Croce nella lente di Gramsci

– di FRANCESCO VALACCHI –

Benedetto Croce fu il massimo esponente insieme a Giovanni Gentile, del neoidealismo italiano. La corrente filosofica, che ricade sotto un generale recupero e revisione dell’hegelismo, si generò in Gran Bretagna e in Inghilterra in particolare a partire dalla diffusione e del pensiero del filosofo tedesco grazie allo scozzese James Stirling, mentre il maggiore esponente fu Francis Herbert Bradley. L’opera cardine con la quale venne introdotto nel Regno Unito il pensiero di Hegel fu The secret of Hegel, del 1865, con la quale il pensiero principale ordinatore del sistema idealistico venne presentato ai lettori anglosassoni come evoluzione, critica, di quello di Immanuel Kant.[1] La voluminosa monografia, suddivisa in due grandi volumi per un totale di oltre mille pagine consiste in parti esplicative dell’evoluzione filosofica tedesca fino al sistema hegeliano unite alla traduzione dei testi che l’autore considerava perno del sistema hegeliano.[2]

Dall’opera di Stirling prese appunto le mosse Bradley, figura di riferimento del neohegelismo inglese, che agì inizialmente come reazione al positivismo e all’ambiente filosofico inglese generale di quel periodo. Egli visse ad Oxford ed insegnò al Merton College filosofia. Studiò la lingua tedesca abbastanza da poter leggere classici della filosofia in lingua originale. Bradley è senza dubbio la figura di riferimento del neohegelismo di matrice anglosassone. L’opera che segnò la svolta per la sua  personalità di studioso e per la sua posizione all’interno dell’ambiente filosofico inglese fu Appearence and reality, pubblicato nel 1893 nella prima versione e successivamente nel 1897 e tradotto in italiano nel 1984 per l’editore Rusconi Libri.[3]

Nella prefazione l’autore afferma di poter descrivere il suo lavoro come un saggio sulla metafisica (concetto ripreso anche nel sottotitolo esplicativo dell’opera), come un’opera che tenta di ridare alla dimensione metafisica della filosofia la sua importanza per troppo tempo sottovalutata nel mondo anglosassone, anche a vantaggio, egli afferma, di certi “luoghi comuni materialisti”.[4] In effetti il grande merito della filosofia di Bradley fu anche quello di innestarsi nell’ambiente della tradizione positivista inglese e portare una sorta di rivoluzione nella tradizione anglosassone. L’Inghilterra infatti mantenne a lungo, rispetto ad altri paesi europei, la ferrea visione positivista, ovvero un’idea baconiana della scienza che esaltava l’osservazione e l’esperimento a discapito della speculazione e che poneva comunque in secondo piano il ragionamento metafisico.[5] Nella seconda metà dell’Ottocento, a partire da Bradley, avvenne la rivoluzione di pensiero che reintrodusse la logica e la metafisica, rivisitate secondo il sistema hegeliano, in tale sostrato filosofico-scientifico. Il principale spunto critico che pesò sulla diffusione del neohegelismo anglosassone fu quello dell’opposizione alla morale utilitaristica e sociologica che arrivava a cancellare completamente non i valori ideali ma anche una logica che non sia suffragata costantemente da dati empirici e sostenuta da essi.

Nell’ambiente culturale del nostro paese l’idealismo e più in particolare il neohegelismo venne introdotto sostanziosamente qualche anno più tardi ad opera di Benedetto Croce e Giovanni Gentile che seppero, essenzialmente a partire dall’inizio del Novecento, riportare nella cultura italiana la centralità del sistema della logica hegeliana. Forse l’opera che pose maggiormente in luce l’imposizione di quella che venne anche definita “egemonia crociana”[6] fu l’organizzazione del pensiero crociano apparsa sotto il nome di  Logica come scienza del concetto puro nel 1909. Questo volume è parte del sistema crociano della Filosofia come scienza dello spirito (ne sono le altre parti: Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Filosofia della pratica. Economica ed etica e Teoria e storia della storiografia) e descrive la categorizzazione logica generale sulla quale si costruisce il pensiero di Benedetto Croce, le basi e i fondamenti della logica da lui interpretati. Il concetto di base che si evidenzia è che la lettura data da Croce al sistema hegeliano non è certo una completa ed acritica accettazione ma una ristrutturazione e rivisitazione del pensiero in una chiave che, ad esempio, accettava sì la dialettica sistematizzata dal filosofo tedesco ma non concepiva come tutto potesse risolversi ad una lettura dialettica universalizzata. La dialettica trova il suo senso e la sua forza logica quando considerata all’interno delle singole forme dell’attività spirituale, questo sottolinea Croce nella sua opera, arrivando a statuire con chiarezza che in realtà il sistema logico è una serie di sistemazioni, quelle dei problemi concreti di cui il filosofo prende conoscenza.[7]

Quella di Croce fu una vera e propria rivoluzione ed uno stravolgimento del pensiero hegeliano, pur nel segno della continuità sul binario del neoidealismo. Gli orientamenti presenti nel panorama culturale italiano in quei primi anni del Novecento e ultimi anni dell’Ottocento erano essenzialmente il positivismo importato dalla cultura anglosassone e occidentale in generale (figlio della rivoluzione industriale e della filosofia positivista francese che in Italia attecchiva nonostante lo sviluppo industriale non fosse così avanzato), il marxismo italiano con Labriola e la filosofia della prassi gramsciana (che spaventava la maggioranza delle classi medie italiane col supposto fantasma della bolscevizzazione) e le correnti filosofiche religiose legate al cattolicesimo che da una parte vedevano le più alte aspirazioni in realtà come quella dei gesuiti e dall’altra erano comunque decisamente conservatrici. La filosofia di Croce seppe trionfare e farsi egemonica approfittando della sua forza speculativa, della resistenza al positivismo e al marxismo causate dai motivi sopra specificati, dall’elitarismo della cultura clericale e, in ultima analisi, della sua discrezione sociale. Le classi dirigenti italiane poterono, con Croce e con Gentile, finalmente trovare  il compromesso ideologico nel neoidealismo. Si trattava di un sistema elaborato, e non ricopiato né banale, la cui sostanza consisteva in una lotta senza contro il materialismo e il marxismo, nella giustificazione del sistema sociale esistente (che in parte portò anche all’accettazione del fascismo, almeno sino al 1925 e nell’unificazione di diversi indirizzi ideologici conservatori). Croce affermava finalmente in virtù di un sapere filosofico che si poneva superiore a quello tecnico-scientifico ed aveva una sua spiritualità e che si avvicinava, senza essere clericale ma professandosi laico, alla tradizione cattolica della penisola.

Antonio Gramsci da intellettuale riconobbe senza dubbio la grandezza del pensiero crociano e vi si confrontò più e più volte. Gramsci approcciò il problema del neoidealismo italiano ed in particolare della filosofia di Benedetto Croce dal punto di vista della critica all’estetica di Croce, dal punto di vista della critica sociale al sistema di Croce, dal punto di vista della visione crociana della storia (in particolare della storia italiana), dal punto di vista del rapporto con la religione in cui il pensiero di Croce si poneva ed infine dal punto di vista dell’egemonia che la filosofia di Benedetto Croce aveva raggiunto nella cultura italiana.

Critica all’estetica del Croce.

Antonio Gramsci vide in Croce l’intellettuale conservatore per eccellenza e lo considerò comunque figura di primo piano anche nell’espressione della critica. Gramsci tratta l’estetica di Benedetto Croce sempre ad esito di un preciso esame e cerca di essere aggiornato allo stato dell’arte sul pensiero del Croce (nonostante questo rappresentasse una certa difficoltà, soprattutto dal carcere). Un punto che Gramsci pone centralmente nella sua analisi è la cristallizzazione dell’estetica del Croce. Nel sesto dei suoi Quaderni dal carcere Gramsci si pone la domanda retorica: <<L’estetica del Croce sta diventando normativa, sta diventando una “rettorica”?>>[8] E la risposta è formulata attraverso la citazione di un passo del Croce che mira alla restaurazione dell’estetica classica a discapito di quella romantica, mentre, Gramsci afferma, che l’estetica avrebbe in realtà il solo compito di elaborare una teoria della bellezza, non tanto quello di criticare differenti estetiche, mentre Croce sminuisce ormai tutti gli orientamenti estetici che non si confanno al proprio idealismo e alla propria moralità. Si tratta essenzialmente di affermare che il pensiero crociano è giunto al punto di criticare a priori tutto ciò che non è sua parte partendo da un presupposto “morale”.[9] Insomma Croce si sente ormai arbitro di tutti gli aspetti della vita culturale italiana e principalmente dell’etica.

Nei Quaderni si incontra sovente la posizione di Gramsci  all’etica di Croce ed  il quaderno 10 è interamente dedicato all’opera e al pensiero del filosofo di Pescasseroli e viene impostato dall’intellettuale come  un preliminare lavoro di studio per un futuro saggio sul Croce. Gramsci contrapponeva l’estetica marxista e quindi ispirata al ragionamento della filosofia della prassi all’estetica idealista i Croce. Croce definiva l’arte e l’estetica come rientranti nella prima categoria dello spirito mentre invece l’arte per Antonio Gramsci nasceva dai rapporti sociali ed era un vero e proprio processo sociale e non certo un momento dello spirito del singolo artista. Nel suo Quaderno  14 ad esempio Gramsci, trattando di forma e contenuto nella letteratura afferma:

Si può parlare di una priorità del contenuto sulla forma? Se ne può parlare in questo senso, che l’opera d’arte è un processo  e che i cambiamenti di contenuto sono anche cambiamenti di forma.[10]

L’opera d’arte è il processo in cui viene a manifestarsi, attraverso l’interpretazione dell’artista, la struttura sociale (perché con Gramsci si parla di struttura anche nel contesto sociale) nella determinata epoca e da qui lo scontro con l’idea estetica del Croce e soprattutto con la preminenza e la preesistenza dell’opera d’arte già nella mente dell’artista. Gramsci esprime chiaramente il suo dissapore sempre nei Quaderni nel passo:

Mi pare che il problema è sempre da porre partendo dalla domanda: -Perché scrivono i poeti? Perché dipingono i pittori? ecc.- (Ricordare l’articolo di Adriano Tilgher nell’”Italia che scrive”). Il Croce risponde, su per giù; per ricordare le proprie opere, dato che, secondo l’estetica crociana, l’opera d’arte è “perfetta” anche già e solo nel cervello dell’artista. [11]

Per Gramsci quindi quanto espresso dal pensiero crociano era che la predisposizione dell’artista alla prima categoria dello spirito lo rendeva artista a priori, quasi in senso immediato e senza confrontarsi con un procedimento dialettico che lo collocasse al suo posto nel sociale. Gramsci arrivava a definire questo atteggiamento dell’artista, concluso in sé ed estraneo all’ambiente sociale: <<”individualismo” artistico espressivo antistorico (o antisociale, o anti-nazionalepopolare).>>[12]

La critica sociale al pensiero di Croce.

Prendendo le mosse dall’orientamento crociano verso l’estetica visto da Gramsci si può desumere anche quale fosse la critica che Gramsci poneva a Benedetto Croce in merito al suo orientamento verso la problematica sociale: l’accusa di una completa mancanza di comprensione. Gramsci afferma: <<Croce non capì, praticamente, quale potente influsso culturale (nel senso di modificare i quadri direttivi intellettuali) avrebbero avuto le passioni immediate di queste masse.>>[13] ma anche che <<ogni atto storico non può che essere compiuto dall’”uomo collettivo”, cioè presuppone il raggiungimento di una unità culturale-sociale per cui una molteplicità di voleri disaggregati, con eterogeneità di fini, si saldano insieme per uno stesso fine, sulla base di una (uguale) e comune concezione del mondo.>>[14] mentre per Croce l’importanza e il peso dell’élite di fronte all’importanza della massa era incommensurabilmente maggiore di qualunque orientamento delle masse. Il concetto stesso di fusione di finì eterogenei della massa (ottenuto grazie alla pedagogia della dottrina politica) è essenzialmente un completo rifiuto della preminenza e del distacco riconosciuto da Croce agli intellettuali e ai dirigenti politici, tutt’altro che organici alla massa.

Critica alla visione della storia crociana.

Nel Quaderno 10 di Gramsci si possono trovare varie ed articolate critiche gramsciane alla visione di Croce della storia. Croce viene addirittura definito il leader delle correnti revisionistiche:

Croce come leader intellettuale delle correnti revisionistiche della fine del secolo XIX. Nella lettera di Giorgio Sorel al Croce in data 9 settembre 1899 […]. La riduzione del Croce del materialismo storico a canone di interpretazione della storia irrobustisce criticamente l’indirizzo “economico–giuridico” della scuola italiana.[15]

Per Gramsci l’obiettivo del revisionismo di Croce, lungi dall’essere una contemplazione della storia in armonia con la sua filosofia neoidealista era in realtà la liquidazione per intero dell’edificio del materialismo storico e della filosofia della prassi.[16] Croce appariva in questo senso a Gramsci il punto di forza della cultura egemonica in Italia in quel preciso momento storico e, cosciente della forza che poteva rappresentare la filosofia della prassi, si concentrava essenzialmente sulla sua liquidazione e sulla sua critica spregiudicata. Da questo punto di vista Gramsci nel medesimo Quaderno individua nella filosofia crociana un atteggiamento di critica distruttiva che prevale sull’aspetto speculativo (andando pertanto anche a costituire una contraddizione in termini per il sistema neoidealistico):

Ancora: l’attività del Croce si presenta essenzialmente come critica, incomincia col distruggere una serie di pregiudizi tradizionali, col mostrare falsi e inconcludenti una serie di problemi che erano il comico “dada” dei filosofi precedenti, ecc., identificandosi in ciò con l’atteggiamento che verso questo vecchiume aveva sempre mostrato il senso comune.[17] 

Non è casuale per la proposizione critica del filosofo della prassi avvicinare la visione storica al senso comune popolare, l’intento è quello di ridimensionarla, di proporre al lettore la sua intrinseca contraddizione (nel senso della fuoriuscita dai binari dell’idealismo e del neo-idealismo) ed, in ultima analisi, di voler mettere in luce l’appartenenza di Croce al sistema culturale egemonico della borghesia che tende a buona posta a fare apparire ogni soluzione culturale del Croce accettabile e condivisibile anche se scollata dal sistema: <<accettabile indipendentemente dalle altre soluzioni, in quanto è appunto presentata come espressione del comune buon senso.[18]

 

Croce e la religione.

A riguardo del rapporto del crocianesimo con la religione vale la pena di accennare la sua decisiva importanza per due aspetti centrali, uno riguardante il panorama culturale dell’Italia di quegli anni e l’altro la filosofia di Croce in sé. Il primo aspetto è presto esplicitato nella chiarificazione del peso del cattolicesimo nella cultura italiana, e un dato che può dare l’idea della scala di grandezza di tale peso, soprattutto a livello politico, è che nel 1919, anno in cui Papa Benedetto XV implicitamente revocò il non expedit per permettere ai cattolici di aderire al Partito Popolare di Don Luigi Sturzo, tale compagine politica divenne immediatamente una forza indispensabile alla formazione del governo ottenendo nel novembre di quell’anno oltre il 20% delle preferenze elettorali. Per ciò che concerne invece il secondo punto, ovvero la filosofia di Benedetto Croce in sé, il neoidealismo aveva nella fede cattolica certo un generale riferimento allo spirituale (trattandosi di un’impostazione idealistica) pur contemplando Dio non in funzione teologica ma essenzialmente ricercando negli ideali del cattolicesimo la trasfigurazione dello Spirito e compiendo una costante ricerca della fenomenologia del cristianesimo.[19]

Era pertanto inevitabile che Gramsci andasse a toccare la posizione di Croce di fronte alla religione cattolica:

Croce e la religione. La posizione del Croce verso la religione è uno dei punti da analizzare per comprendere il significato storico del crocismo nella storia della cultura italiana. Per il Croce la religione è una concezione della realtà con una morale conforme a questa concezione, presentata in forma mitologica.[20]

In queste poche parole viene pienamente riassunta la concezione che Gramsci aveva della posizione di Croce verso la religione cattolica in particolare pur restando fermo il principio, espresso poco sotto, che il Croce non fece nessuna concessione intellettuale alla religione e pose al di sopra di qualsiasi religione (e quindi divinità) il concetto di spirito, coerentemente, in questo senso, con la filosofia neoidealistica. Per Gramsci, anche in considerazione del peso del cattolicesimo nella cultura italiana e quindi dell’importanza dell’aspetto religioso in una filosofia che vuole essere egemonica come quella del Croce, non vi fu un uso strumentale della tematica religiosa. Se vi fu un atteggiamento strumentale fu piuttosto quello della critica cattolica al Croce che si mantenne semmai velata sinché l’opera del Croce non arrivò ad essere percepita come un certo tipo di rivoluzione che tendeva a tenere isolato il ruolo dell’intellettuale dagli aspetti religiosi e quindi a vanificare l’influenza del cattolicesimo sull’élite intellettuale.[21]

Conclusioni: l’attacco di Gramsci all’egemonia crociana.

Nell’opera del Croce vi fu per antonomasia l’opposizione intellettuale alla filosofia della prassi, quella risultò essere quella soluzione culturale egemonica liberale che tenne il campo della cultura italiana sino alla fine della Seconda guerra mondiale (pur addivenendo a screzi col fascismo). Alle spalle della filosofia crociana rimaneva sempre la radice di Hegel[22] e l’ombra del filosofo tedesco fu giustamente uno dei punti che Gramsci considerò sempre nelle sue critiche, come abbiamo visto, quando Croce se ne allontanava immotivatamente.

Possiamo affermare che Gramsci sia stato l’anti-Croce per eccellenza? Non pare che questa domanda possa avere una risposta positiva se si tiene ben presente che il punto di partenza della filosofia della prassi e del neoidealismo è il medesimo  e che la filosofia della prassi non disconosce tale origine. Ma va comunque riconosciuta la necessità che senza dubbio Gramsci sentiva di dover attaccare la filosofia crociana come grimaldello egemonico al quale la filosofia della prassi sentiva di essere destinata a sostituirsi.

Non può poi certo essere tentato se non a rischio di una chiara mossa goffa e politicizzata nel senso deleterio del termine lo stabilimento di un’asse di pensiero De Sanctis-Labriola-Croce-Gramsci come reso chiaro dalle pagine di “Belfagor” nell’articolo Neohegelismo e attualismo: all’origine della gramsciana filosofia della prassi.[23] In questo articolo della puntuale rivista si traccia anche l’importanza che ebbe Croce nell’elaborazione del pensiero gramsciano: confronto diretto è vero, ma anche continuità di ragionamento dialettico (poiché, come già espresso, è su questo binario che, almeno formalmente, si pongono i due sviluppi di pensiero).[24] In ambedue (Croce e Gramsci), al di là dell’animoso scontro vi era la consapevolezza di essere intellettuali di riferimento e di avere il retroterra della filosofia idealistica e al contempo la certezza che la scissione si era compiuta e si era compiuta a livello ideologico-politico e di lotta per l’egemonia.

 

Bibliografia.

Giancarlo Bergami, Neohegelismo e attualismo: all’origine della gramsciana filosofia della prassi, “Belfagor” vol. 52, n. 5 30 settembre 1997, pp. 517-534.

Paolo Bonetti, Croce e il cristianesimo, in “Bollettino filosofico” n. 28, 2013, pp. 5-21.

Benedetto Croce, La logica come scienza del concetto puro, Bari, Laterza, 1909.

Arcangelo Leone De Castris, Estetica e politica, Milano, FrancoAngeli, 1989.

Valentino Gerratana (a cura di), Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere II, Torino, Einaudi, 1975.

Valentino Gerratana (a cura di), Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere III, Torino, Einaudi, 1975.

Evan Watkins, Gramsci’s anti-Croce, in “The Legacy of Antonio Gramsci” vol. 14, n. 3, pp. 121-135.

[1] Cfr. James H. Stirling, The Secret of Hegel, Harlow, Longmans, Greeen & Company, 1865, p. IX.

[2] Cfr. Idem, pp. 320-465.

[3] La versione italiana è a cura di Dario Sacchi: Dario Sacchi (a cura di), Francis H. Bradley, Apparenza e realtà. Saggio di metafisica, Santarcangelo di Romagna, Rusconi Libri, 1984.

[4] Cfr. la seconda edizione inglese nella sua versione del 1916, Francis H. Bradley, Appearence and Reality. A metaphisical Essay, London, George Allen & Unwin, 1916, p. 5.

[5] Cfr. Monica Amadini, Ontologia della reciprocità e riflessione pedagogica: saggio sulla filosofia dell’amore di Maurice Nédoncelle, Milano, Vita e Pensiero, p. 35.

[6] Cfr. Simone Giusti, La congiura stabilita: dialoghi e comparazioni tra Ottocento e Novecento, Milano, FrancoAngeli, 2005, p. 39.

[7] Cfr. Giuseppe Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Bari, Laterza, 2002, p. 127.

[8] Cit. Valentino Gerratana (a cura di), Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere II, Torino, Einaudi, 1975, p. 794.

[9] Cfr.,  ibidem.

[10] Cit. Valentino Gerratana (a cura di), Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere III, Torino, Einaudi, 1975, p. 1737.

[11] Cit. idem, p. 1686.

[12] Cit. idem, p. 1687.

[13] Cit. Valentino Gerratana (a cura di), Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere II, op. cit., p.780.

[14] Cit. idem, p. 1331.

[15] Cit. idem, p.1214.

[16] Cfr. idem pp. 1214-1215.

[17] Cit. idem, p.1217.

[18] Cit. ibidem.

[19] Cfr. Paolo Bonetti, Croce e il cristianesimo, in “Bollettino filosofico” n. 28 2013, pp. 5-21.

[20] Cit. Valentino Gerratana (a cura di), Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere II, op. cit., p. 1217.

[21] Cfr. idem pp. 1218.

[22] Cfr. Evan Watkins, Gramsci’s anti-Croce, in “The Legacy of Antonio Gramsci” vol. 14, n. 3, pp. 121-135.

[23] Cfr. Giancarlo Bergami, Neohegelismo e attualismo: all’origine della gramsciana filosofia della prassi, “Belfagor” vol. 52, n. 5 30 settembre 1997, pp. 517-534.

[24] Cfr. Giancarlo Bergami, Neohegelismo e attualismo: all’origine della gramsciana filosofia della prassi, p. 528.

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

Rispondi