Ancora sull’antifascismo: note a margine

– di MAURIZIO FANTONI MINNELLA –

Che il germe fascista sia ancora presente nel dna del popolo italiano e che abbia trovato nella repubblica nata dalle sue presunte ceneri un lungo periodo d’incubazione (ossia più di mezzo secolo di conflittualità politica e sociale) per poi riemergere nel presente con inaudita, ma non più (si noti bene) eversiva violenza (quando essa diviene norma, normalizzazione !…) è, credo, ormai chiaro a tutti. Tuttavia c’è chi discrimina, come Ernesto Galli Della Loggia, sulla natura specifica dell’antifascismo italiano contrapponendolo con faziosità a quello di altri paesi europei come ad esempio, la Francia e la Germania, e altresì accusandolo del peccato originale di comunismo (Corriere della Sera, 26 giugno). In altre parole egli, da liberale, attribuisce all’allora Partito Comunista l’imperdonabile colpa di avere monopolizzato e strumentalizzato l’idea stessa di antifascismo, facendosene l’artefice esclusivo (quando vi furono nella lotta di Resistenza anche forze socialiste, cattoliche e liberali, verità questa che peraltro nessuno vuole mettere in discussione). Al contrario, in paesi come Francia e Germania l’antifascismo fu prerogativa di forze perfino conservatrici (e Galli Della Loggia è chiaramente un conservatore); si pensi, infatti, a quanto fu anticomunista il gaullismo in Francia! Quanto alla Germania, poi, la messa al bando, nel dopoguerra, del Partito Comunista, ha risolto all’origini qualsiasi contesa! Ora, pare proprio di cogliere nelle sue parole un risentimento, o peggio, un rancore giustizialista, per non dire forcaiolo, verso una forza politica come quella comunista, che ha contribuito non poco allo sviluppo sociale e culturale di un paese profondamente arretrato, uscito dal trauma di una guerra devastante. Come a dire che sarebbe stato tutto più facile se in Italia come in Germania non avessimo mai avuto il partito comunista! Come si può facilmente constatare, si tratta di un giudizio fazioso, oltre che antistorico, ascrivibile, forse, al clima di revisionismo permanente in funzione anticomunista che caratterizza il dibattito politico attuale. Nello smontare la fragile tesi di Galli Della Loggia ci viene in aiuto il concetto gramsciano di egemonia; si, è vero, la sinistra comunista, ma anche quella socialista, ha esercitato la propria egemonia culturale in un paese che anelava non solo al cambiamento, ma chiedeva altresì nuovi modelli culturali e nuove regole democratiche per cui l’antifascismo era un’urgenza e una pratica quotidiana, segno di riconoscimento per tutti coloro che avevano e che hanno a cuore la libertà. E questo i comunisti lo avevano capito, rispetto alle forze politiche al potere che il potere, appunto, coltivarono per troppi decenni, di fatto non curandosi di garantire il rispetto della costituzione democratica, ritenendo, forse, l’antifascismo un problema secondario rispetto, ad esempio, alla ricostruzione economica del paese. E’ evidente che coloro che non si professavano antifascisti, non fossero necessariamente l’opposto, ma più semplicemente indifferenti al problema, al dualismo politico ideologico che più di ogni altro ha davvero segnato con forza la seconda metà del secolo scorso. Un nodo che non sembra essersi affatto risolto, stando ai dati relativi alle aggressioni di matrice fascista e razzista verso giovani, antifascisti, immigrati, omosessuali etc. nel nostro paese; a dispetto di ciò che afferma Galli Della Loggia, l’Italia, rispetto a paesi come l’O landa o la Svezia, dove attualmente forze di estrema destra sovranista guadagnano seggi in parlamento, il fascismo lo ha sperimentato sulla propria pelle per un ventennio, provando poi a riprodurlo su diversa scala nel neofascismo degli anni sessanta-settanta (che al pari del fascismo cileno, qualcuno non più tanto isolato e minoritario, vorrebbe giustificare politicamente entro il quadro prospettico della Guerra Fredda, ossia in funzione antisovietica e più in generale anticomunista!). A fomentarlo oggi, è, come dicevamo, una leadership politica che pur continuando a non dichiararsi razzista e neppure fascista, altro non fa che alimentare la speranza in gruppi dichiaratamente eversivi come Casa Pound o Forza Nuova, solo per citare i più noti, di ottenere legittimità, spazi e cariche nell’agone democraticista dove l’etica e la coerenza vengono ormai sostituiti dalla mera competizione elettorale. Se oggi la fiamma dell’antifascismo (che proprio perché pratica quotidiana non dovrebbe mai trasformarsi in mito), si rivela sempre più vacillante, non è certo per la matrice e la radice politica entro cui esso è cresciuto rafforzandosi nel corso del secondo novecento, quanto invece, per il moderatismo di coloro che rifiutando di prendere una posizione netta contro la nuova barbarie nazifascista, fingendo di credere ancora una volta alla favola di un Italia moderata che nonostante tutto rifiuterebbe l’estremismo, finiscono per alimentarne le aspirazioni e allargarne gli spazi di movimento. Niente allarmismi, prego, solo dati di fatto con i quali la attuale politica non sa e non vuole aprire un reale un confronto e opporre un rifiuto decisivo.

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