-di PIERLUIGI PIETRICOLA–
Comincia, a partire da oggi, un proficuo confronto con il Prof. Giulio Tarro. L’illustre virologo, più volte candidato al Premio Nobel per la medicina, analizzerà insieme con noi, di settimana in settimana, la situazione sul Corona virus (il cui nome scientifico è SARS-CoV2). Si tratterà di conversazioni a carattere scientifico, affinché i nostri lettori – e non solo – possano avere le idee più chiare e vivere la stringente quotidianità in modo più sereno e, soprattutto, consapevole.
Prof. Tarro da mesi sentiamo parlare di questo nuovo Corona virus. Si tratta di un’influenza normale, magari più contagiosa, o ci troviamo di fronte a qualcosa di più grave e pericoloso?
Diciamo che si hanno una decina di famiglie virali che possono dare delle virosi respiratorie. E stiamo, appunto, parlando dei corona virus. I quali, fino al secolo scorso da quando vennero scoperti, essendo causa di semplici raffreddori vennero etichettati come benigni.
Nel 2002/2003 ci fu quell’episodio di Sindrome Respiratoria Acuta Severa, o SARS così come descritta etimologicamente, che si risolse nel giro di sei mesi – da Novembre 2002 ad Aprile 2003. Ci furono oltre ottomila casi di contagio con 774 episodi di mortalità. Stiamo, quindi, parlando di quasi del 10% sul totale. A partire da quel momento, il Corona virus venne etichettato come qualcosa di serio e perciò non più benigno.
Nel 2012 ci fu, nel Medio Oriente, un altro episodio sempre legato al Corona virus. Si osservò essere una situazione a macchia di leopardo e che diede altri casi nel 2015. Sto parlando della MERS, la cui percentuale di mortalità fu di un paziente su tre contagiati. La situazione venne risolta sia con gli anticorpi delle persone guarite che con l’utilizzo degli anticorpi monoclonali umani (un protocollo di cura simile sul SARS-CoV2 lo stanno mettendo a punto in Olanda proprio in questi giorni).
Il terzo episodio di Corona virus, non più semplici agenti di raffreddori, è quello che stiamo vivendo. Ne sappiamo vita, morte e miracoli per quanto accaduto in Cina. Si presume che i primi casi possano essere cominciati nell’Autunno 2019, successivamente ufficializzati come polmonite atipica il 31 Dicembre scorso. Dopo tre settimane è stato dichiarato il contagio interumano. E da allora è iniziata una serie di comunicazioni, sia dalla Cina che da chi ha cominciato a studiare l’argomento – gli Stati Uniti d’America ma anche il Canada, l’Australia e la Germania con un test diagnostico approvato dall’OMS. In sostanza ci troviamo di fronte a ottantamila casi in Cina con un finale come quello della SARS del 2002/2003. Da epidemia si è deciso di chiamarla pandemia perché il virus è attualmente presente in tutti i continenti. Ma si tratta di una distinzione puramente semantica che non cambia la sostanza dei fatti.
Noi stessi, in Italia, abbiamo visto che i casi della coppia cinese ricoverata allo Spallanzani di Roma e quell’unico paziente che veniva da Wuhan si sono tutti risolti. Poi tra il 20 e il 22 Febbraio scorso ci sono stati centinaia di episodi, in particolare in Lombardia con un focolaio in Veneto, con percentuali di morte superiori alla Cina – che si è fermata al 2%. È però da tenere presente che qualche giorno fa l’Istituto Superiore di Sanità ha dichiarato che la maggior parte dei decessi, esclusi due, sono avvenuti “con” Corona virus, e non “da” Corona virus. Ciò che significa che ci si trova in presenza di altre patologie che la concomitanza del Corona virus contribuisce ad aggravare.
Questo vuol dire che il Corona virus attuale non è causa diretta di morte?
Esattamente. Tenga presente che nel 2019 l’influenza ha colpito sei milioni di italiani e ha causato diecimila decessi. Sono dati ufficiali.
Più del Corona virus?
Certamente! Il problema della situazione che stiamo vivendo è che è venuta fuori d’amblée. A ciò si aggiungano i tagli fatti alla sanità negli anni precedenti. Lei pensi che dal 1997 al 2015, relativamente ai reparti di terapia intensiva, si è venuta a creare una situazione di questo tipo: da 575 posti ogni centomila abitanti, si è passati ai 275 attuali. C’è stato un taglio scandaloso del 51%. E questi che le cito sono dati dell’OMS.
Trecento in meno!
Esattamente. È scandalosa questa situazione. Consideri che quando c’è stata la notizia dell’epidemia in Cina, le autorità francesi da un giorno all’altro hanno raddoppiato i posti di terapia intensiva nelle strutture ospedaliere. Noi lo abbiamo fatto? No. Quindi queste lamentele continue sul fatto che non ci sono più posti, ora sono fuori luogo. Si sarebbero potuti creare gli ospedali da campo, ricorrere alle cliniche private e via discorrendo. Non è possibile, oggi, sentire che se ci sono due pazienti affetti da Corona virus: uno di settant’anni e l’altro di trenta, il primo può morire mentre il secondo ha più possibilità di guarire. Queste sono cose inenarrabili in un paese civile.
Bisogna avere paura del Corona virus?
In che senso? Chiariamoci bene. Noi non dobbiamo mai dimenticare che abbiamo sotto gli occhi l’esperienza cinese, la quale testimonia che su ottantamila casi il 99% delle persone contagiate hanno risolto la malattia e adesso stanno bene. Questo vuol dire che se noi prendiamo il totale dei contagiati rimane l’1% di coloro che, purtroppo, non ce l’hanno fatta. Ovviamente se rapportiamo questi dati a una tipologia di popolazione anziana, come è quella italiana, piena di altre patologie pregresse e acciacchi vari dovuti all’età, la percentuale di chi non ce la fa può aumentare. Ma si tratta di valutazioni che verranno successivamente. Adesso è impossibile farle.
Lei è d’accordo con le misure governative che sono state adottate?
In sostanza si tratta di mettere le porte di ferro alla stalla una volta che gli animali sono scappati. Sono, sicuramente, misure giuste ma tardive. Le si sarebbero, però, dovute attuare prima. Non era sufficiente solo proibire i rientri dalla Cina senza pensare che dalle altri parti del mondo – Dubai, Mosca, Francoforte per esempio – non sarebbero arrivate persone contagiate. Queste dinamiche, aggiunte alla situazione sanitaria in affanno, ci danno l’immagine precisa di quanto sta accadendo in Italia. Ora ci troviamo di fronte a un paese blindato, tutta zona rossa, senza motivazione. Sarebbe stato necessario, a mio avviso, un altro approccio. Pensi che negli Stati Uniti, già a partire dal 2 Febbraio scorso, è stata ripristinata la quarantena federale (i quindici giorni di isolamento cautelativo) per coloro che venivano dalla Cina o che avevano avuto rapporti con i cinesi. Questo, naturalmente, non esclude che il Corona virus sarà anche lì, ma credo che la situazione non verrà affrontata nel modo con cui la stiamo affrontando noi.
Che ne pensa dell’utilizzo del farmaco usato per l’artrite reumatoide – protocollo di cura messo a punto proprio a Napoli – e che pare stia dando buoni risultati nel combattere l’attuale Corona virus?
Io penso che questo protocollo di cura possa valere per alcuni casi particolari. Si tratta di un farmaco da utilizzare con le pinze perché può causare una serie di effetti collaterali. Quindi bisogna procedere con cautela. Gli stessi cinesi venuti in delegazione in Italia hanno detto che anche loro lo hanno utilizzato. Può, a mio avviso, essere usato ma senza pensare di poter risolvere tutti i casi in modo univoco.
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