-di Enrico Matteo Ponti–
Certamente tutti ricorderemo che dopo gli attentati alle torri gemelle venne di moda la frase “Nulla sarà più come prima!” stando, con ciò, ad indicare che il mondo dopo quella immane tragedia avrebbe dovuto ritrovare un suo nuovo e più intenso criterio con il quale affrontare e risolvere gli innumerevoli problemi che l’egoismo delle genti avevano fatto stratificare nei millenni.
Rilanciare il ruolo dell’ONU, progredire nel processo di disarmo, realizzare una più equa ripartizione dei beni che Madre Terra mette a disposizione dell’umanità, pervenire ad una rivisitazione delle politiche ambientali e via elencando.
Da quel momento in poi l’unico effettivo intervento relativamente ai quei tanti impegni ha riguardato solo i pressanti, e giusti, controlli negli aeroporti. Per il resto, invece….. il resto di niente.
Oggi, alla luce della tragedia planetaria che ci sta investendo, prepotentemente, la frase “Niente sarà più come prima” torna, come un mantra, sfidante e decisa sulle bocche di tutti.
Speriamo che oltre ad essere sulle bocche di tutti lo sia anche negli animi specie di quanti, per ruolo e responsabilità, potrebbero, volendolo, veramente e per davvero…, realizzare queste buone intenzioni.
Preso, scetticamente, atto delle riconfermate, solenni e pompose promesse a livello mondiale, in ordine alla realizzazione delle quali chi scrive nutre più di qualche dubbio, con umiltà mista ad un pizzico di sana follia, restando all’interno dei patrii confini, sono convinto che la stragrande maggioranza dei nostri connazionali si accontenterebbero che molto restasse com’era prima della pandemia mentre, e radicalmente, vorrebbero che cambiassero, sì, alcune cose. Ovviamente sul serio e non a chiacchiere…
Ci riferiamo, in primis, ad una profonda revisione di quella pletora di interventi a tutti i livelli (nazionale, regionale, comunale) che hanno portato ad un sostanziale e drammatico massacro dei sevizi pubblici, in quantità e qualità, messi a disposizione della cittadinanza.
Oggi, purtroppo, abbiamo avuto la prova provata di quanto i maledetti tagli lineali alla sanità abbiano prodotto un contemporaneo arricchimento di quello che viene sinteticamente chiamato “privato” e un arretramento progressivo ed inaccettabile del pubblico.
Quando una visita specialistica ad un ottuagenario viene fissata dalla ASL dopo 18 mesi dalla richiesta, quanto una TAC non è realizzabile prima di duecento giorni, quando un intervento “urgente” viene fissato magari a 40/60 giorni, credo che tutti ci si debba interrogare sull’obbligo di rimettere in carreggiata il sistema, avuto, anche, conto che le stesse prestazioni per i “fortunati”, vuoi per disponibilità economica, vuoi per polizza sanitaria integrativa, sono fruibili praticamente in tempo reale.
Non mi attarderò troppo sui drammi umani di chi si vede, spesso, costretto ad impegnare i gioielli di famiglia o a ricorrere a prestiti con amici e parenti, o peggio con strozzini e usurai…
Mi limiterò, invece, a citare un dato fornito dal noto psichiatra Alessandro Meluzzi il 7 marzo scorso durante un suo intervento a RadioRadio: “nei primi anni ’80 i posti in rianimazione in rapporto alla popolazione generale erano 4 volte quelli di oggi”
Avvicinandoci di più ai giorni nostri, il professor Giulio Tarro, illustre virologo italiano, in un’intervista rilasciata a Pierluigi Pietricola pubblicata il 16 marzo scorso su questo stesso blog, afferma “dal 1997 al 2015, relativamente ai reparti di terapia intensiva, si è venuta a creare una situazione di questo tipo: da 575 posti ogni centomila abitanti, si è passati ai 275 attuali . C’è stato un taglio scandaloso del 51%. E questi che cito sono dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità”.
Ovviamente, questo dato è solo uno dei tanti che sono derivati dai tagli, lineari e non solo…., agli organici dell’intera pubblica amministrazione italiana. Quella pubblica amministrazione che, nel confronto con i paesi dell’Unione Europea, oggi, praticamente vanta il ben triste primato del più basso numero di addetti rispetto alla popolazione.
E come non ricordare, qui, la follia del numero chiuso a medicina che oggi ci obbliga a richiamare in servizio i medici in pensione, a dichiarare superato l’esame di abilitazione e a considerare specializzati gli specializzandi?
Certo, dietro l’angolo c’è sempre la questione “costi” che viene sventolata ad ogni pie’ sospinto da chi non si vergogna di offendere la nostra intelligenza facendo finta di dimenticare che in Italia l’evasione fiscale sfiora i 200 miliardi di euro l’anno. Cifra questa di gran lunga bastevole, se la si volesse recuperare, a ridare spessore e dignità al nostro welfare e a combattere la piaga della disoccupazione.
Poi i cittadini urlano dimenticandosi, però, che i responsabili non sono gli impiegati al di là del vetro con i quali se la prendono pur avendo 1011 ragioni di lamentarsi ma coloro che tale stato di cose hanno studiato, programmato, realizzato, perpetuato. Quegli stessi cittadini che poi, non chiedetemene il perché, però, votano per quelle stesse forze politiche che hanno creato la drammatica situazione che viviamo.
E questo vale per la scuola, per la ricerca, per l’università, per le forze dell’ordine, per la cultura…. Ma per oggi non vi voglio rattristare troppo….
Salvo a ricordare la famosa frase “Con la cultura non si mangia!” Poveri noi!
La condizione che si è creata dopo tangentopoli è stata caratterizzata dalla decapitazione della migliore classe dirigente Italiana. La rabbia della popolazione che, ipocritamente, non ha voluto capire che la politica seria ha un costo e che chi ci governa deve avere lunghi periodi di formazione che si possono costruire con anni di militanza all’interno di partiti e sindacati e tutte le altre strutture finalizzate alla politica ha portato al potere soggetti che il giorno prima erano disoccupati o ancora peggio non avevano mai pensato ad altro che a divertirsi. Tutti, vittime e carnefici di tangentopoli, hanno fatto un errore storico e quando il “POPOLO” da in mano il potere al “popolo” non guarda alla qualità ma a chi grida più forte. Una grande nazione come l’Italia non può ripartire se al potere non andranno di nuovo politici maturati nelle stanze della politica. Una nuova classe politica sta crescendo, ma il rischio di tornare al populismo è molto forte e se ciò dovesse avvenire sarà veramente difficile risolvere problemi sociali di tanto rilievo sociale, perché la loro soluzione, molto costosa, necessita di soggetti politici che guardano lontano e non di chi, temendo di non essere rieletto, pensa solo a sopravvivere per un mandato. Noi tutti abbiamo il dovere di lottare per risollevare la nostra Italia, ma dobbiamo anche attenzionare le dinamiche che portano al consenso della popolazione, senza mai trascurare gli interessi sociali, per evitare che il consenso vada a chi non è all’altezza di governare la cosa pubblica, ciao Santino Gattuso