Un dandy a scelta contro la globalizzazione

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

Non so perché né com’essa cominciò, ma la passione per la figura del dandy mi ha sempre avvinto. Mi attirano quell’ironia mai scompagnata dall’intelligenza e da una certa nota di cattiveria, quel portamento elegante ostentato al fine di distinguersi dal resto della società, il gusto raffinato e ricercato proprio dei tipi alla Wilde o alla Brummel. In parole povere: coloro che con genialità si sono opposti ad un andamento supinamente accettato, hanno da sempre goduto della mia simpatia.

Da qui la smodata ammirazione per Baudelaire, se vogliamo restare nel campo della poesia. Ma per far altri paragoni, non così noti ai più ma certo non meno grandi, la stessa nota di disprezzo per i costumi della società di massa e un’intelligenza contrapposta l’ho riscontrata in eccezionali studiosi oggi pressoché dimenticati o ignorati: Mario Praz, Elémire Zolla, Angelo Maria Ripellino, Giovanni Macchia. Di costoro non solo ho ammirato, fin quasi alla venerazione, la sterminata erudizione e l’eccezionale capacità di scrittura, ma soprattutto la forza che per tutta la vita han mostrato nel non volersi piegare ad alcuni codici che nella seconda metà del Novecento imperavano non solo in Italia. Fra tutti: l’idea dell’intellettuale impegnato sul piano politico (come se suo compito, attraverso poesie saggi e romanzi, fosse quello di dettare l’ideologia imperante che la popolazione doveva mostrare e praticare attraverso le urne elettorali).

Come mi appaiono scipite le pagine degli interventi cosiddetti “sociali” di Italo Calvino rispetto alle sue straordinarie invenzioni narrative giocate in libri memorabili come quelli che danno vita al Ciclo degli antenati. E come è noiosa e boriosa la saggistica di un Franco Fortini o di un Cesare Cases, prive di respiro e quel pizzico di bizzarria che rendono il lettore felice di trascorrere ore a leggere pagine ben vergate.

E invece come mi divertono gli scritti di Praz, Zolla, Ripellino e Macchia. Nonostante trattino di argomenti affini al mondo della letteratura, della poesia, dell’arte e della filosofia, le loro pagine trasmettono qualcosa di più che è ormai difficile incontrare. Si tratta della gioia dell’intelligenza ma, soprattutto, di un modo di guardare al mondo in termini distanti dalle categorie che ronzano fra le colonne dei giornali.

Trattando di Molière, per esempio, Macchia s’interrogava sulle ragioni del graduale silenzio che in un futuro prossimo sarebbe caduto sul mondo del teatro e su tutti coloro che vi lavorano. Parlando dei sapienti d’Oriente e delle loro filosofie così protese alla liberazione dell’individuo, Zolla invitava ad analizzare, il più impietosamente possibile, i lacci e lacciuoli vari che proibiscono all’uomo di spiccare il suo volo senza catene: tema, questo, che vibra in ogni virgola di Uscite dal mondo. E che dire di Ripellino, della sua capacità di rievocare spettacoli fermati solo nei dagherrotipi di lettere dei giornali d’un’epoca che fu, o le atmosfere boeme appena appena accennate in pur documentatissimi libri di storia? Egli ci ha insegnato che il passato, la storia e la cultura non possono vivere senza sensibilità e fantasia. E infine Praz, il suo gusto per l’ironia e la libertà di pensiero trasudano gaiamente da La carne, la morte, il diavolo nella letteratura romantica, da Gusto neoclassico così come da La Casa della Vita: libri che insegnano a saper integrare l’ombra nella luce invece d’ignorarla o soffocarla, perché altrimenti è impossibile vivere felicemente.

Tutti dandies coloro che ho appena nominato. Lo sono stati non solo per un gusto personale che li ha fatti distinguere, ma per l’indipendenza intellettuale che è divenuta cifra entusiasta e mai dissimulata delle loro esistenze. A raccoglier testimonianze di chi li ha conosciuti, si sentirà dire che avevano un carattere difficile, aspro, severo, che erano intrattabili. Difficile non crederlo. Ma proprio per questo sento di ammirarli, perché costoro erano persone dotate d’una sensibilità non comune che andava protetta contro ogni influenza esterna che si sarebbe potuta rivelare deleteria.

Da sempre il dandy ha rappresentato un’ideale alternativa fra un mondo in decadenza ed uno avvenire appena vagheggiato, un tipo d’uomo quasi mai preso nella giusta considerazione e sovente ignorato a bella posta. Considerando che la società del secolo trascorso – il Novecento – è ormai più che tramontata, piuttosto che assumere la scialba e inconsapevole mediocrità che la globalizzazione ci impone, non sarebbe meglio prendere ad esempio figure di dandies a noi più prossimi, come Praz Zolla Ripellino e Macchia, e salendo sulle loro spalle tentare d’essere ciò desideriamo per noi stessi?

pierlu83

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