Gino Giugni spiegato a mio nipote

-di PIERLUIGI PIETRICOLA

 

Ho la fortuna di amare i bambini. Non sono ancora padre, ma ho una nutrita schiera di nipoti. Alcuni grandi – non così tanto da aver raggiunto l’età della ragione – ed altri piccoli, con i quali si può ricorrere alla favole di fantasia per far loro trascorrere ore piacevoli così distogliendoli da orride distrazioni quali quelle offerte dal web e dall’uso indiscriminato dei social.

L’età dell’adolescenza, si sa, è sempre difficile. Non si riescono mai ad intercettare gli interessi che possono catturare l’attenzione dei ragazzi; è complesso intuire le loro passioni, i loro talenti, le loro aspettative; ancor più arduo cercare di comprendere che visione nutrono sul futuro che li attende.

Tuttavia anche l’adolescenza può riservare piacevoli sorprese. Come, ad esempio, sentire da ragazzi che frequentano, con ottimi risultati, una scuola superiore cosa ne pensano del nostro presente e, in particolare, del passato che lo ha prodotto.

Mi sono servito di questa premessa solo per rispondere a una domanda: se il mio nipote adolescente, per curiosità pura e semplice, mi chiedesse di raccontargli la figura di Gino Giugni cosa gli potrei dire?

Innanzitutto gli chiederei che cosa ha raccontato il professore di storia in classe di questo uomo, importante per la cultura giuridica e umanistica del secolo passato. Informazioni utili che potrebbero aiutarmi a meglio contestualizzarlo per ritrarlo, attraverso le mie parole, nel modo più fedele e obiettivo possibile.

Certamente direi a mio nipote che Giugni è stata una figura essenziale per la storia dei lavoratori, vicenda nella quale sono inclusi i suoi genitori e i suoi insegnanti. Anche se oggi non si parla più approfonditamente come si dovrebbe dello Statuto dei lavoratori, il nome di Giugni sarà sempre legato a questa straordinaria riforma.

Proseguirei raccontando a mio nipote cosa sono stati gli anni Sessanta e Settanta del Novecento: un decennio ricco di trasformazioni – culturali, politiche e antropologiche – nel corso del quale iniziava a profilarsi un nuovo archetipo di uomo, sia come individuo che come essere sociale. Da questa koinè, il lavoro e il lavoratore non potevano ritenersi esclusi. Sarebbe stato impossibile. Dopo lunghi anni di lotte, proteste, ingiustizie perpetrate dai datori ai loro dipendenti, con condizioni professionali – operaistiche ma anche impiegatizie – non edificanti, la Legge 300 del 1970 – lo Statuto dei lavoratori, per l’appunto – non solo provvide a regolamentare un panorama che viveva in una situazione di anarchia ai limiti del selvaggio, ma concorse a individuare diritti e doveri del datore di lavoro e del lavoratore; e anche il ruolo che i sindacati avrebbero dovuto esercitare in un rapporto mai facile fra padrone e dipendente (termini che, oggi, sono desueti ma che un tempo erano la grammatica quotidiana che imperversava tra le folle in protesta, i giornali e le televisioni).

Proverei a raccontare a mio nipote che Giugni è stato un uomo politico nel più alto senso del termine: una figura, cioè, che pensava a come risolvere concretamente un problema prima ancora di gettarsi in assurde giaculatorie verbali – come avviene, purtroppo, oggi – su stati di cose delle cui dinamiche chi di dovere sa meno del necessario per esprimersi con appropriata consapevolezza.

Infine concluderei il mio racconto spiegando che Giugni fu anche – a mio avviso innanzitutto – un professore, e nel senso più alto della parola. Perché aveva in animo di voler trasmettere agli studenti non solo competenza tecnica e metodo di analisi e comprensione, ma anche e soprattutto un certo entusiasmo in qualsiasi lavoro che nella vita ci si troverà a svolgere. Un professore capace di offrire un modello di etica del dovere senza ricorrere a prediche stinte e poco persuasive, ma semplicemente ricorrendo all’esempio: quello di un uomo curioso, attento ad approfondire e a studiare perché mai appagato dal già noto e da una conoscenza sclerotizzata proprio perché da decenni consolidata.

Non mi porrei il dubbio se tutto questo possa o meno tornare utile a mio nipote il giorno in cui raggiungerà l’età della ragione. Magari se ne dimenticherà. È un’ipotesi che potrebbe accadere ma io, invece, sono convinto del contrario.

Raccontare ai giovani di oggi – futuri professionisti del domani in qualsiasi settore – le vicende di uomini illustri che gloria hanno dato al nostro paese (come Gino Giugni), e che oggi sono ingiustamente dimenticati o non ricordati come meriterebbero, vuol dire fornire una griglia di esempi e valori che, inevitabilmente, lavorano nell’intimo e contribuiscono in termini positivi ad operare scelte in modo responsabile così come a comprendere, con più consapevolezza e obiettività, quanto accade giorno dopo giorno nel mondo.

Ecco perché ricordare Giugni e lo Statuto dei lavoratori è importante. Ed è per tale ragione che un convegno come quello che si aprirà a breve a lui dedicato – “La Stagione dei diritti”: Gino Giugni padre dello Statuto dei lavoratori” – è un’operazione sulla quale la politica e la cultura dovrebbero prestare attenzione per trarne profitto per il loro operato futuro.

pierlu83

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