La lezione di Pansa

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

Contrariamente alla maggior parte delle persone, i libri contemporanei mi attraggono poco. Debbono essere straordinari per incuriosirmi. In caso contrario, preferisco i classici. O, tutt’al più, volumi di qualche anno fa che non ho potuto leggere perché all’epoca ero troppo piccolo. In altre parole: preferisco storicizzare le letture e adottare una certa distanza. Non perché sia appassionato di archeologia, ma solo perché è attraverso la storia che è possibile acquisire un punto di vista del proprio tempo. Dico questo per parlare di un libro, ormai introvabile, che qualche mese fa mi è capitato fra le mani: Carte false. Peccati e peccatori del giornalismo italiano. Autore: Giampaolo Pansa. Su Pansa non occorre spendere parole per dire chi è. Tutti avranno letto almeno uno dei suoi tanti testi. In molti ne avranno sentito parlare. In troppi, purtroppo, discettano su di lui senza avere cognizione di causa o scorso le sue più che argomentate pagine. Da poche settimane è uscita l’ultima sua fatica, Quel fascista di Pansa, che consiglio caldamente. Come mai, però, mi interessa parlare di Carte false? Perché oggi si fa un gran discorrere della faziosità del giornalismo, delle notizie infondate – o fake news (dicitura orrenda) –, della carta stampata come serva del potere (in Italia almeno). Non è un tema originale. L’opera di cui parlo è del 1986, più di trentatré anni fa. Questo l’incipit: “Carte false. Fare carte false. Spacciare carte false. Sempre di più, il giornalismo italiano mi appare così: un mestiere che non può, o non vuole, distinguere il falso dal vero, un mestiere che maneggia troppe carte truccate, un mestiere che tradisce se stesso”. Tutto il libro è una storia del giornalismo italiano del secondo Novecento. Dei suoi pregi e dei suoi difetti. Dei suoi errori volontari o involontari. E il periodo in cui questa storia si colloca, a un dipresso, è quello che ha disegnato il profilo socio-politico attuale dell’Italia: dal Sessantotto agli inizi degli anni Ottanta. Vi sono tratteggiati protagonisti. Rievocati episodi, divertenti o sgradevoli che siano. In particolare Pansa – primo tra tutti, credo – mette l’accento su una questione troppo dibattuta: l’obiettività del giornalista. Cito da Carte false: “Ah, il giornalismo obiettivo! Quante fregature abbiamo dato al lettore sventolando questa bandiera fantasma. I più seri fra noi non ci hanno mai creduto”. Esternare simili idee oggi, è cosa fin troppo facile. Farlo un abbondante trentennio fa poteva suonare eretico. Eppure tremendamente veritiero. Sicché occorrerà ripeterlo: il giornalismo totalmente obiettivo non esiste. Non può esistere. Non esisterà mai. La sola scelta della notizia da dare, diceva Umberto Eco, è già l’espressione di un punto di vista. Poi si potrà scegliere come raccontarla. E qui, nelle pagine iniziali di Carte false, Pansa ricorda il diktat che i giovani cronisti praticanti dovevano rispettare: “Cronaca di ghiaccio”. Mi chiedo se fra le redazioni sia un costume ancora in voga. Il punto, però, è come credere a un giornale se l’obiettività nell’informare è un’aporia. Su questo, ricordando quanto affermato da Vittorio Gorresio – altra storica penna del nostro giornalismo – Pansa ci offre una soluzione aurea: “È finito il mito grossolano ed elementare che la notizia sia obiettiva e che obiettivo, e completo, debba essere il buon giornalismo. Balle. Il giornalista completo non può mai essere. E obiettivo nemmeno, perché l’obiettività non esiste. Oggi la gente chiede, e fa bene, un giornalismo onesto. Chiede che un giornalista faccia una scelta onesta, non difenda cause sporche o interessi personali, non inganni il lettore. Poi, certo, sbaglierà anche: è umano. Ma che almeno sia stato onesto”. Se queste parole divenissero il vademecum di tanto giornalismo cialtronesco oggi in circolazione, forse la crisi del settore andrebbe pian piano sparendo. Non ultimo, perché è il lettore a fare il buon giornalista e non viceversa. Indubbiamente con tanti problemi che attanagliano oggi le persone nella loro quotidianità, l’argomento di cui stiamo parlando è più che marginale. È innegabile. Però tutti – tramite smart-phone, o al bar prima di sorseggiare un caffè – uno sguardo al giornale lo danno. E quindi pretendere che un articolo sia scritto onestamente, al netto degli errori che si possono commettere, è d’obbligo. Perché è in questo modo che nel cittadino, pian piano, si viene a formare l’opinione su ciò che accade nella società. Ciò detto, concludo rivolgendo un appello all’editore Rizzoli chiedendo di ristampare Carte false di Pansa. Non solo perché è una lezione di storia e di stile. Ma soprattutto perché è un esempio di sana educazione civica e condotta morale cui le persone, purtroppo, sono disabituate da troppo tempo.

pierlu83

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