– di ROMANO BELLISSIMA –
Nonostante la pandemia da covid-19 continua ad imperversare nel mondo, facendo crescere ansie e contagi tra le popolazioni speranzose nell’imminente arrivo di un antidoto sotto forma di vaccino o di cura, conviene che nell’attesa, pur con le limitazioni, i disagi e le paure conseguenti, pensiamo seriamente al nostro futuro. L’Europa, come noto, ha adottato, per la prima volta nella sua storia, misure finanziarie straordinarie che assicurano agli stati membri i mezzi per contrastare l’enorme crisi economica che la pandemia ha prodotto e che ancora oggi ne condiziona la ripresa. Da più parti si alza la richiesta di un nuovo modello di sviluppo. Ma che cosa è un nuovo modello di sviluppo? Quali caratteristiche ha? Quali sono i precursori economici di questo nuovo modello? Su quali nuovi asset confidiamo per un nuovo miracolo economico? E’ vero che siamo in molti a credere che nulla sarà più come prima del covid-19, ma riguardo ai nostri comportamenti alle abitudini, all’individualismo, al menefreghismo, all’irresponsabilità, al disinteresse per la conoscenza ecc. Invece per lo sviluppo dell’economia sarebbe sufficiente guardarsi attorno e incominciare a riparare lo scempio che abbiamo fatto del nostro ambiente, delle città, delle campagne, dei fiumi, dei laghi e perché no, della nostra industria, del made in Italy, del nostro artigianato ecc. Questi sono i veri precursori di un sano sviluppo economico e occupazionale del nostro Paese.
Credo che una riflessione di tutte le forze politiche, sociali ed economiche sui temi dell’ambiente come motore di sviluppo della nostra economia sia una occasione unica e irripetibile. In Italia le problematiche ambientali irrisolte sono davvero tante ed è proprio questa abbondanza di opportunità a renderle interessanti ai fini dello sviluppo economico dell’intero Paese. Su questi temi, negli ultimi 50 anni, sono stati scritti montagne di articoli, libri, accordi sindacali, leggi, decreti ecc.. col risultato che in molti casi i progressi migliorativi, che pure ci sono stati, sono stati mediamente inferiori alla crescita dei disastri.
Tanto per citare solo alcuni di questi temi:
Raccolta dei rifiuti
Prendiamo ad esempio la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani. Quasi tutti i comuni d’Italia sono ancora alla ricerca delle discariche pubbliche dove scaricare i propri rifiuti, generando conflitti, polemiche e a volte anche problemi sanitari, con le comunità coinvolte, esattamente come si faceva nei secoli scorsi, quando però la quantità dei rifiuti era decisamente inferiore. Oggi disponiamo di soluzioni tecnologicamente più adeguate, in grado di offrire soluzioni che garantiscono ampi margini di sicurezza per la salute pubblica, per la compatibilità ambientale e per il ritorno economico dell’investimento, e Dio sa quanto bisogno hanno i comuni di migliorare le loro entrate finanziarie;
Rigenerazione urbana
Siamo una società che invecchia progressivamente, almeno così eravamo prima del COVID-19, che ha fatto strage di persone anziane, e speriamo di poter tornare di nuovo a vivere a lungo. Le nostre città, le nostre strade, le abitazioni, i mezzi di trasporto pubblico non sono certo a misura di anziani tanto che generano una quantità notevole di incidenti domestici, stradali, relativi alla mobilità degli anziani che, oltre ad incidere sulla salute pubblica dei cittadini, generano alti costi per la sanità pubblica e l’assistenza sociale. Ripensare il nostro habitat, anche alla luce dell’aspettativa di vita sarebbe una scelta di civiltà e di convenienza economica;
Sistema energetico nazionale
Nonostante i tagli nell’uso del carbone, è ancora elevato l’utilizzo di combustibili fossili per la produzione dell’energia utilizzata, cosa che genera alti livelli d’inquinamento, seri danni alla salute dei cittadini e disagi ricorrenti alla mobilità pubblica. Negli ultimi anni, anche sulla spinta dei Sindacati e dei movimenti ecologisti sta crescendo lentamente la produzione di energia da fonti rinnovabili. Comunque è bene ricordarsi che complessivamente l’Italia è deficitaria, rispetto al proprio fabbisogno di EE, con effetti negativi sulla crescita e la competitività del sistema Paese;
Sistema dei trasporti.
Siamo un Paese per tre quarti immerso nell’acqua che non utilizza le vie del mare per il trasporto delle merci, sovraccaricando in tal modo strade ed autostrade, appesantendo il bilancio dell’inquinamento ambientale, compromettendo la sicurezza stradale ed aumentando i costi del trasporto che vanno poi ad incidere sui prezzi finali dei prodotti e sulla competitività complessiva del nostro sistema Paese.
Ovviamente i temi che hanno correlazione con l’ambiente sono ancora tanti e riguardano la qualità dei consumi, gli imballaggi dei prodotti, il trattamento, la produzione e conservazione dei prodotti agricoli, il consumo e lo smaltimento di alcuni prodotti chimici ecc..
Volendomi soffermare un po’ di più su un tema che considero fondamentale quello del recupero delle arie industriali dismesse e volendo evitare di dover scrivere un trattato, tralascerò alcuni aspetti per cercare di evidenziare al meglio questo tema.
I cittadini costretti a vivere nelle vicinanze dei numerosi scheletri industriali, sempre più arrugginiti e maleodoranti disseminati su tutto il territorio nazionale, protestano continuamente e non si rassegnano ad una tale, rischiosa convivenza.
Secondo vecchi dati Istat del 2012, i siti dismessi occupano una superfice pari all’incirca al 3% dell’intero territorio nazionale, una superficie enorme, di oltre 100 milioni di metri quadrati. Sono circa 700.000 i capannoni dismessi e abbandonati.
L’Unione Europea è impegnata a ridurre a zero, entro il 2050, il consumo di nuovo suolo, è quindi del tutto evidente l’importanza del recupero, della bonifica e della rigenerazione di queste aree. I tentativi di bonifica di alcuni di questi siti sono stati, quasi sempre, bloccati dalla sovrapposizione di leggi e decreti contradditorie e da una rigida burocrazia protesa a vietare più che a promuovere. Quando poi le bonifiche sono state imposte da sentenze della magistratura, hanno comportato costi enormi, quasi sempre a carico dello Stato, poiché di solito si interviene dopo che gli imprenditori hanno chiuso le produzioni e abbandonato il sito, mentre i benefici economici delle bonifiche sono andati, quasi esclusivamente, ai Paesi detentori della tecnologia per la bonifica. In Europa ci sono molti esempi positivi di recupero, riconversione, rigenerazione di grandi aree industriali dismesse, a partire dal grandioso recupero del bacino della Ruhr situato nella Renania settentrionale in Germania, o dell’area di Marsiglia in Francia, Manchester in Inghilterra e molti altri.
L’Italia ha oggi una grande possibilità, dotarsi di un progetto di risanamento ambientale attraverso un piano di recupero e ristrutturazione delle aree industriali dismesse, finalizzandolo alla realizzazione di distretti industriali, dotati delle più moderne infrastrutture ed utility, al fine di avviare un processo di razionalizzazione dell’assetto industriale del Paese e costituire allo stesso tempo, un modello per attrarre capitali d’investimento. L’assenza di aree industriali modernamente attrezzate è una delle cause per le quali i capitali d’investimento non scelgono il nostro Paese. Una scelta di questo genere avrebbe il vantaggio di contribuire al sostegno dell’occupazione nei settori dell’edilizia e delle attività collegate, in una fase in cui la ripresa economica non sarà facile e scontata, e l’avvio, come ho accennato in precedenza, di un processo di riorganizzazione dell’assetto industriale del Paese, teso a ridurre la movimentazione e l’incidenza dei costi di trasporto sia degli intermedi, necessari alla produzione, che degli stessi prodotti finiti per raggiungere i mercati.
La competitività internazionale richiede, oltre ad una grande cura sulla qualità dei prodotti, l’attenta analisi dei costi di produzione e di trasporto. I prodotti a basso volume e ad alto valore aggiunto si possono più facilmente allocare in qualsiasi parte del Paese, quelli ad alto volume e basso valore aggiunto possono sopravvivere se e quanto sono più vicini ai mercati di sbocco. Da qui la necessità di organizzare il sistema industriale in distretti produttivi e aree integrate. Ovviamente è necessario adeguare il quadro normativo sia per le rigenerazioni come per i nuovi investimenti, verso i quali sarebbe auspicabile uno sportello unico con i poteri di autorizzazione e rilascio delle relative licenze in tempi rapidi, come avviene già negli altri Paesi Europei.
Un Governo che avesse il coraggio di mettere mani a questi temi sono convinto, passerebbe alla storia come il Governo della modernizzazione e dello sviluppo strutturale dell’economia nazionale.