Il compagno di banco ovvero una riflessione sul come è cambiato l’intorno  che ci circonda 

-di ENRICO MATTEO PONTI-

Fin dalla prima elementare, e poi  poi per tutte le scuole medie, Sala era stato il mio compagno di banco.

Essendo, anche, vicini di casa era del tutto normale che si andasse e si tornasse insieme  da scuola, che si facessero i compiti ora a casa mia ora a casa sua, ovviamente spezzando il pomeriggio con una buona merenda, un po’ di televisione o, meglio ancora, tirando due calci al pallone nel cortile del palazzo. 

Capitava, pure, che quando, per le più disparate ragioni, i nostri genitori si dovessero assentare, si dormisse l’uno a casa dell’altro.

Sala, era normale chiamarsi per cognome, era un ragazzo sveglio, scherzoso, sempre allegro e i suoi risultati scolastici erano, ovviamente, molto brillanti.

Mai volgare, sempre pulito e ordinato nel vestire come nella tenuta dei quaderni e dei libri, si sarebbe potuto, certamente, affermare, come si usava dire allora, trattarsi di un gran bravo ragazzo.  

Quello che, in tutte le occasioni, caratterizzava sempre e comunque, Sala era la sua giovialità.

Come non ricordare che il suo buon umore fosse diventato proverbiale in tutti gli ambienti che frequentava: dalla scuola, all’oratorio, fra i negozianti e i vicini di casa,  fra i compagni di brigata e finanche fra i vecchi del quartiere che, seduti ai tavoli del baretto, sembrava, quasi, che aspettassero il suo passare per farsi una risata con le sue battute e i suoi scherzi.

Il boom, quello vero, aveva portato un certo, diffuso  benessere e gli stenti del dopoguerra erano, per fortuna, ormai, lontani.

I pantaloni corti diventarono lunghi, le magliette furono presto sostituite da giacca e cravatta.

Poi la scelta di indirizzi diversi per le superiori ed il trasferimento del papà in un’altra città, ci fecero perdere di vista ma  non di udito.

Infatti, spesso ci si sentiva per sfotterci dopo la sconfitta della squadra del cuore, diversa la sua dalla mia, per farci gli auguri,  per informarci sui momenti delicati della crescita e della vita, in particolare, ovviamente, su quelli relativi agli studi,  al lavoro e, quindi, alla sfera privata che mi portò ad essere il suo testimone di nozze. 

Sala, non poteva essere diversamente, si laureò con un 110 e lode in ingegneria informatica e di lì a poco, dopo un breve periodo negli Stati Uniti, divenne, rapidamente,  un apprezzato dirigente di quella che, all’epoca, poteva essere considerata la più grande e famosa multinazionale del settore. 

Di lì a poco, però, avvertii l’esistenza di un qualcosa che non mi convinceva. Sembrava non essere più lui. Appariva cambiato, cupo, taciturno. 

La sua voce, sempre squillante e allegra, i suoi toni briosi ed esultanti, parlasse anche solo di un paio di scarpe da ginnastica, spesso tendevano a caratterizzarsi con improvvise venature di tristezza. Bastava un niente per far percepire, anche solo attraverso il cellulare, una incomprensibile sfumatura di preoccupazione che non nasceva dal tema della telefonata ma che pareva voler emergere dal profondo nel quale veniva compressa. 

Dopo qualche tempo, convinto che non si trattasse di un malessere passeggero, riuscii a convincerlo a prenderci un caffè durante uno scalo nella mia città in occasione di un suo viaggio transcontinentale.

Vederlo e convincermi che non mi ero affatto sbagliato nelle mie intuizioni fu un tutt’uno.

Lo sguardo perso nel vuoto, la voce monotona, il vestire trasandato mi misero di fronte ad un Sala enormemente diverso da quello che conoscevo da tanti lustri.

Non persi tempi e appena seduti al bar dell’aeroporto gli chiesi cosa stesse succedendo. Non azzardò neanche a tentare di nascondersi dietro una qualche banalissima scusa.

“Sono diventato uno dei più quotati manager della mia azienda, ho centinaia di collaboratori e  i miei progetti vengono apprezzati in tutti i continenti ma…. “

“Ma???”

Un silenzio che sembrava non voler finire mai… 

“Ma…. Non riesco più a vivere. Non sono mai stato accettato … dalla comunità, dai colleghi dirigenti, da tanti operai. Mi sopportano perché sono bravo, stavo per dire indispensabile e la proprietà non permetterebbe mai che qualcuno possa solo pensare di mettermi in discussione. Ma… sai com’è… in questo Paese non è più come una volta. Una volta valevi per quello che sei, per quello che vali. Da un po’ di tempo, invece, … essere nero non ti permette più di vivere normalmente….. Penso che accetterò l’offerta di andare a lavorare all’estero. ” 

Ciao, Sala, ti verrò a trovare dovunque tu decida di andare. 

 

    

 

 

 

 

 

 

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