– di FRANCO CAVALLARI –
L’economia internazionale ha subito da diversi mesi un sensibile rallentamento, appesantita dalle schermaglie doganali tra USA e Cina e dalle incertezze della Brexit. E non è dato sapere per quanto tempo si protrarrà il ciclo di bassa congiuntura, che, secondo alcuni osservatori, potrebbe volgere facilmente ad una stagnazione generalizzata. Questa possibile prospettiva suscita aspettative particolarmente negative nei paesi europei più direttamente interessati agli scambi internazionali. Alcuni di questi, come l’Italia, strutturalmente deboli e affetti da incertezze del quadro politico, complice anche il ribasso del prezzo del greggio, rischiano di cadere ancora una volta nella trappola della deflazione.
Non è d’altronde un caso che, come accade regolarmente da quasi un ventennio, la crescita dell’economia italiana tenda a restare un passo indietro rispetto all’aumento del reddito della media europea. Ad ostacolarne lo sviluppo si pone un insieme di fattori strutturali, quali il ritardo nell’adeguamento della produttività alle esigenze della globalizzazione, le enormi diseguaglianze nella distribuzione del reddito e, soprattutto, l’esorbitante indebitamento della nostra Finanza pubblica.
Nelle condizioni descritte possiamo considerare solo un “pio desiderio” che si realizzi il boom evocato dal Governo “pro tempore” quale effetto espansivo delle misure contenute nel decreto legge di bilancio 2019. E’, invece, nell’ordine naturale delle cose che il ritardo della crescita italiana rispetto agli altri Paesi europei si verifichi puntualmente anche nell’anno in corso e, purtroppo, pure nei prossimi due o tre anni. Esiste un insieme di ragioni economiche a rendere vana (come più d’una volta sperimentato dall’Italia con le cosiddette “politiche autopropulsive”) la speranza che il dispiegamento di politiche anticicliche basate sulla spesa corrente possa rilanciare in modo significativo la crescita; al contrario, queste politiche producono effetti contrari alla crescita nei Paesi relativamente piccoli, affetti da profonde carenze strutturali come l’Italia.
Le stime preliminari per il 2018 accusano un rallentamento di più di mezzo punto rispetto alla crescita dell’1,5% registrata dal nostro Paese nel 2017; anche il mercato del lavoro, ha subito nel periodo un leggero indebolimento, pur in presenza di una dinamica salariale assai modesta e di un tasso di inflazione anch’esso molto contenuto.
Già all’inizio del secondo semestre dell’anno appena trascorso, il clima di fiducia delle imprese cedeva punti all’incertezza del mercato, mentre l’attività economica rallentava a causa dell’indebolimento, sia della domanda interna, sia della domanda internazionale. La fiducia dei consumatori, che nella prima parte del 2018 era rimasta su livelli abbastanza elevati, ha iniziato ad indebolirsi nello scorcio finale dell’anno e, nonostante un lieve recupero in gennaio, il clima di opinione del pubblico nei primi due mesi del 2019 si situa al di sotto dei valori medi dell’anno precedente.
In queste circostanze, i dati sulla crescita del mese di febbraio hanno registrato una spiccata tendenza all’ampliamento del divario rispetto ai nostri partners europei, passato negli ultimi 8 mesi da 0,8% a circa 1,3% del PIL. Secondo le proiezioni dei principali istituti di previsione, le prospettive di aumento del PIL di quest’anno si situano intorno allo 0,4%, frenate come sono anche dall’eredità statistica negativa indotta dalla flessione del semestre precedente.
La maggioranza di governo insiste nell’affermare che nella seconda metà dell’anno l’attività produttiva riprenderà vigore in virtù dell’aumento della domanda interna generato dai provvedimenti collegati alla manovra di bilancio. Ma sull’effetto espansivo della manovra riguardante l’anno “meraviglioso” che si attende il Presidente del Consiglio, sussistono molti dubbi, stanti la modesta dinamica attesa degli investimenti pubblici ed il netto peggioramento che accusa la fiducia dei mercati.
La spesa per investimenti fissi lordi, il motore della crescita più efficace, ha registrato lo scorso anno un consistente aumento (circa 4%) e, malgrado il forte calo congiunturale dell’estate, il rapporto tra gli investimenti fissi lordi e il valore aggiunto ha superato il livello dell’inizio della crisi del 2007. Le ultime indagini ISTAT, però, segnalano a partire dalla seconda metà del 2018 un progressivo peggioramento degli ordini interni di beni strumentali; così come pure l’indagine di dicembre della Banca d’Italia-Sole 24 Ore concernente le “Aspettative di inflazione e crescita”, registra un netto peggioramento delle condizioni che stimolano gli investimenti privati. Se a queste carenze dovesse aggiungersi, come molti paventano, un inasprimento della stagnazione dell’economia mondiale, è possibile che a fine 2019 si debba constatare un incremento del PIL prossimo allo zero.
Un andamento del reddito stagnante renderebbe inevitabile verso la metà dell’anno una manovra correttiva di almeno 10 Mld, necessaria per riportare il rapporto Deficit/PIL all’interno di parametri compatibili con la fiducia dei mercati ed evitare così un aumento fuori controllo dello “spread”.
Per il 2020, le previsioni per l’economia italiana scontano un superamento della stagnazione da parte del contesto internazionale ed un moderato aumento della domanda interna, che potrebbe alimentare una ripresa del PIL intorno ad un modesto 0,8%. In realtà, ci si aspetta che l’economia italiana sia trainata su tutto l’orizzonte previsivo dei prossimi anni dalla domanda finale interna; la quale contribuirebbe alla crescita per circa un punto percentuale nella media dei tre anni, mentre la domanda estera netta sottrarrebbe due decimi di punto alla variazione del PIL. E’ una prospettiva non certo esaltante, sulla quale grava, peraltro, un enorme punto interrogativo rappresentato dall’incertezza del quadro politico interno e dalla possibilità di un aumento dell’IVA a causa della difficoltà di finanziare altrimenti la clausola di salvaguardia di 23 Mld.
Da queste considerazioni emerge un quadro d’insieme non molto diverso da quello delineato nella relazione del Procuratore Generale della Corte dei Conti del 14 febbraio scorso. Secondo l’alto Magistrato, nei prossimi 4-5 anni l’economia italiana avrà un’evoluzione molto difficoltosa a causa dei profondi squilibri strutturali esistenti e del rallentamento atteso dell’economia mondiale. E tale andamento prospettico potrebbe risolversi positivamente nel medio periodo, solo a condizione di poter contare su un quadro politico interno abbastanza pacificato, in cui possa svilupparsi un grado accettabile di stabilità politica. Ma per evitare gli scossoni di ricorrenti crisi v’è un’altra condizione: la speranza che il contesto europeo ritrovi, con la collaborazione di tutti, le ragioni fondative delle sue origini, vale a dire un clima di solidarietà comunitaria che consenta un miglioramento sostanziale dell’armonizzazione economico-politica dell’Unione. E’, infatti, necessario anche il superamento dell’oscuro quadro di “austerità espansiva” sperimentato nello scorso decennio, che lungi dall’avere l’effetto espansivo auspicato dalla Germania, ha prodotto solo una realtà divisiva; un percorso lungo il quale l’Europa rischierebbe di avviarsi rapidamente sulla soglia di una disastrosa dissoluzione.