– di MAURIZIO FANTONI MINNELLA –
- In risposta al conclamato declino dell’antifascismo, nell’epoca delle post-verità telematiche, che allinea non solo buona parte della pubblicistica mainstream ma anche larghe fasce di cittadini elettori, vale, innanzitutto, sottolineare una contraddizione tanto più evidente quanto determinante il futuro della nostra politica nazionale: se l’antifascismo è ormai un retaggio del XX° secolo, perché allora vi è così tanta insistenza da parte della stragrande maggioranza dei commentatori politici nel voler attribuire alla leader di un partito post-fascista qual è Fratelli d’Italia, una patente, sebbene posticcia, di rispettabilità, spingendola ripetutamente a sconfessare, non solo il fascismo storico ma anche le sue frange neo naziste, tardive ma agguerrite che proprio nel suo partito troverebbero ospitalità sicura? Questo sarebbe già una prova tangibile dell’attualità di una coscienza antifascista autentica e non di facciata, rispetto ad una tanto sospirata e mai veramente avvenuta deriva antidemocratica in questo paese. Tuttavia una prima spiegazione andrebbe ricercata all’esterno della cosiddetta galassia conservatrice e reazionaria che dir si voglia, ossia in seno a una prospettiva sociale neo-liberista che oggi sembra mettere d’accordo il vecchio centro-sinistra rappresentato dal partito democratico e le correnti liberal conservatrici moderate, pronte a legittimare un possibile futuro governo di destra purché moderna, europea, e obbligatoriamente estranea a qualsiasi tentazione autoritaria, in una sola parola, moderata. Ciò, invero, nasconde una certa dose di ipocrisia, o se si preferisce, di strategia politica nella volontà di sottrarsi a qualsiasi responsabilità rispetto all’incognita politica rappresentata, appunto, da quel partito. Infatti, non solo è evidente il fatto che la sua leader non voglia e non possa sconfessare ampie presenze neo fasciste al proprio interno, ma che proprio la natura e l’origine stessa di quella formazione politica, o più prosaicamente, le logiche e le strategie interne, impedirebbero qualsiasi sconfessione o cambiamento rilevanti. Infatti, la natura sociale del fascismo non è affatto in contraddizione con la sua vocazione totalitaria e il nuovo partito di Giorgia Meloni si sostanzia proprio di una natura sociale di stampo populista che, non a caso, raccoglie ampi consensi nelle classi sociali più deboli specialmente nel centro e nel sud Italia.
L’assalto squadristico dei camerati di Roberto Fiore alla sede della Cgil a Roma il 9 ottobre 2021, è la prova della strumentalizzazione in atto da parte di formazioni fasciste come Forza Nuova, della protesta no-green-pass, ma anche della stessa idea di democrazia attraverso il paradosso che segue: se è democrazia, dovrà garantire anche agli antidemocratici il diritto di parola e di espressione (e infatti: è fascista la volontà di mettere fuori legge formazioni politiche nazifasciste come Forza Nuova, sono le parole di Matteo Salvini all’indomani dell’assalto alla sede Cgil!). E così la stessa democrazia, proprio in virtù di paradossi come questi, sembra candidarsi a diventare, con il trascorrere del tempo, il cavallo di troia di qualsivoglia tentazione autoritaria, in un paese che contravviene alle proprie leggi sulla ricostruzione del partito fascista (i fascisti oggi, forse più di ieri, sono nelle istituzioni e tra gli eletti nelle grandi città, sebbene il loro nemico non sia più il comunismo ormai scomparso ma le minoranze e la finanza globale!) e dove il principio di autorità si misura sul grado di responsabilità morale e civica dei cittadini di uno stato. Un paese che conserva, alimentandolo quel grumo di fascismo che sembra appartenere al proprio DNA, nel mentre ci si affanna a decretare la fatidica fine delle ideologie (secondo cui destra, sinistra, centro non sarebbero più codici di riferimento e di orientamento politici). Al contrario si tratta di un inganno ottico attraverso cui l’economia globale, che modellandosi proprio sulla negazione del passato ideologico (il XX° secolo, ovvero della dialettica politica), si propone e si impone come la sola ideologia possibile.
- Per l’intero arco del secondo dopoguerra, l’antifascismo, sentimento e insieme militanza politica, prerogativa delle sinistre e in misura minore di altre forze politiche centriste e liberali che ebbero, tuttavia, con esso un rapporto non sempre chiaro, per non dire ambiguo, dovette combattere con il suo esatto contrario, l’anticomunismo, l’altra colonna vertebrale di quel periodo storico, e proprio entro tale antagonismo, si è consumata una frattura tra le forze di sinistra socialiste e comuniste e quelle cattoliche moderate e liberali che avevano partecipato alla Resistenza. Fino a quando il fascismo rappresentò l’eredità storica della dittatura che aveva condotto alla guerra, alle leggi razziali e alla distruzione materiale e morale del paese, quel sentimento collettivo, umano ancor prima che politico, poteva ampiamente trarre linfa vitale dallo sdegno e dalla riprovazione verso un regime nefasto e si confidò per questo, in tutte le forze sinceramente democratiche, affinché quella storia non si ripetesse. La stessa parola “fascista” veniva, quindi, derubricata, degradata fin dentro la categoria dell’insulto. Intanto forze oscure legate al potere dello Stato e altre meno oscure, anzi, operanti alla luce del sole, si facevano beffe dell’ordine democratico, riproponendo idee simboli e prassi dichiaratamente fasciste e inaugurando la stagione dello stragismo nero. Visto a distanza, il fenomeno dell’eversione nera, seppur nelle forme più violente e antidemocratiche, s’inscriveva nel ben più ampio clima politico della lotta al comunismo, quello che aveva vinto in Unione Sovietica e di conseguenza, quello italiano. In altre parole, esso fu, non lo si dimentichi, il prodotto deviato e criminale di un sentimento comune a gran parte del paese. Nel Cile di Augusto Pinochet, ad esempio, gran parte della piccola e grande borghesia fu solidale con la dittatura, arrivando al punto di accettarne la barbarie, solo perché ritenuta una solida barriera contro il comunismo. Si è formato, rafforzandosi nei decenni, una sorta di anticomunismo acritico e isterico, cresciuto esponenzialmente negli ultimi cinquant’anni in questo paese, e divenuto, ormai, mainstream, ricettacolo dei peggiori luoghi comuni ed incongrue comparazioni, sempre in nome di una pretesa libertà democratica che all’occorrenza per soddisfare interessi di parte, si è perfino disposti a tradire.
L’antifascismo, nel corso degli anni sessanta-settanta, diventò un sentimento e un pensiero universale, in special modo tra gli stati latinoamericani che avevano vissuto lunghi periodi di dittatura fascista. Esiste però un momento storico, a partire dal decennio successivo, in cui quel forte segnale etico, politico, morale e civico cominciò ad affievolirsi. La massiccia opera di revisionismo storico, in fondo già presente nei cupi anni cinquanta e riproposta trent’anni dopo attraverso gli scritti del giornalista Gianpaolo Pansa, ha sdoganato fortemente l’idea di un’equiparazione tra vittime di una e dell’altra parte, ridimensionando così il portato storico e politico della lotta di resistenza, mostrandone con spregiudicato e cinico calcolo i lati oscuri (vendette partigiane dopo il 25 aprile ’45, il triangolo della morte di Reggio Emilia etc.), ma entro una prospettiva decontestualizzante, quindi non calata nella specificità del clima politico e nei fatti relativi. E’ chiaro l’intento speculativo negli scritti di Pansa, che va ben al di là della semplice e perfino legittima documentazione di ciò che accadeva nell’Italia in guerra contro il nazi-fascismo. La medesima riproposizione del tema delle foibe (anch’esso peraltro legittimo), subisce il medesimo trattamento strumentale, ossia il tentativo di spostare il baricentro che fino a quel momento oscillava verso la barbarie nazi-fascista verso l’altra parte, quella titoista. La recente proposta di ulteriore equiparazione, ossia tra la tragedia della Shoah e quella delle Foibe, spiega assai bene il clima politico generale.
- A chi, negli ultimi decenni, è rimasto a difendere la bandiera dell’antifascismo come Anpi per un verso e i centri sociali sparsi su tutto il territorio nazionale per l’altro, si chiederebbe il coraggio e la lucidità di una riflessione che vada ben oltre le divisioni o le rotture interne (non si comprende, ad esempio, la difficoltà che non pochi all’interno di Anpi mostrano nel non capire fino in fondo le ragioni “resistenti” del popolo palestinese perché troppo ancorati alla questione degli ebrei vittime della Shoah!), e che dunque si concentri, innanzitutto, sulle ragioni che spingono, oggi, verso un’attualizzazione – legittimazione del pensiero fascista come una possibile opzione, sebbene ancora minoritaria, nell’attuale mercato delle idee. E una chiave di lettura potrebbe essere quella della separazione dell’ideologia che fu del ventennio fascista, dalle conseguenze nefaste dell’alleanza hitleriana, delle leggi razziali, della guerra con il suo carico di distruzione e di morte. Troppo, forse, per una rimozione tardiva ma, lo ribadiamo con forza, essa, ormai, è diffusa in diversi strati della società italiana. Ci si appella, infatti, da più parti, alla retorica populista di un fascismo sociale e benefico, alla spinta progettuale, in realtà tutta di regime, con cui si progettarono bonifiche, città satelliti e nuove istituzioni pubbliche, concentrate in una sola retorica frase che è diventata quasi un mantra:“ il fascismo ha fatto anche cose buone”, dimenticando, forse per distrazione, forse per convenienza, o forse per un effettiva carenza di spirito critico o autenticamente democratico, che il fascismo fu a tutti gli effetti un’ottusa e feroce dittatura. Per molti, forse, “buona e accettabile” rispetto a quella “cattiva e comunista”, in quanto non abbastanza statalista da non essere altresì tollerante verso la religione cattolica, il libero mercato e la proprietà privata.
Quindi, alla luce di quanto detto, quali sono le nuove strategie da mettere in campo per rendere l’antifascismo un sentimento e una prassi di nuovamente attuale? Formando una nuova coscienza critica, che innanzitutto sappia collocare il problema all’interno del conflitto economico sociale in atto, concretizzabile in un movimento dal basso, capace di smascherare ogni tentativo autoritario, attraverso una forma nuova di resistenza, che dichiari che l’antifascismo esiste perché fisiologico in una società che nel farsi portatrice di tendenze razziste, omofobe e antisemite, (di cui ormai si registrano fin troppi casi perché ciò non desti serie preoccupazioni), non sa, suo malgrado, di renderlo altresì necessario. Si dirà che in Italia come nel resto d’Europa la democrazia non è in pericolo, che, casomai, per una parte d’Italia il vero nemico è l’Europa finanziaria delle banche e non il neofascismo (questo fantasma che ogni volta riappare agguerrito e minaccioso, in realtà per molti inconsistente), ma è proprio dentro questa visione, per taluni versi comprensibile, ma solo da sinistra, di un’Europa matrigna e verticistica che le destre d’ispirazione fascista e sovranista rafforzano il proprio consenso anche tra coloro che provengono da orientamenti politici differenti. A garantirne la continuità sono le nuove logiche del mercato globale e non certo un’idea più alta di democrazia da difendere non soltanto con il voto politico. Forse è vero, ma è proprio la stessa paura della globalizzazione, foriera di sempre più profonde disparità sociali, incertezze e disoccupazione, talora sconfinante nella disperazione, a spingere verso una sorta di “protezionismo nazionale” che, oggi, soltanto le destre populiste sembrano in grado di soddisfare. Non è affatto così. Questa è, in fondo, la débâcle di una sinistra che, dismessa per sempre la lotta di classe, il socialismo egualitario per abbracciare una generica dottrina liberale, si è rivolta, infine, al suo nemico storico, il capitale, confidando sulla propria vocazione di generatore di profitto, nella speranza provvidenziale che di riflesso ai movimenti di capitale investito, vi siano positive ricadute a favore di una massa di persone sempre più impoverita, impossibilitata a decidere del proprio destino, dunque, frustrata e messa all’angolo. E questa è una seconda débâcle, quella della democrazia reale.
immagine: “[‘Tegen oorlog en fascisme’]” is marked with CC PDM 1.0
N°: 74 del 20/10/2021