– di ANTONIO TEDESCO –
Elias Canetti diceva che “ci sono libri che si posseggono da vent’anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sé di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule. Poi, dopo vent’anni, viene un momento in cui d’improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri d’un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione”. In questi giorni mi è capitato tra le mani un vecchio libro di Cesare Salvi scritto nel 2005 insieme ad un altro senatore dei Ds, Massimo Villone, “Il costo della democrazia” con un sottotitolo che si rivelò profetico: “Eliminare sprechi, clientele e privilegi per riformare la politica”.
Un intellettuale come Salvi, dentro le istituzioni già da un pezzo (senatore dal 1992, due volte ministro del lavoro, vice presidente del Senato) si era accorto che qualcosa stava cambiando nella politica italiana, il costo della politica stava aumentando in modo considerevole (mentre aumentavano le famiglie in difficoltà economica) e diminuiva la credibilità dei partiti, aumentava l’astensionismo e la sfiducia dei cittadini e si stava impoverendo la qualità della democrazia.
Quel libro frutto di un rigoroso studio scientifico, molto diverso dall’approccio demagogico di un libro che uscirà due anni dopo (“LA CASTA”), non era un libro contro i partiti, anzi cercava al contrario di metterli in guardia.
Salvi sottolineava un paradosso che nessuno vedeva: gli apparati dei partiti contavano poche centinaia di persone, mentre oltre quattrocentomila vivevano di politica o vicino ad essa. Non affrontare il tema del costo della politica, dei rimborsi elettorali, del proliferarsi di poltrone avrebbe indebolito la politica e reso i partiti deboli, personalizzati, territorializzati, strumenti per fare carriera, comitati elettorali intorno a leader e leaderini.
Ma l’aspetto più interessante e attuale del volume, riguarda la proposta di una legge sui partiti per attuare la Costituzione. Salvi sosteneva che il rimborso elettorale dovesse essere corrisposto solo ai partiti che avevano un minimo di consenso reale (individuando una soglia e non a tutti), che l’ammontare del finanziamento andava misurato sui voti realmente ricevuti e non sul numero degli elettori, che bisognava ridurre il numero di parlamentari, accorpare Enti locali e abbassare gli stipendi dei politici (se non altro per dare il buon esempio).
Salvi sosteneva che per rivitalizzare i partiti fosse necessaria la partecipazione degli iscritti attraverso forme “inedite di voto telematico”, attraverso chiavi di accesso personali, per eleggere dirigenti o per pronunciarsi su grandi scelte politiche: “insomma una partecipazione diversa e continuativa, non legata alla ritualità delle riunioni degli organi dirigenti. Il partito che viola queste regole decade dal diritto al finanziamento pubblico”.
Lontano dal qualunquismo demagogico Salvi aveva messo in guardia che la politica senza una forte “fondazione etica” difficilmente poteva essere politica alta; e senza questa non si affrontavano i gravissimi problemi, economici, sociali, istituzionali che travagliano il nostro Paese.
La politica ha i suoi costi e il finanziamento pubblico è necessario per riqualificare la democrazia e la vita politica nel nostro Paese ma ciò per essere accettato dalla collettività deve avvenire con la massima trasparenza, eliminando costi impropri.
Un libro che torna di attualità, in una fase storica in cui tutto è fluido, in cui il linguaggio è fortemente demagogico, antipartitico e antidemocratico.
Non possiamo trascurare il tema della qualità della nostra democrazia, dei partiti, della selezione della classe dirigente, della partecipazione democratica se vogliamo nuovamente mettere al centro la Politica, costruire una cultura democratica e salvare il nostro Paese.