-di PIERLUIGI PIETRICOLA–
Il Sars CoV2 sparirà come la prima SARS: è vero? Perché non sono subito state effettuate le autopsie sui primi deceduti risultati positivi al Sars CoV2? Bisogna preoccuparsi dei nuovi focolai? Perché le persone hanno paura di tornare a una vita normale, pur con le dovute attenzioni? A far luce su questi e molti altri aspetti ci ha aiutato la Professoressa Maria Rita Gismondo.
Professoressa Gismondo, partiamo da un articolo scientifico pubblicato pochi giorni fa, in base al quale si dimostra che il beta-coronavirus della prima SARS e del Sars CoV2 sono simili (e quindi quest’ultimo sarà destinato a sparire) in quanto è stato verificato che chi contrasse a suo tempo la SARS ha sviluppato un’immunità di tipo cellulare in virtù della quale non ha potuto contrarre l’infezione da Sars CoV2. Lei che ne pensa?
Si tratta di una nuova scoperta scientifica, a mio parere molto interessante nelle conclusioni, e che ci fa ben sperare. Sebbene lo studio sia stato condotto su una casistica limitata, dal punto di vista numerico, tuttavia gli esisti sono molto stimolanti. Aver dimostrato che le persone guarite dalla prima SARS hanno sviluppato una risposta immunologica di cellule T, grazie alla quale non hanno contratto il coronavirus del Sars CoV2, è un passo avanti che ci può far essere ottimisti per il futuro: nel senso che, stando così le cose, anche il Sars CoV2, essendo simile per gran parte al beta-coronavirus della prima SARS, farà la sua stessa fine e quindi sparirà.
È vero che i beta-coronavirus permettono di sviluppare, una volta guariti, un’immunità di tipo cellulare?
Non tutti a dire il vero. Però alcuni sì.
È notizia di questi giorni che vi sono – in Lombardia e anche nel Lazio – nuovi focolai. Lei pensa ci si debba preoccupare oppure no?
Si tratta di focolai infettivi e basta. Come già ho avuto occasione di dire, anche insieme con altri colleghi, le patologie da infezione da Sars CoV2 adesso sono molto meno gravi rispetto a qualche mese fa. Non ci sono più ricoverati in terapia intensiva per questo coronavirus. Si tratta di un aspetto che non va trascurato e che bisogna considerare.
Per quanto riguarda i dati sui nuovi positivi che ogni giorno continuano ad essere comunicati: in che modo vanno interpretati e quali sono i cosiddetti dark data, cioè gli elementi che non sono subito evidenti e che invece è importante prendere in esame?
Diciamo che, inizialmente, sui dati dei tamponi sono stati fatti degli errori. E cioè si calcolava ogni tampone come un paziente. Si tratta di un’informazione falsa, visto e considerato che ciascuna persona veniva esaminata con due se non tre tamponi in alcuni casi. Si è trattato di un errore di lavoro, perché alcuni laboratori non riuscivano – e tutt’ora non riescono – a dare i dati per i singoli pazienti. Oltre a questo aspetto, ne va considerato un altro: molti tamponi, ancora oggi, non vengono effettuati. Quindi potremmo avere degli eventuali positivi di cui ignoriamo l’esistenza.
Perché non vengono effettuati i tamponi?
Perché materialmente mancano i reagenti in quantità sufficienti. Non c’è proprio possibilità, da un punto di vista operativo, di poterli fare a tutti.
Perché in Italia è stato proibito effettuare autopsie sui primi deceduti risultati positivi al Sars CoV2?
Questo, a mio avviso, è stato un errore che se non avessimo fatto ci avrebbe fatto risparmiare tanti morti. Su una circolare ministeriale era inserita una frase nella quale si diceva espressamente di non effettuare autopsie per evitare il contagio. Cosa di per sé assurda, perché fin dall’inizio si è sempre saputo che il contagio da Sars CoV2 avviene tramite le famose goccioline per via aerea. Adesso questa frase, dalla scorsa settimana, è stata cancellata.
Si può interpretare questa decisione come un eccesso di cautela?
No è stato un errore. Anzi: una vera e propria colpa. Di prassi, quando si ha a che fare con patologie derivanti da un agente patogeno nuovo, le autopsie si debbono fare. Solo così avremmo avuto più dettagli e risparmiato vite. Con le autopsie avremmo capito subito che l’iper infiammazione a carico dei polmoni causava tromboembolie e non polmonite interstiziale.
Le persone hanno paura di andare in giro e di tornare ad una vita normale, pur con tutte le giuste attenzioni del caso. Come si può superare questa condizione di panico generalizzato?
A parte alcuni casi in cui non si pone la giusta attenzione, io debbo effettivamente ammettere che c’è un panico smisurato che non trova giustificazione nella situazione reale. Le persone non escono di casa, hanno paura di andare a prendere un caffè o di mangiare una pizza in compagnia. Bisogna tornare a vivere, pur stando attenti a quelle circostanze che potrebbero favorire il contagio. Purtroppo è un messaggio che fatica a passare, perché le persone non hanno più fiducia nei media e nelle istituzioni. Si è parlato troppo di questo coronavirus e, spesso, in modo contraddittorio. Ha ragione chi ha paura. Questa è la conseguenza di un modo sbagliato con cui ci si è rivolti alla comunità.
So che sta per uscire un suo libro.
Sì, uscirà credo a Luglio prossimo. Non parlerà del Sars CoV2: basta! Però si partirà dal Sars CoV2 per svolgere una serie di riflessioni su ciò che, a mio avviso, avremmo dovuto imparare da questo evento per non ripetere in futuro gli stessi errori. Questa pandemia ci dovrebbe aiutare a riflettere sugli sbagli commessi in passato per non ripeterli. Speriamo di aver imparato la lezione.