Istruzioni utili per diventare POPOLO

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

In tempi in cui si parla di populismo occorre capire bene i termini usati nel linguaggio quotidiano. Da dove deriva la parola “populismo”? Esprime un concetto positivo o negativo? Inizialmente avevo pensato di scrivere un articolo di forte impronta filologica. Poi il caso ha voluto diversamente. E quindi parlerò di un lavoro teatrale di Henrik Ibsen, Un nemico del popolo, in scena all’Argentina di Roma in questi giorni in un’edizione straordinaria e con un fantastico Massimo Popolizio nella doppia veste di protagonista e regista. Cercherò, così, di rispondere alla domanda: “Cos’è il populismo?” in modo meno vago, ricordando un grande drammaturgo che è sempre bene conoscere. Un nemico del popolo narra una storia esemplare, archetipica, emblematica. Un medico termale di una cittadina – il dottor Thomas Stockmann – un giorno compie un’eclatante scoperta: le acque cui tutti ricorrono per guarire dai loro piccoli malanni, in realtà, non sono salutari perché inquinate. Tant’è che, da diverso tempo, molti di coloro recatisi presso le terme incriminate si sono misteriosamente ammalati. Impossibile tacere un simile fatto. Il dottor Stockmann si propone, perciò, di rivelare tutto per non arrecare danni ulteriori alle persone. Gesto esemplare, che incontrerà l’opposizione di Peter Stockmann, fratello di Thomas nonché sindaco della città. Uomo, quest’ultimo, senza scrupoli, dominato solo dall’interesse di salvaguardare una sua onorata e pubblica – ma anche presunta – credibilità, Peter ostacolerà con ogni mezzo – illecito soprattutto – suo fratello. Al punto da aizzargli contro la popolazione della cittadina nel corso di un’assemblea pubblica. Ed è qui che Thomas, nel tentativo di raccontare pubblicamente la sua scoperta, pronuncia una verità su cui val la pena riflettere: “Voi credete – cito a memoria – che un insieme di cellule ed organi siano sufficienti a fare un uomo e che bastino più persone affinché una moltitudine dia vita a un popolo? No signori miei. Popolo lo si diventa, con fatica e sacrificio”. “Popolo lo si diventa, con fatica e sacrificio”: parole simili a macigni, difficili da assimilare e far proprie. Dopo pagine e pagine, con copiosi fiumi di inchiostro che si sono affaticati a raccontare che il popolo è qualcosa d’inesistente, ecco un artista – un drammaturgo – affermare l’esatto contrario: e cioè che non si è popolo, ma lo si diviene. Una serie di interrogativi, a questo punto, sorgono: in che modo si diviene popolo? E perché? Quali vantaggi ne conseguono? Non voglio rispondere in modo banale. Ciascuno – da par suo – trovi le risposte migliori. Certamente la soluzione che Ibsen, con la sua pièce, propone è fra le meno accomodanti e scontate. Eppure così essenziale e decisiva che val la pena di meditarvi. Anche, e soprattutto direi, per un’altra ragione che si può a un dipresso sintetizzare attraverso un’altra domanda: a nome di chi, o di che cosa, il dottor Stockmann, protagonista de Un nemico del popolo, parla? Risponderò citando da un saggio di Giorgio Agamben, In nome di che?, contenuto nel volume Il fuoco e il racconto: “Si dice che una cosa ne esige un’altra, quando, se la prima è, anche la seconda sarà, senza che la prima la implichi logicamente o la costringa a esistere. Ciò che l’esigenza esige è… la possibilità di qualcosa… che diventa… più forte di qualsiasi realtà… Colui che si decide alla fine a parlare – o a tacere – in nome di questa esigenza non ha bisogno, per la sua parola o per il suo silenzio, di alcun’altra legittimazione”. Che sia questo lo spirito che ha mosso tutta l’azione del protagonista della pièce di Ibsen? Per scoprirlo, basterà andare al Teatro Argentina. Ne varrà certamente la pena.

pierlu83

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