-di PIERLUIGI PIETRICOLA-
Scrissi, per questo blog, qualche mese fa un articolo sull’Europa. Torno a parlarvi a seguito delle elezioni. Però mi piacerebbe spostare l’attenzione. Mentre in tanti si affannano a capire quale partito abbia vinto o perso, io sono attratto da un’altra idea. Ovvero: quale visione di Europa ci troveremo ad affrontare in futuro?
Dubito che un autore come Alberto Savinio, se fosse vivo oggi, sarebbe nella possibilità di scrivere un libro denso come il suo Sorte dell’Europa. Non per incapacità. Semplicemente perché troppo nebuloso il futuro che si prospetta per un continente che, da sempre, ha incarnato un’idea alta di Occidente.
Sorvolando sul concetto storico di Europa e sui suoi limiti – per il quale rinvio all’illuminante saggio di Santo Mazzarino: Fra Oriente e Occidente –, a mio avviso la situazione, oggi, è questa: dalle elezioni di qualche giorno fa è emersa un’Unione né europea né sovranista.
Il perché me lo spiegherei così: le persone non hanno capito fra quale alternativa scegliere. O per meglio dire: non si è ben compreso l’essenza della scelta.
Non vi era molto da capire. Da un punto di vista, ripeto, strettamente culturale, l’Europa ha cessato di esistere da qualche decennio. Almeno dall’entrata in vigore dell’Euro. Transizione imprescindibile ed inevitabile: certo! Mi domando: perché parallelamente non si è provveduto a creare una koinè in grado di far crescere uno spirito autenticamente europeo?
Si sarebbe, magari, potuti partire da un ampio bilinguismo condiviso in tutti gli stati membri. Ciò non è accaduto. Si è, ingenuamente, riposta ogni speranza nella moneta unica. I risultati sono quelli a tutti noti. Inclusa la crisi economica che viviamo da più di un decennio. Per non parlare di una recrudescenza, via via più marcata, dei nazionalismi. Le condizioni economiche, diverse fra paese e paese membro, hanno contribuito ad accentuare un sentimento di stato-nazione ormai storicamente superato e inapplicabile alla realtà attuale.
L’Europa che nascerà dalle recentissime elezioni, su un piano squisitamente culturale, quale prospettiva potrà offrire alle persone? Di quali valori – tradizionali ma diversamente declinati – potrà farsi portavoce? E sul piano economico: come farà per contrastare l’aggressività dei mercati del cosiddetto impero di Cindia e gestire i massicci flussi migratori?
Fenomeni, questi ultimi in particolare, difficilmente risolvibili con politiche protezionistiche e di chiusura. Appartengono a quella categoria di eventi “vulcanici”, diciamo così, di fronte ai quali ogni umana azione diviene insignificante. Perché non si possono evitare. Tutt’al più, ci si può preparare ad affrontarli al meglio.
E allora, l’unico modo per farlo è tornare ad una Europa culturale dalla quale, poi, emergeranno politiche ed economie consapevoli – autenticamente – delle riforme e delle azioni che realizzeranno e porranno in essere.
Non vi è via alternativa. In caso contrario, fra qualche tempo verrà meno non solo l’Unione, ma anche quel sentimento europeo che per secoli è stato il punto di onore di questa parte di mondo in cui noi occidentali viviamo.
Per comprendere meglio quanto via via sono andato dicendo, mi permetto di suggerire la lettura dell’ultimo libro di Paolo Rumiz: Il filo infinito. Pagine illuminanti, dal cui esempio – forse – sarà possibile comprendere come e in che modo agire per restituire a questa Europa debole, nella prassi e nello spirito, basi più forti e concrete.