GINO GIUGNI, MIO PADRE. La Fondazione Nenni incontra Mario Giugni

di PIERLUIGI PIETRICOLA

 

Gino Giugni è stata una figura importante, fondamentale per la cultura giuridica e giuslavorista del Novecento. Stimato e apprezzato in Italia e all’estero, si deve a lui la creazione dello Statuto dei Lavoratori. Di questo straordinario avvenimento ricorrerà, nel 2020, il cinquantennale.

Giugni ci ha lasciato nel 2009, dieci anni fa. Va detto che di persone come lui non solo si avverte la mancanza, ma sempre più se ne ha bisogno.

Per ricordare la figura di questo grande politico e uomo di cultura, la Fondazione Nenni ha organizzato un convegno: “La stagione dei diritti. Gino Giugni padre dello Statuto dei Lavoratori”. Una giornata di studio dedicata al lascito politico e intellettuale di Giugni, che si svolgerà il 19 Dicembre 2019 a partire dalle ore 10:00 presso il Centro Servizi per il Volontariato di via Liberiana a Roma.

Per ricordare Giugni, non solo come uomo delle istituzioni ma anche sul piano individuale, abbiamo conversato con suo figlio Mario. Ne è emerso un ritratto straordinario, dolce e pieno di aneddoti interessanti da conoscere.

 

Tutti noi conosciamo Gino Giugni per il grande contributo come uomo delle istituzioni e di cultura. Sul piano personale, invece, che ricordo hai?

Di mio padre ho un bel ricordo. Ovviamente quello che dico risente del fatto che io sono suo figlio, e quindi non potrei mai parlarne diversamente da così. Però l’immagine che conservo è quella di una persona spiritosa, ironica. Nel tempo, insieme con mio fratello, abbiamo capito che aveva anche una sana ambizione. Quel desiderio, positivo e sacrosanto, di affermarsi attraverso i suoi sacrifici. Papà lavorava e studiava anche di notte. Un’altra cosa di cui ho un vivido ricordo è questa: lui non aveva neppure una minima traccia di quel settarismo che spesso c’è fra coloro che svolgono la professione di professori universitari, per via del quale ci si frequenta e si hanno amici solo tra colleghi. No. Mio padre stimava tantissimo le persone che, pur non avendo avuto possibilità di studiare, hanno raggiunto una rispettosa e lodevole posizione sociale e professionale grazie ai sacrifici e alle loro forze.

 

Un uomo, quindi, che aveva il lavoro e il diritto del lavoro nel sangue.

Mio padre è sempre stato dalla parte dei lavoratori. Lui era un socialista nell’anima. Direi che un episodio fondamentale che contò molto nella sua vita fu il viaggio che fece in America.

 

Sei d’accordo se dico che Giugni appartiene a quella categoria di personalità del mondo della politica che, prima di essere amministratori, erano intellettuali tout court?

Sì è vero. Lui era un uomo di cultura a tutto tondo. A casa avevamo tantissimi libri i cui generi spaziavano in modo vertiginoso. Papà era un uomo dalla mentalità molto aperta, al punto che non instradò mai noi figli a seguire le sue orme, convincendoci ad intraprendere gli studi giuridici. Per il diritto del lavoro lui aveva una grande passione.

 

Qual è stato, secondo te, il periodo più felice della sua vita?

Anche in questo caso ci terrei a dire che riferisco cose per le quali ho un ricordo nitido. Quindi quello che dico ha valore personale e non puramente oggettivo. Il periodo più felice della sua vita, credo, mio padre lo ebbe quando insegnò a Bari. In quegli anni lui visse la gioia di poter creare qualcosa. Non casualmente, difatti, il primo Istituto di Diritto del Lavoro venne fondato all’Università di Bari grazie al contributo di mio padre.

 

E della sua attività come parlamentare che ricordo hai?

Quello che ricordo dell’attività parlamentare di mio padre è questo particolare: lui avrebbe desiderato solo fare il Ministro del lavoro. Nient’altro. Avrebbe desiderato concentrarsi su questo, senza doversi dividere fra più compiti.

 

Secondo te come avrebbe giudicato il momento storico che stiamo vivendo?

Ti dico questo giusto per capire la diversità del momento storico attuale rispetto a quello che lui ebbe occasione di vivere: insieme con mia mamma, già da quando si conobbero, parlavano di Stalin. La politica non era vissuta nel modo cui siamo, ora, abituati: si trattava di una questione culturale e valoriale seria, che impegnava la testa e il cuore senza che quest’ultimo prevalesse mai sull’altra. In tal senso, quindi, credo sia meglio che lui non abbia vissuto il nostro presente storico-politico. Del quale, immagino, non avrebbe avuto un’opinione edificante.

 

 

Che opinione ebbe dell’avvento della Seconda Repubblica?

Del periodo che decretò la fine del Partito Socialista lui non approvò il passaggio a Forza Italia di molti amici, conoscenti e militanti del PSI. Partecipò, nel 2007, alla fondazione del PD, ma aveva delle riserve. Al punto che alle Europee immediatamente successive alla costituzione del Partito Democratico – non rammento l’anno – sia lui che mia madre, mi pare, votarono SEL, proprio per lanciare un messaggio: e cioè che il PD avrebbe dovuto darsi una più decisa connotazione di sinistra.

 

Ti ha pesato non aver potuto godere appieno di tuo padre per via dei suoi tanti impegni?

Debbo confessare che la sua assenza ha pesato un po’, sia per me che per mio fratello. Ma è anche normale visto che i bambini vogliono stare con entrambi i genitori. Ciò detto sapevamo, e crescendo lo abbiamo compreso appieno, che tutto quello che mio padre ha fatto è stato fatto per noi. Per non farci mancare nulla ma senza renderci dei figli viziati. Gran parte del lavoro in casa pesava su mamma, però papà si dedicava, comunque, molto a noi. Con lui andavamo, io e mio fratello, al cinema. E a tal proposito ricordo un episodio divertente. Papà ci portò a vedere un film di Buster Keaton, attore che amava, e mamma lo rimproverò perché, secondo lei, ci avrebbe dovuto portare a vedere l’ultimo lavoro di Bud Spencer e Terence Hill.

pierlu83

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