’intellighenzia ucraina dissidente, inclusa quella socialista. Finalità: spezzare le reni a un popolo troppo libertario, quasi anarchico, addomesticarlo e lobotomizzarlo. Dai 5 ai 9 milioni di ucraini morirono di stenti nel giro di un biennio. Il grano veniva confiscato fin nelle case più povere, espropriate con la violenza le piccole proprietà contadine (due o tre ettari, qualche capo di bestiame…) intestate ai perfidi kulaki, i contadini “imborghesiti”, i quali, essedo ricchi e avidi secondo la vulgata bolscevica, dovevano essere trattati alla stregua di cimici e scarafaggi. Non lo si ripeterà mai abbastanza: gli ucraini subirono il secondo genocidio del Novecento, dopo quello degli armeni e prima di quello ancora più spaventoso degli ebrei. Stalin e il suo entourage di invasati toccarono vette di crudeltà che solo i nazisti seppero superare. Poiché i contadini ucraini si opponevano alla collettivizzazione forzata delle loro terre, meritavano di morire. L’Uomo Nuovo bolscevico andava plasmato su pile di cadaveri. I russi vendevano in Europa il grano requisito a milioni di famiglie ucraine, incluse quelle moderatamente benestanti anche per i criteri dell’epoca. Fu così, con il sangue ucraino, che Stalin finanziò in buona parte l’industrializzazione dell’URSS. Oggi questo non si può più dire in Russia. La verità storica è reato. Al suo posto viene propagandata una menzogna colossale: gli ucraini sarebbero un popolo “nazista”!

Quando parliamo di Holodomor non risaliamo indietro nelle brume della storia. Non parliamo delle Crociate o dei massacri di nativi americani, no, il genocidio ucraino avviene quando mio padre (classe 1931) aveva appena 2 e 3 anni. Quanti miei coetanei ucraini mi è capitato di incontrare che hanno avuto almeno un morto in famiglia all’epoca dell’URSS: la fame, il plotone d’esecuzione, oppure la prigionia in Siberia… Non c’è da meravigliarsi se alcuni ucraini (non parlo dei fanatici filonazisti, ovviamente, che erano una minoranza) videro nei tedeschi invasori la salvezza. I nazisti consideravano tutti gli slavi subumani, sicché l’illusione durò ben poco. Vi furono circa 200.000 collaborazionisti, su cui la propaganda filo-putiana di casa nostra ricama e imbastisce una narrazione assurda: il popolo ucraino sarebbe nazionalista e fascistoide dal lontano 1941 fino ad oggi. Dall’altra parte della barricata, quella giusta, oltre due milioni di ucraini imbracciarono il fucile per combattere nelle formazioni parigiane o nell’Armata Rossa. Tra questi c’era il nonno dell’attuale Presidente Zelenski, che tra l’altro è di origine ebraica. Morirono quasi due terzi dei combattenti ucraini per la liberazione dal giogo nazista, ovvero circa 1.400.000 soldati. Un decennio circa dopo l’immane tragedia della carestia ordita dai bolscevichi, i nazisti avviarono il loro progetto di sterminio: in Ucraina furono massacrati circa 1,600.000 di ebrei. Consiglio sempre di leggere il romanzo autobiografico Babi Yar, di Kuznecov, scrittore arguto, testimone degli eventi (finalmente uscito nell’edizione integrale per l’Adelphi: i sovietici censurarono il primo manoscritto!). Babi Yar è un crepaccio, che nel 1941 si trovava nella periferia di Kiev, è il luogo in cui gli Einsatzgruppen nazisti massacrarono in soli tre giorni ben 60.000 ebrei ucraini. Negli anni seguenti i seguaci di Hitler uccisero tra le 100.000 e le 150.000 persone: nazionalisti ucraini, prigionieri di guerra, partigiani ecc.

Il 24 febbraio 2022, in una Kiev fredda ma assolata, nutrivo timori sulla tenuta e sulla compattezza dell’Unione Europea, la quale – con mia meraviglia — ha dato un’eccellente prova di sé nel far fronte all’aggressione russa. Ciò che non mi aspettavo era la reazione di una certa sinistra, a casa mia. Non mi facevo illusioni sull’equilibrismo da parte di quella destra becera e razzista che con Putin ha flirtato per anni. Ma la sinistra…. La mia gente, pensavo, non ignorerà le sofferenze del popolo ucraino che ho appena ricordato. Ero certo che sarebbe scattata come una molla l’empatia.  Nessun militante di sinistra, dicevo fra me e me, negherà il carattere resistenziale della lotta degli ucraini: è così evidente che la loro sconfitta significherebbe finire nell’orbita di influenza russa, in uno Stato autoritario, dove rischi il licenziamento e 15 anni di galera se osi definire “l’operazione speciale” russa per quello che è: guerra di conquista. Io li ho visti pattugliare le strade, nonni e nipoti, fianco a fianco, nelle milizie territoriali ucraine, chi con il fucile da caccia a tracolla, chi con un kalashnikov maneggiato maldestramente. Nei loro occhi ho letto la rabbia di chi subisce un sopruso, e la fierezza di ragazzi, uomini e vecchi determinati a restar liberi, a qualunque costo.

Nei quasi due mesi — autoimposti — di lontananza dalla pagina scritta, ho seguito il dibattito a sinistra – se così possiamo definire le esternazioni senza costrutto, spesso superficiali e sempre ideologiche dei vari Canfora, Cardini, Orsini, pseudo-analisi riprese a suon di “like” e di commenti distopici dai loro acritici sostenitori sui social media, surriscaldati per l’occasione. E sono rimasto basito, esterrefatto, amareggiato. Non mi hanno colpito i filo-putiniani dell’estrema sinistra: quelli sono da sempre degni compari dei destrorsi. I rosso-bruni, Dio li fa e poi li accoppia. No, mi ha colpito quella zona grigia costituita da attendisti, equilibristi, cerchiobottisti. Una genia di pacifisti a senso unico incistatasi nell’area della sinistra di governo, riformista. Molti di loro appartengono all’ANPI. Giacché, diciamolo, non abbiamo a che fare con estremisti, bensì con compagni che sbagliano. Il loro ragionamento, su Facebook, è di una banalità disarmante: “prima vi azzannavate per il green pass sì o no, ora tifate per l’Ucraina o per la Russia, basta con le tifoserie contrapposte! Vi schierate con gli USA e la Nato e l’Occidente oppure con la Russia di Putin? Allora siete dei leni da tastiera, tutti uguali, ovvero tutti nemici della pace. Eh già, perché non esistono solo i buoni e i cattivi: tutti – russi, ucraini, europei, americani – hanno la loro dose di responsabilità in questo tragico conflitto. La narrazione filo-occidentale e filo-americana è manichea tanto quanto quella filo-russa. Soluzione? Si cessi immediatamente l’invio delle armi in Ucraina, la resistenza militare inasprisce solo il conflitto, si porti Putin per il bavero al tavolo negoziale, basta volerlo intensamente, e voilà, la pace svolazzerà sulle nostre teste come la colomba pasquale, candida.”

Questo discorso lo accetterei, sia pure mugugnando, dai pacifisti integrali, i cristiani o i gandhiani della non violenza a oltranza. Mi limiterei a dir loro: siete degli ingenui in buona fede. Alla sinistra militante nell’ANPI scopertasi improvvisamente pacifista dico tutt’altro: siete degli ipocriti. Non ve l’aspettavate vero? Eh, già, perché la vostra sinistra che predica l’equidistanza fra aggressore ed aggredito ha il vezzo di salire in cattedra per impartire lezioni, è lei che assegna le patenti di democraticità e antifascismo, è lei che marchia a fuoco i fascisti redivivi (spesso immaginari). Io non demordo, e insisto: siete una banda di ipocriti. Sono cresciuto in Emilia-Romagna e, da quando ho l’età della ragione milito a sinistra. Per oltre quarant’anni sono stato sommerso dalla tifoseria antifascista, benché già negli anni Novanta del Novecento i fascisti cattivi, quelli veri, erano quasi tutti morti e sepolti, e i neofascisti gruppuscoli senza seguito, pur pericolosi nei loro deliri criminali (e di certo non più pericolosi delle Brigate Rosse). Ecco cosa mi hanno insegnato gli intellettuali e i quadri di partito comunisti e socialisti, in questo all’unisono con i liberali progressisti: guai a non schierarsi! La narrazione totalizzante, univoca andava benissimo per l’Italia in lotta contro Mussolini e Hitler. L’unico fascista buono era quello morto, e le vittime innocenti della nostra guerra civile venivano derubricate a ‘danni collaterali’. La logica manichea – di qua i buoni, di là i cattivi – all’epoca valeva, eccome! Sei fascista o antifascista, tertium non datur. Quelli che stanno in mezzo, gli equidistanti, sono ignavi fascistoidi, pronti a inneggiare al Duce. Una logica, questa, aspra e severa ma giustissima quando c’è un conflitto di civiltà – tossica, invece, quando una nazione, conquistata la democrazia, deve impostare la dinamica politica in termini di avversari da sconfiggere nelle urne e non di nemici da liquidare. Il discorso manicheo è continuato a valere anche per l’Italia pacificata e democratica, in cui pullulerebbero i fascisti con il coltello fra i denti, ma non si applica agli ucraini che si difendono come leoni da una aggressione premeditata, volta a soggiogarli.

Oggi voi, antifascisti come me, predicate il pacifismo assoluto, l’equidistanza, l’equilibrio, il distacco dalle emozioni fuorvianti. Alcuni aderenti all’ANPI (grazie a Dio non tutti!) dimenticano che la sinistra storica ebbe un grande merito nell’Italia postbellica: si scagliò contro i radical-chic che dicevano, con sussiego, “né con lo Stato democratico, né con le Brigate Rosse”. Oggi serpeggia, nella vostra organizzazione, il motto canagliesco “né con la Nato né con Putin”. Complimenti per la coerenza. Quante volte vi ho sentito citare quel bellissimo brano di Antonio Gramsci “odio gli indifferenti”! Qualche anno fa ne hanno ricavato un instant book per i tipi di Chiarelettere. “Odio gli indifferenti. L’indifferenza è vigliaccheria. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia”. Parole forti, coraggiose, belle. La guerra in Ucraina mi ha aperto gli occhi: siete partigiani, sì, ma a corrente alternata.

Per la sinistra democratica non c’è giorno più sacro del 25 aprile, è la festa della Liberazione, per Bacco! Innumerevoli volte ho sentito osannare la Resistenza, proprio perché era lotta armata (dagli Alleati), guerra contro i nazifascisti. Quante foto che ritraevano partigiani ho ammirato assieme a voi, ah, le eroiche immagini di giovani con tanto di mitra e fucili esibiti con orgoglio!  E oggi voi, contro ogni evidenza, negate che quella ucraina sia Resistenza, eppure c’è una nazione – nel cuore dell’Europa orientale – che resiste in nome di un principio sacrosanto fin dalle prime lotte democratiche, risorgimentali e socialiste: l’autodeterminazione dei popoli. Il triste paradosso, cari predicatori dell’equidistanza, è che questa volta ragionate esattamente come gli ex fascisti. Dicendo che la Resistenza ucraina non avrebbe senso in quanto produce solo morti e rappresaglie, non fate altro che dar ragione alla narrazione postfascista secondo cui “la Resistenza italiana non si doveva fare. Se i partigiani non fossero insorti, non ci sarebbero state le vendette nazifasciste, l’Italia sarebbe stata liberata comunque dagli angloamericani e migliaia di italiani non sarebbero morti inutilmente”.

Questo ragionamento logico ma aberrante lo applicate con severità disumana solo agli ucraini. Come vi cavate d’impaccio, se vi accuso di incoerenza? Semplice: con la destrezza ideologica che vi contraddistingue: poiché vi siete autoproclamati depositari della Verità, negate senza argomentare che quella ucraina sia Resistenza. Il vostro è un assioma, un dogma. E non già perché la Resistenza è una sola, quella italiana nel 1943-45 (il che avrebbe un senso: sarebbe filologicamente corretto sul piano storico). Eh no, in realtà secondo voi la Resistenza risorge dalle sue ceneri più volte nella storia postbellica, è un fuoco tutt’altro che fatuo che s’accende ora qua ora là nel mondo. Purché vi siano le condizioni politiche ideali e compaiano sul palcoscenico gli attori a voi congeniali: i vietcong avevano il diritto di ricevere armi letali dai russi e dai cinesi e, giustamente,  combattevano per i loro ideali – gli ucraini questo diritto non ce l’hanno; è giusto che i palestinesi si facciano armare fino ai denti dall’Iran, razzi katiuscia inclusi, e spargano sangue in nome della Palestina libera (cosa volete che sia se ogni tanto ci lascia la pelle qualche civile innocente …) – gli ucraini no, dovrebbero deporre le armi o tutt’al più usare gli archi e le frecce contro i carri armati russi.

Se vi pungolo su queste contraddizioni, cosa rispondete? Con la frase più banale del mondo: ma è diverso, diamine! Certo, è sempre diverso – quando vi fa comodo. In effetti non esiste fenomeno identico, nella storia umana. Sarebbe interessante sapere, allora, perché ritenete che vi siano alcune Resistenze successive al 1945 uguali o molto simili alla nostra. Chiedo così, per mera curiosità intellettuale. In base a quali criteri morali e politici una lotta armata può qualificarsi come legittima e resistenziale? Forse c’entra il fatto che i vietcong combattevano contro i perfidi americani e i palestinesi contro gli ebrei sionisti? Beh, se questo è il vostro modo di ragionare, risparmiateci la lezioncina sul manicheismo e sulla tifoseria a favore dell’Ucraina in quella che è, oggettivamente, una guerra imperialistica scatenata da un dittatore senza scrupoli nel cuore dell’Europa.

In nome di di quale investitura l’ANPI si arroga il diritto di definire cosa è o non è Fascismo e Resistenza dal 1945 ad oggi? Forse che sull’ANPI è scesa la fiammella dello Spirito Santo?  Nessuna organizzazione può rappresentare i partigiani che dormono sotto i cipressi. L’eredità dei combattenti per la nostra libertà, per la nostra Costituzione, appartiene a tutti noi antifascisti democratici. “Odio gli indifferenti. L’indifferenza è vigliaccheria. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia”. La vostra indifferenza nei confronti degli ucraini, cari compagni dell’ANPI, è vigliaccheria: incoraggia i dittatori che aggrediscono, gli invasori che distruggono e uccidono e stuprano e sottomettono. Ma non vi odio: non ne sono capace. Mi auguro soltanto che gli imminenti festeggiamenti per il 25 aprile vi facciano rinsavire; spero che decidiate, ancora una volta, di parteggiare per un popolo in lotta per la sua libertà, un popolo, quello ucraino, che ha scelto per via democratica i propri governanti e che desidera tornare all’ovile: in seno all’Europa civile e liberaldemocratica cui appartiene.

N°35 del 24/04/2022

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