Egoismo e solidarietà: noi sappiamo sempre da che parte stare. Oggi dalla parte dei pastori sardi, ieri e domani con chi lotta per il proprio futuro e per i propri diritti.

– di ENRICO MATTEO PONTI –

 

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.                            

(Bertolt Brecht)

 

Sono di queste ore le immagini del latte versato a fiumi sulle strade della Sardegna dai pastori esasperati dallo sfruttamento del loro duro lavoro.

In altre sedi e in altri momenti potremo entrare nel merito delle complesse e remote cause di questa sacrosanta battaglia e delle soluzioni che stanno portando alla loro soluzione.

Qui, oggi ci piace approfondire un aspetto per noi preziosissimo anche se, purtroppo, poco evidenziato dai media: quello della solidarietà che, senza eccezioni, il popolo sardo ha mostrato verso i lavoratori coinvolti in una battaglia che riguardava il loro futuro… e non solo il loro.

Cittadini di ogni età e cultura, al passare dei pastori si fermavano e, invece di inquietarsi per il possibile danno che queste manifestazioni potevano arrecare ai loro interessi, applaudivano e solidarizzavano.

La nostra meraviglia nasce, allora, dal dover, purtroppo, prendere tristemente atto che ci troviamo di fronte ad una eccezione in quanto la solidarietà, frutto dell’albero dei valori veri che qualcuno vorrebbe far seccare e, poi, segare, è una parola sempre meno ascoltata non solo nelle tante trasmissioni che vanno sotto il nome di talk show ma anche nei tanti interventi di politici che troppo spesso usano toni più ispirati all’egoismo e all’indifferenza che alla condivisione e all’aiuto nei confronti dei meno fortunati.

L’interesse del singolo, il solipsismo, la competitività esasperata, la rincorsa a primeggiare camminando e calpestando cose e persone, però, non è solo il frutto di un momento di crisi.

Certo, nessuno può sottovalutarne la pesantezza ma è proprio nei momenti di crisi, e non in quelli di benessere, che la solidarietà deve essere al centro della sensibilità di ogni persona e di ogni collettività.

Rinchiudersi nel proprio guscio serve solo ad atomizzarsi mentre, invece, la forza del gruppo, della famiglia, della società è quel quid pluris indispensabile per affrontare e superare le difficoltà reali.

Eppure, oggi, questa mancanza di solidarietà non trova le sue radici solo nella naturale, umana debolezza ma viene coltivata, esaltata e profusa dalla cultura dominante e dalla stragrande maggioranza dei media che tentano di svilirla facendosi portavoce di poteri ed interessi ben definibili e ben circoscrivibili.

Solidarietà e poteri che il filosofo statunitense Noam Chomsky così puntualmente definiva: “La solidarietà rende gli individui difficilmente controllabili e impedisce che diventino un soggetto passivo nelle mani dei privati.”

Un sottile veleno che viene inoculato spacciandolo come prodotto del pur positivo concetto del merito che, come ricorda anche Papa Francesco, deve, però, trovare i suoi più complessivi equilibri nel rispetto dei diritti di tutti, compresi coloro cui la vita ha fornito meno talenti o meno opportunità.

I diritti costituzionalmente tutelati, come quello alla salute, al lavoro, all’istruzione, trovano oggi muri insormontabili nella struttura della nuova società che si è andata sempre più consolidando, prendendo a prestito o, peggio, scimmiottando il modello americano.

Sentire un capofamiglia monoreddito dichiarare di non poter più iscrivere i propri figli all’università stante l’aumento dei costi e il blocco del rinnovo del suo contratto congelato da anni o per la sua condizione di disoccupato, è quanto di più sconvolgente possa ascoltare chi è cresciuto nella cultura del rispetto di tutti e dei diritti di tutti.

Tornare alla concretezza ed abbandonare gli annunci crediamo sia la strada unica che debba essere percorsa se vogliamo che questo nostro Paese non finisca di affogare nel più becero ed individualista egocentrismo. Concretezza che deve orientarsi verso gli investimenti che generano occupazione rifuggendo da palliativi mortificanti ed offensivi.

Quell’egoismo che ci fa girare la testa quando, come diceva Brecht, portavano via gli altri e non noi…. Bisogna riscoprire il senso di questo messaggio ovvero che gli altri un giorno o l’altro potremmo essere noi. Potremmo essere noi a protestare per l’iniquo compenso riconosciuto al frutto del nostro lavoro, che si chiami latte o in mille altri modi.

Bisogna riscoprire il valore di parole desuete come solidarietà ed altruismo (e torna la radice alter).

Parole cui il latino attribuiva valori che la traduzione e il senso corrente hanno fatto perdere nella loro essenza reale: la pietas e la caritas non sono termini riconducibili a questo o a quel culto religioso ma devono tornare ad essere coniugati con la cultura del rispetto dovuto a tutti gli esseri umani, dei loro diritti civili e sociali, nella loro dimensione e nella loro accezione più ampia e totale.

Diritti, rispetto e solidarietà che , spesso, sembrano essere usciti anche dal vocabolario e dalla testa di chi ci governa.

Ecco, allora, l’obbligo di ringraziare quanti hanno espresso, concretamente e convintamente la loro solidarietà per il futuro dei pastori sardi comprendendo essere, soprattutto, compagni del viaggio vita. Da cui l’intima e certa preoccupazione che, mutatis mutandis, domani analoghe scelte, scellerate ed ignobili, potrebbero riguardare anche ognuno di loro.. ed ognuno di noi.

Questo perché, come si sa, la moneta cattiva scaccia buona e l’impegno che ogni giorno e ogni giorno di più tutti dovremo continuare a spendere nella battaglia per i diritti dovrà essere come il vaccino che combatte il virus dell’egoismo della latente dittatura dei pochi contro i tanti.

A conforto un solo dato: oggi il 60% della ricchezza del nostro Paese è in mano ovvero posseduta solo dal 10% delle famiglie. Si può uscire dalla crisi e ci può essere sviluppo con questo quadro?

E qui torna alla mente una splendida frase dell’Abbé Pierre “La solidarietà non è dare ma agire contro le ingiustizie”.

E, allora, noi che sappiamo da che parte stare, impegniamoci, oggi stando vicino ai pastori, domani, come ieri, a chiunque lotti per una causa giusta e contro ogni forma di sfruttamento.

Noi ovvero quelli che, impegnati quotidianamente nel sociale, tutti sanno dove poterci trovare.

Noi, quelli che, come canta De Gregori, siamo “Sempre e per sempre dalla stessa parte….!”. Dalla parte dei lavoratori!

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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