– di FRANCO CAVALLARI –
L’esigenza di procedere ad una profonda revisione del sistema fiscale sta assumendo un’importanza crescente tra le molteplici proposte emerse ultimamente nell’agenda di Governo in conseguenza della crisi economica derivante dalla pandemia in corso. Oggetto di molti dibattiti nello scorso decennio, il problema è riemerso prepotentemente, risvegliato dalla consapevolezza delle principali forze politiche che gli attuali rapporti tributari con i cittadini sono completamente inadatti a facilitare la realizzazione delle prospettive di rilancio economico aperte dal “Next generation fund”. Recentemente la “questione fiscale”, riproposta dal Governo nel documento inviato alle Camere contenente le “Linee guida” dello sviluppo per i prossimi due anni, sta trovando posto anche nei documenti preparatori el bilancio 2021 come precondizione essenziale in ordine all’esigenza di impiegare la quota italiana del “Recovery fund” in progetti puntuali in grado di stimolare la ripartenza della crescita economica nel nostro Paese.
Si tratta di una questione politicamente molto complessa, poiché gli orientamenti in materia delle diverse forze in campo, ancorché non poco divergenti, non sono ancora ben definiti; i nodi d’inciampo dell’annunciata riforma sono, però, ben noti, a cominciare dall’elevatissima evasione fiscale che distorce inaccettabilmente, sia l’allocazione delle risorse produttive, che la redistribuzione sociale del reddito. Ne è conseguita, tra l’altro, la tendenza ad un eccesso di tassazione sulla produzione, corredato da uno svuotamento della progressività del sistema, nonché i numerosissimi abbattimenti della base imponibile e le altrettanto numerose tassazioni proporzionali sostitutive stratificatesi nel tempo. Per altri versi, va segnalato che il quadro attuale contempla un clima politico in cui la destra invoca insistentemente il varo della “flat tax” sul reddito complessivo per categorie reddituali dell’imprenditoria sempre più ampie e per importi sempre più elevati; mentre qualsiasi forma di imposizione patrimoniale sulle grandi ricchezze finanziarie continua ad essere considerata quasi alla stregua di una bestemmia economica.
Malgrado il non favorevole quadro prospettico cui si è accennato, alcune articolazioni della riforma appaiono inevitabili e sul piano della realizzabilità concreta risultano fin d’ora abbastanza ben delineate. Ad esempio, le risorse del “Recovery fund” non potranno essere impiegate in una diminuzione generalizzata della pressione fiscale; per meglio dire, qualche ritocco dell’imposizione orientato a favorire gli investimenti, come ad es. le imposte e i contributi relativi al costo del lavoro, potrà sicuramente essere realizzato. Ma è chiaramente escluso che possa trattarsi di tagli generalizzati sui cespiti reddituali, per cui, è abbastanza verosimile che l’annunciata riforma fiscale si concretizzi in una “operazione bianca”, vale a dire sostanzialmente “neutra” rispetto al gettito complessivo. Ed anche l’annunciata graduale riduzione della pressione fiscale del sistema dovuta ad alcuni sgravi di imposte e di contributi dovrà essere compensata da sostanziali recuperi di evasione e di erosione.
Un’altra delle evidenze verosimili riguarda l’IVA, chiamata nel contesto attuale a svolgere la propria funzione regolatrice del mercato senza implicare un aumento del relativo gettito, evitando così di alterare negativamente la progressività generale del sistema, pur nel contesto di una incisiva rimodulazione delle aliquote volta a favorire la produzione in settori aventi carattere strategico.
Da queste premesse si evince chiaramente che non c’è da attendersi grandi cambiamenti nella distribuzione del gettito, mentre sarebbero auspicabili alcune modifiche di assestamento delle aliquote dei due tributi principali (l’IRPEF e l’IVA), nonché la revisione delle numerose tassazioni proporzionali sostitutive, mentre un’attenzione particolare andrà riservata ai meccanismi di controllo dell’evasione e dell’elusione. Al riguardo, non è senza importanza che la diffusissima evasione dell’IRPEF, oltre a perturbare direttamente la giustizia sociale e l’equilibrio produttivo, incide anche ulteriormente sull’ordine sociale attraverso l’applicazione squilibrata di numerosi contributi e bonus fiscali, quali le tasse universitarie, l’ammissione agli asili nido pubblici, la gratuità di alcuni servizi ecc. Da rilevare, infine, che il sistema di progressività per scaglioni in vigore presenta aliquote inadeguate nel numero (ridotte dalle 32 originarie della riforma del 1973 alle 5 attuali) e non abbastanza differenziate nel livello (con la massima diminuita dal 72% originario al 43% attuale e la minima cresciuta dal 10 al 23%). Un sistema in cui si è stratificata una miriade di deduzioni di imponibile e di detrazioni di imposta che rende ancor più rigida ed opaca l’applicazione del principio di progressività, rispetto al quale non sono da sottovalutare i limiti costituzionali alla sua applicazione. In proposito, segnaliamo che detti limiti sono chiaramente focalizzati dagli studi della “Scuola di Pavia” di B. Griziotti e dalle analisi di F. Forte e di F. Gallo che hanno evidenziato l’esigenza di trovare un certo equilibrio tra il principio costituzionale della progressività ed i princìpi generali che prescrivono di “non intaccare, sia le spese private necessarie per la vita del cittadino, sia il risparmio e l’efficienza della produzione privata”.
Come accennato in precedenza, dall’insieme delle considerazioni precedenti consegue che, a parità di gettito (l’IRPEF attualmente frutta all’Erario circa 180 Mld l’anno, circa il 34% delle entrate erariali, mentre gli incassi dell’IVA -circa 150 Mld- rasentano il 28%), le aliquote dei due principali tributi potranno essere solo leggermente rimodulate, con qualche vantaggio per i redditi e per i consumi di livello medio-basso, finanziabile attraverso i recuperi di evasione. E’ auspicabile che, con l’occasione della riforma, possa essere varato per l’IRPEF, un meccanismo diverso dall’attuale progressività per scaglioni, che ha mostrato non pochi inconvenienti: un nuovo sistema di progressività nel continuo, la cui curva consentirebbe di attribuire ad ogni livello di reddito un’aliquota media precisa. Un tale sistema, meno macchinoso e più trasparente, è adottato con successo dalla Germania e dal Canton Ticino, dimostrando peraltro di evitare “effetti perversi” indesiderati in caso di manovre orientati a possibili cambiamenti delle aliquote (da non confondere con il “modello tedesco” riferito alla scelta delle aliquote effettive da attribuire alle diverse fasce di reddito, oggetto attualmente di dibattito politico in Italia). Per quanto concerne l’IVA, la riforma potrà contemplare, oltre all’accennata rimodulazione delle aliquote, anche una revisione dei meccanismi di funzionamento che ne rendano meno problematica l’applicazione e più difficoltosa l’evasione.
Se tutte le accennate remore ai cambiamenti radicali produrranno i loro effetti, com’è prevedibile, la sola riforma significativa possibile nel nostro Paese, ancorché non poco problematica dal punto di vista politico, resta quella inerente un’incisiva lotta all’evasione e all’elusione. In realtà, da questo punto di vista, la storia degli ultimi decenni ci ha insegnato che non è possibile fare affidamento sul senso civico e la correttezza fiscale degli italiani; e sarebbe velleitario pensare che intensificando i controlli tradizionali (che potranno comunque riferirsi a non più di un 2-3% dei contribuenti) si possa pervenire ad un tasso di fedeltà fiscale accettabile.
I vari strumenti di lotta all’evasione escogitati negli ultimi 40 anni (scontrini fiscali, accertamento per adesione, redditometro, studi di settore, fatturazione elettronica, deducibilità delle spese ecc.) hanno mostrato tutti, chi più, chi meno, consistenti limiti di efficacia. Resta ancora da sperimentare fino in fondo uno strumento innovativo reso possibile dalla tecnologia digitale; uno strumento al quale le forze politiche del nostro Paese si sono finora avvicinate con troppa esitazione. Intendiamo riferirci ad una drastica diminuzione della circolazione monetaria cartacea, fino alla graduale abolizione totale, nel giro di 2 o 3 anni, che consentirebbe agevolmente incroci di dati illimitati nel numero e inequivocabili nelle risultanze. Si tratta, in sostanza, di ampliare gradatamente i pagamenti tracciabili, eliminando completamente nel giro di 2 o 3 anni la circolazione cartacea e lasciando in vigore, per i piccoli pagamenti in contanti, soltanto le piccole monete divisionali.
Non è azzardato prevedere fin d’ora che contro una simile eventualità si leverebbero le alte grida dei “difensori della libertà”, propugnatori della facoltà di spendere il proprio danaro senza darne conto neppure al fisco. Sono questi i “paladini” delle forze economico-politiche che accettano tranquillamente la convenzione monetaria in base alla quale un lembo di carta filigranata di nessun valore intrinseco assume valenza legale quale unico mezzo fondamentale di pagamento, negando pretestuosamente la stessa valenza ad una tesserina rilasciata da un istituto abilitato. Bisognerà, ovviamente, tener conto che la possibile abolizione della circolazione monetaria cartacea comporterebbe qualche piccolo inconveniente, comunque facilmente eliminabile, ma avremmo uno strumento, supportato da una convenzione sociale simile a quella della moneta cartacea, che assicurerebbe al titolare la più ampia libertà di spendere come vuole il proprio danaro; tranne quella di nascondere agli organi fiscali della collettività cui appartiene “tutte” le sue transazioni economiche.
Una volta messo a punto, questo strumento apporterebbe al funzionamento della società civile, oltre ad una significativa riduzione dell’evasione fiscale, anche altri importanti benefici, come quello di mettere in crisi tutti i mercati illegali, quali il potere economico delle mafie, lo spaccio della droga, il riciclaggio dei capitali di provenienza illegale, l’usura, le scommesse clandestine, le grandi rapine ai furgoni portavalori, ecc. La questione della “privacy”, sarebbe fuori discussione, poiché questo strumento, privo di costi aggiuntivi per i contribuenti, godrebbe, tra le altre prerogative, anche di una protezione legale rafforzata, quale contropartita della ben accetta possibilità di smascherare gli interessi di coloro cui sta molto a cuore l’illegalità impunita, specialmente quella di poter continuare ad evadere e ad eludere i propri doveri fiscali, senza essere minimamente disturbati.