Radio Radicale, o del futuro dell’informazione

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

Sta per chiudere Radio Radicale. Dopo anni di lavoro e di rassegne stampa che tenevano compagnia, magari mentre ci si radeva o ci si preparava per andare a lavoro, fra poco dirà addio ai suoi ascoltatori. Il commiato avviene in coincidenza della scomparsa di Massimo Bordin. L’anima, più che il protagonista, dell’emittente. Sparita la sua voce, non sapendo più a quale grana affidare i suoi messaggi, Radio Radicale ha deciso di non opporsi più.

Che faranno tutti coloro abituati ad orientarsi nella selva della carta stampata? Come verranno aggiornate le persone su quanto accade in Parlamento e in Senato? Le interviste fatte ai protagonisti della politica: chi le farà? Dove verranno trasmesse? I convegni, le tavole rotonde, le conferenze: eventi così pazientemente seguiti e ripresi parola per parola: dove finirà questo materiale? Sarà conservato affinché qualcuno, per piacere o per studio, possa un giorno rivederlo o consultarlo?

Non credo siano domande che mi pongo solo io. Chi scrive non nasconde di essere un assiduo divoratore del materiale storico-culturale del sito web di Radio Radicale. Sempre mi sono divertito a rivedere registrazioni del passato lì digitalizzate. L’idea di perdere questo patrimonio, sinceramente, mi indigna.

Vorrei fare qualcosa, ma non ho alcun potere. Solo quello della parola – per quanto possa valere oggi – e delle mie opinioni – per quei pochi cui possono interessare.

Ebbene il mio pensiero è questo: una democrazia che tale si definisce deve difendere l’informazione. Non importa a quale bandiera essa appartenga, quali le idee di cui si fa portavoce. Benché divergenti i punti di vista, giornali radio e Tv – insieme a chi ci lavora – non possono essere tacitati in alcun modo. Quando ciò accade, significa che c’è qualcosa che non va.

Mentre scrivo, leggo le recenti dichiarazioni in merito, secondo le quali si cercherà una soluzione per salvare Radio Radicale ma che non è possibile continuare a dare milioni di Euro ad una sola emittente. Il che può trovarmi d’accordo in linea teorica.

Volendo ragionare per via pratica, il punto è un altro e più complicato di quel che sembra. Esso riguarda la riforma dei finanziamenti che lo Stato concede al mondo dell’informazione per sostenerlo. E, desidererei aggiungere, anche dei rapporti che giornalismo e comunicazione intrattengono con la vita pubblica sul piano governativo e amministrativo. Va riformato? Certamente! Non si può pretendere che provvedimenti adottati anni e anni fa, con condizioni sociali culturali statali ed economiche differenti, siano validi ancora oggi come allora. Mutando la realtà, governarla in modo avveduto vuol dire rimodulare quelle riforme prendendo in esame i cambiamenti avvenuti.

Il punto, allora, non è cosa e quanto dare a Radio Radicale. Bensì garantire la continuità dell’emittente – e di chi ci lavora –, come di qualsiasi altro mezzo di informazione – purché essa sia professionalmente onesta – attraverso riforme che diano al settore quella stabilità, quella chiarezza e quella reciproca indipendenza – nei rapporti e nella pratica quotidiana – quanto mai necessari.

Più che politica, allora, questa è materia prettamente culturale. Nel senso del “come” si fanno le cose. Del modus con cui un’idea può essere progettata e realizzata.

Questo il punto che andrebbe affrontato. E non perché faccia parte di un manifesto politico che ispira un’azione di governo. Ma perché “informare” non vuol dire riportare pedissequamente quanto accaduto. È qualcosa di ben diverso: è offrire un “in più” di significato di cui prima, e diversamente, non si sarebbe mai entrati in possesso. Approfondire, quindi. Studiare a valutare criticamente ciò che accade cercando di comprenderne il perché.

Solo così il mondo del giornalismo e dell’informazione tout court non saranno ciò che Adorno definiva come la “la Bibbia degli ignoranti”.

pierlu83

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