Giugni e il suo lascito un mese dopo il convegno “La stagione dei diritti”

– di PIERLUIGI PIETRICOLA

 

Si è da poco tempo concluso un convegno, organizzato dalla Fondazione Nenni e sul quale abbiamo parlato in questo blog, dedicato alla figura di Gino Giugni e allo Statuto dei Lavoratori – importante documento che segnò una svolta nella storia culturale, sociale e politica di questo paese.

Attraverso testimonianze vivaci come quella di Giovanni Floris, e relazioni di alto valore scientifico che bene hanno ripercorso la lunga e articolata attività di uno dei più importanti giuslavoristi del secondo Novecento, poco di nuovo e originale resta da dire per coloro che fanno, come chi scrive, il mestiere del giornalista.

Il 2020 è, per l’esattezza, il cinquantesimo anniversario della Legge 300 del 1970, legata a Giugni, come già detto, ma anche all’allora Ministro del Lavoro e della previdenza sociale Giacomo Brodolini. Si trattò di un momento importante del quale, i più giovani – me incluso – non riescono ad esserne pienamente consapevoli.

Il quadro della società italiana di allora non era, come da certi libri di storia si può evincere, così pacifico e paradisiaco. Ovviamente ci si trovava negli anni di sviluppo economico, grazie al quale ad una certa larga parte di Italia non erano preclusi beni quali: la macchina, la casa di proprietà, un lavoro fisso, qualche viaggio, i tre pasti assicurati e ad orari regolari.

A che prezzo, però avveniva tutto questo? Vi fu una preponderante fetta sociale che iniziò a chiederselo. Indubbiamente i tassi di disoccupazione non avevano le percentuali di oggi che fanno rabbrividire, ma le condizioni di impiego non erano certo edificanti. E questo perché, specie nelle fabbriche – e quindi nel contesto operaistico –, il lavoratore veniva trattato come merce e produttore di valore economico piuttosto che come individuo detentore di diritti e doveri e rispetto.

Basti pensare che in alcune realtà industriali agli operai venivano concessi solo due gettoni al giorno che permettevano loro di potersi assentare per andare in bagno. Nella sventurata ipotesi che qualcuno si trovasse nella urgenza di dovervi andare anche solo una volta in più, era necessaria l’autorizzazione scritta del medico presente sul posto di lavoro. Per non parlare delle ore complessive settimanali, delle retribuzioni e degli scatti di carriera: tutto ciò non era disciplinato da nulla.

Situazione che innescò una serie di manifestazioni e proteste pubbliche che videro i lavoratori, insieme ai sindacati, popolare le piazze più importanti della penisola. Proteste che, dal mondo operaistico, pian piano investirono anche altri contesti quali, ad esempio, quello cosiddetto dei “colletti bianchi” di alcuni comparti della pubblica amministrazione e dell’università.

La storia di quanto accadde nel nostro decennio rosso – gli anni 60-70 – è molto più articolata. Ma quanto abbiamo accennato dovrebbe bastare a rendere l’idea del profondo significato culturale e sociale che La legge 300 del 1970 apportò all’Italia di allora.

Perché, dicevamo, è importante ricordare Giugni e lo Statuto dei Lavoratori? Non si tratta solo di una ricorrenza erudita da citare per rispetto e dovere. Credo che l’urgenza sia di natura molto più profonda.

Probabilmente in pochi avranno letto un libro di Luciano Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, pubblicato qualche anno fa. Vi si tratta un argomento che a un dipresso potremmo sintetizzare così: passata la stagione delle lotte di classe, cosa avviene oggi e qual è l’eredità di quel periodo che ci troviamo ad avere fra le mani? Ecco la risposta che dà Gallino: “I governi hanno fatto il possibile per indebolire il potere e anche la rappresentatività dei sindacati… Tutto questo fa parte di una lotta di classe che non attacca direttamente la classe, ma quello che, volere o no, ha rappresentato fino ad oggi un suo importante baluardo. Nel nostro paese l’ultimo pesante attacco legislativo al sindacato è stato condotto mediante un articolo inserito nel decreto sulla manovra economica del settembre 2011. Esso svuota di fatto sia i contratti nazionali collettivi di lavoro, sia l’intero Statuto dei Lavoratori del 1970, poiché qualsiasi disposizione legislativa può venire derogata se il sindacato più rappresentativo su base territoriale – quindi anche un qualsiasi sindacato di comodo, o maggioritario solo in un ristretto ambito territoriale – si accorda con l’azienda”.

Il libro da cui la citazione è stata tratta fu pubblicato nel 2012. Da allora altre cose, quasi sempre in peggio ovviamente, sono accadute nel merito.

Ma tanto mi bastava per dire questo: ricordare Giugni e il suo esempio serve non per un recupero storiografico del tempo che fu, ma soprattutto per capire come determinati avvenimenti stiano bruttando e cancellando un passato prossimo di lotte e diritti che andrebbe, invece, rispettato e tutelato attraverso una pratica di buona politica e buon governo che, ormai, sembrano utopie distanti e mai più realizzabili.

pierlu83

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