– di FRANCO CAVALLARI –
Dopo la difficile quadratura dei conti della finanziaria approvata lo scorso dicembre e passata la sospensione dovuta alle elezioni dell’Emilia-Romagna, il Governo italiano è alle prese con la prospettiva della recessione conseguente all’epidemia provocata dal Coronavirus. Ombre non molto rassicuranti si sovrappongono allo scenario di stagnazione economica preesistente e diviene più pressante nel nostro Paese, come e più che negli altri, la ricerca di provvedimenti idonei a rilanciare la crescita economica. Ancor prima della crisi sanitaria, era già opinione comune che il “focus” della questione, oltreché nella riduzione dell’imposizione fiscale e contributiva, risiedesse soprattutto in un aumento significativo degli investimenti pubblici e privati all’interno del quadro delle compatibilità. La maggior parte degli economisti ritiene, in effetti, che solo attraverso uno spiccato orientamento del bilancio pubblico verso gli investimenti e verso la riduzione del cuneo fiscale sia possibile dare respiro alla crescita economica, necessaria per colmare gli squilibri economici italiani antecedenti la crisi del Coronavirus e per contrastare la recessione incombente.
Questa impostazione è ancora più valida nel contesto attuale, che, a differenza delle crisi precedenti, presenta un carattere di urgenza inderogabile; un contesto che, dal punto di vista della copertura dei relativi costi, vede aprirsi in Europa e nel mercato finanziario qualche spiraglio di maggiore flessibilità per l’Italia nella gestione del disavanzo di bilancio. Si tratta di mettere in piedi in tempi ragionevoli un’operazione a più stadi, alla cui realizzazione, dato per scontato un vasto accordo politico nella sua elaborazione, si frappongono, comunque, oltre alle difficoltà di finanziamento, diversi ostacoli non proprio banali, quali la complessità dell’iter previsto dal Codice degli appalti,
In merito all’iter di approvazione dei progetti relativi agli investimenti pubblici, costellato di innumerevoli adempimenti amministrativi, registriamo l’accumularsi di una complicatissima stratificazione normativa che, nel tempo, ha visto il varo di frequenti riforme volte ad arginare fenomeni di corruttela sempre più dilaganti e sofisticati. Agli ostacoli dovuti alla complessità dell’iter burocratico, si è aggiunto in questi ultimi anni l’atteggiamento di alcune forze politiche, contrarie aprioristicamente alle grandi opere pubbliche. Il risultato è la quasi totale paralisi degli appalti, che ha contribuito alla formazione di grandi pacchetti di investimenti pubblici bloccati, ancorché coperti da finanziamenti stanziati nei bilanci pubblici degli anni precedenti. Parliamo dei “Residui passivi propri in c/capitale”, la cui normativa, modificata recentemente dal D.Lgs:n. 93 del 2016, è esplicitamente rivolta al “potenziamento del bilancio di cassa”, in adeguamento alle disposizioni previste dal sistema dei conti pubblici europei SEC 2010. .
Senza entrare nel merito di una disciplina per specialisti del bilancio pubblico, in questa sede interessa solo sottolineare che l’attività finanziaria dello Stato funziona secondo il criterio del “bilancio per cassa”, ossia sulla base delle entrate e delle spese effettivamente operate nell’anno. Interessa anche rilevare che, in base alla nuova regolamentazione, i “residui passivi “propri” in c/capitale” relativi alla “competenza”, dei tre esercizi precedenti devono essere presi in carico dal “bilancio preventivo di cassa” dell’anno in corso. Si intende così avvicinare la “competenza” alla “cassa”, vale a dire rendere i “residui passivi” degli anni precedenti finanziariamente coperti dalle “disponibilità di cassa” attuali, previste dal “bilancio preventivo di cassa” dell’anno in corso.
In tempi recenti, alcune forze politiche hanno prospettato l’ipotesi di sbloccare amministrativamente i progetti già approvati e dotati di stanziamenti in bilancio, che ammonterebbero a circa 120 Mld. La realizzazione di questa massa critica di spesa, capace di rilanciare lo sviluppo non è, però, priva di ostacoli, poiché esistono seri dubbi sul fatto che questi “residui” siano stati iscritti dal “Tesoro” nel “bilancio preventivo di cassa” del 2020; se ciò fosse avvenuto, il “disavanzo di cassa” di cui alla legge finanziaria per il 2020 non sarebbe stato del 2,1% del PIL, ma ben oltre, forse del 5-6%. Nei termini in cui si prospetta nella nuova disciplina, il problema sembrerebbe risolto, ma è più probabile che (almeno dal punto di vista della copertura finanziaria), il “Tesoro”, tenuto conto della recente entrata in vigore della nuova legge sul “bilancio di cassa” (dicembre 2018), abbia provveduto ad iscrivere nella previsione del “Bilancio di cassa” 2020 solo una parte dei residui in c/capitale, dopo aver contrattato discretamente con Bruxelles un adeguamento graduale del nostro sistema alle norme comunitarie del SEC 2010.
In ogni caso, nella realtà del bilancio italiano, il livello dei “residui passivi propri in c/capitale” è rimasto tra il 2008 e il 2017 più o meno costante tra i 20 e i 28 Mld, con una diminuzione sensibile nel 2012 e nel 2013. In questo serbatoio sono confluiti ogni anno residui di nuova formazione per importi annuali variabili da 15 a 23 Mld, e sono stati smaltiti “residui” degli anni precedenti per un importo dello stesso ordine di grandezza. In una situazione di questo tipo, è abbastanza plausibile che attualmente esistano margini per sbloccare abbastanza velocemente un certo numero di progetti, ma non per un importo complessivo tale da ribaltare la situazione di recessione che si prospettava ancor prima della comparsa del Corvid19.
Per quanto riguarda le possibilità di copertura finanziaria della manovra di contrasto alla recessione, il clima politico generale degli ultimi decenni ha mostrato una contrarietà aprioristica a finanziare la crescita per mezzo di un aumento mirato della fiscalità generale. Il finanziamento in disavanzo, abbondantemente abusato per coprire spese correnti, ha generato una debilitante “entropia” del sistema economico italiano, vale a dire ha reso inefficaci le energie disordinatamente impiegate dalla mano pubblica e dagli operatori privati per rilanciare la crescita economica. Esempi ne sono stati negli ultimi anni gli “80 euro” di renziana memoria, il “Reddito di cittadinanza” patrocinato dal M5S e “Quota 100” proposta dalla Lega.
Al momento attuale, la situazione è completamente cambiata: la pandemia del Covid-19 proietta lo spauracchio della sua ondata recessiva sull’Europa e sul mondo intero ed ha completamente sovvertito i termini del problema, espandendo la sua ombra inquietante sulle fragilità politiche e sugli squilibri strutturali italiani. La prospettiva di ottenere la “regola d’oro”, quella che sottrae dal calcolo del disavanzo ammesso dall’Unione la spesa per investimenti, non è più così difficoltosa come in precedenza, esistendo fin d’ora negli altri Paesi europei un’ampia disponibilità alla comprensione delle circostanze eccezionali del nuovo contesto pandemico. Ma non è superfluo sottolineare che la trattativa con l’Unione, malgrado il pregiudizio favorevole, tra qualche mese diverrà abbastanza impegnativa per il nostro Paese, perché si tratterà di dare copertura ad un volume considerevole di Investimenti pubblici e ad una riduzione significativa del cuneo fiscale. E sarebbe veramente insensato affrontare questa prova con il bullismo sovranista mostrato in passato da alcuni esponenti del Governo italiano.
Anche nell’ipotesi più ottimista, i Paesi maggiormente industrializzati, similmente a quanto avvenuto in passato dopo ogni grande guerra, avranno bisogno di un nuovo impulso, un rilancio globale della crescita, consistente e prolungato nel tempo, in grado di colmare i vuoti di produzione e le distorsioni della domanda mondiale conseguenti alla crisi. Una crisi, da molti considerata più profonda, di quella del 2008, per la quale è auspicabile che le nuove prospettive favoriscano in tempi brevi il ritorno ad una più stretta sintonizzazione europea. Ma fin d’ora, ogni Paese sarà chiamato a svolgere la sua parte, e l’Italia più degli altri in quanto Paese segnato, già prima dell’avvento del Coronavirus, da pericolose prospezioni recessive.
Una parte della copertura finanziaria dell’operazione Governativa di salvaguardia dell’economia, quella delle azioni più urgenti, è già stata varata e sarà realizzata con la copertura del disavanzo di cassa del bilancio statale, che consente di avere prontamente a disposizione le risorse necessarie. Questo flusso di spesa servirà per adeguare alle nuove necessità il nostro sistema sanitario, mortificato in passato da numerosi tagli negli stanziamenti, oltreché per finanziare il riavvio di mille piccoli investimenti che i comuni sono pronti a lanciare in brevissimo tempo e per coprire, nei primi due o tre mesi, l’azione di sostegno immediato al reddito delle imprese toccate dal fermo produttivo. La previsione di 7,6 miliardi, circa lo 0,4% del PIL, prontamente stanziato, forse non sarà sufficienti, probabilmente ci sarà bisogno di qualche integrazione, ma il provvedimento del Governo va nella giusta direzione. Come accennato, su questa dimensione del maggior disavanzo, la Commissione Europea, considerata la recessione incombente nell’Unione, non solleverà certamente alcuna obiezione; né, prevedibilmente, i mercati finanziari, avranno difficoltà a finanziare, come sempre, il nostro debito in scadenza, se non al prezzo di qualche ritocco dello “spread”.
Questa prima fase, probabilmente, non presenterà difficoltà di natura finanziaria. Ad essa seguirà, una volta superato l’aspetto sanitario, (probabilmente tra qualche mese) una seconda fase, necessaria per provvedere alla “recovery” dell’economia, in sincronia con la ripresa internazionale, finalizzata a risollevare il nostro Paese dagli ampi vuoti produttivi generati dalla recessione. Questa sarà un’operazione di natura e di dimensioni diverse rispetto alla fase attuale, dovendosi far carico del finanziamento di un rilancio produttivo molto profondo, il cui obiettivo consiste nel rimettere in moto un sistema economico devastato dalle gravi difficoltà dei prossimi mesi. Allo scopo, sarà necessario impegnare grandi risorse, che, per ragioni di compatibilità, non potranno essere interamente a carico del disavanzo statale, ma dovranno trovare un finanziamento equilibrato tra diverse fonti. Allo stato attuale, non è dato conoscere con precisione quanto grande dovrà essere l’impegno di nuove risorse necessario per rilanciare l’economia italiana; ma sicuramente dovrà trattarsi di importi di dimensioni considerevoli, da spalmare su un arco temporale di due-tre anni. Per la prima tranche, quella relativa alla parte restante del 2020, non andiamo lontani dalla realtà se, in prima approssimazione, consideriamo uno stanziamento di almeno due punti di PIL, vale a dire per circa 35 Mld, di cui, pensiamo, solo un punto o giù di lì (circa 18 Mld) potrà essere a carico del disavanzo statale; il che porterebbe complessivamente il nostro deficit di bilancio dell’anno in corso ad un livello (3,5% del PIL), date le circostanze ancora accettabile. I restanti 17 Mld potranno essere ricavati da una minipatrimoniale finanziaria, che, in un’emergenza nazionale come quella che stiamo attraversando, con pericolo di una devastante recessione, non dovrebbe spaventare nessuno. Non pensiamo si possa parlare di “desertificazione produttiva” (come hanno spesso obiettato i “marginalisti” in merito alle patrimoniali), se immaginiamo un prelievo dell’1% sui patrimoni finanziari superiori a 500mila euro (che possiamo considerare “produttivamente poco attivi”), ammontanti secondo B.I. a circa 1700 Mld, per indirizzare queste nuove risorse agli investimenti pubblici e alla riduzione del cuneo fiscale e contributivo delle imprese, indispensabili per un rilancio significativo dello sviluppo del Paese.