-di Cesare Salvi-
L’unico riferimento esplicito al fascismo è contenuto nella XII Disposizione finale, per la quale “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Eppure si parla, e giustamente, di una Costituzione “antifascista”.
Anzitutto per una ragione storica: le origini della nostra Carta fondamentale furono nella resistenza contro il fascismo e il nazismo condotta con determinazione per quasi due anni da un ampio arco di forze, comunisti, socialisti, cattolici, e anche militari fedeli alle istituzioni legittime, rappresentate da quello che fu chiamato il “Regno del Sud”.
Li univa la lotta al fasciamo, e questa unità riuscì a mantenersi nelle decisioni prese dopo la vittoriosa insurrezione del 25 aprile e la sconfitta della Germania e dei suoi alleati, compresi, in Italia, le forze della Repubblica sociale. Espressione dell’unità antifascista furono, nel territorio occupato, il comitato di liberazione nazionale; a Sud, i governi unitari e poi le scelte fondamentali per il referendum istituzionale e per l’elezione della Costituente. Come si sa, questa unità riuscì a mantenersi fino all’approvazione della Costituzione, nonostante che nel frattempo fosse avvenuta l’estromissione delle sinistre al governo, causate dall’inizio della guerra fredda.
Ma questo dato storico non fu vuoto di contenuti ideali e sociali. In forme diverse, e non senza tensioni, le forse che diedero vita alla resistenza erano animate da un’idea di rinnovamento sociale e democratico, rispetto non solo alla dittatura, ma anche ai profondi limiti e ai fallimenti dello Stato liberale che la aveva preceduta.
Dalla resistenza nasce la grande novità rispetto allo stato liberale: la partecipazione alla politica di masse popolari che ne erano state escluse, attraverso partiti (la Democrazia cristiana e le sinistre) che rappresentavano il mondo cattolico e quello socialista e comunista.
Con il concorso degli eredi della tradizione liberale, queste forze diedero vita al risultato più importante della resistenza: una Costituzione profondamente innovativa rispetto a quella che aveva retto l’Italia prima del fascismo.
In che consistono queste innovazioni? Sono molte, ma le più importanti riguardano l’eguaglianza – a cominciare dalla parità tra uomo e donna – la centralità del lavoro e i diritti sociali.
Il richiamo alla resistenza come momento fondativo della nostra democrazia, e al 25 aprile come grande festa nazionale, è quindi, tanti decenni dopo, ancora importante e non certo un esercizio di retorica. Anzi, di più, è anche un monito per l’oggi e per il domani. Un monito, anzitutto perché l’ispirazione sociale e le conseguenti conquiste costituzionali sono purtroppo sempre più messe in discussione dalla povertà, dalla precarietà, dal lavoro povero, dalla persistenza disparità di trattamento a danno delle donne.
E anche la politica attraversa un momento difficile: i partiti sembrano perdere il loro ruolo di soggetto caratterizzato dal diritto di partecipazione dei cittadini e dal metodo democratico (come vuole l’articolo 49 della Costituzione), e cresce la sfiducia dei cittadini, documentata dall’allarmante aumento dell’astensionismo elettorale.
È possibile il ritorno del fascismo? Non bisogna fare confusione. Il fascismo non fu un fenomeno generico: fu una dittatura autoritaria, nata dalla violenza squadrista e consolidata con gli strumenti della repressione poliziesca e del controllo sociale.
Il rischio oggi è un altro: è la tendenza all’opera in molti paesi dell’Est europeo, che il premier ungherese Orban ha definito (autoelogiativamente!) la “democrazia illiberale”. Cioè un sistema che conserva lo scheletro della democrazia (elezioni politiche, parlamenti che decidono sui governi), ma elimina o condiziona pesantemente le garanzie necessarie per assicurare la effettività della democrazia, dalla libertà di manifestazione del pensiero all’indipendenza della magistratura. E anche l’allontanamento dalla politica, e dallo stesso esercizio del voto, di ceti popolari in condizioni economiche sempre più precarie, e disillusi dalle “promesse” disattese della politica, è un segnale non bello per le sorti di una democrazia, che non può affidarsi, per essere davvero tale, alle decisioni di élite tecnocratiche o di poteri economici sovranazionale (sui quali ha richiamato l’attenzione nel suo discorso al parlamento il presidente Mattarella).
Il 25 luglio, festa del popolo e della democrazia, è quindi un’importante occasione per commemorare, com’è giusto, ma anche per richiamare all’attenzione sulla necessità di far valere, oggi, e in concreto, i grandi ideali della resistenza antifascista.
N°34 del 24/04/2022