– di FRANCO CAVALLARI –
In occasione della manovra di bilancio per il 2019 la maggioranza di governo ha ripetutamente chiamato in causa il moltiplicatore del bilancio pubblico per descrivere la spinta che il Prodotto Interno Lordo riceverà dalla spesa pubblica aggiuntiva “messa in tasca agli italiani” con il Reddito di cittadinanza e con le pensioni a “Quota 100”. È una scommessa basata sul meccanismo keynesiano, il moltiplicatore appunto, che secondo i proponenti dovrebbe consentire un consistente aumento del PIL pur in un periodo di stagnazione mondiale. Una scommessa che, nei termini in cui è posta, è data come perdente dalla stragrande maggioranza degli economisti e degli istituti nazionali ed internazionali che hanno valutato la manovra.
In sintesi, il moltiplicatore costituisce un metodo di calcolo attraverso il quale si tende a quantificare la variazione (positiva) del prodotto lordo in termini reali derivante da un intervento sulle uscite o sulle entrate del bilancio pubblico. Si tratta di una tecnica di analisi basata sul processo iterativo della spesa pubblica che si instaura nel mercato a partire dai primi beneficiari dell’intervento. I quali spendono, in base alla rispettiva propensione al consumo, una parte della liquidità ricevuta, mentre la parte restante viene risparmiata in base alla propensione al risparmio.
Ne ricordiamo brevemente il ciclo per i non addetti ai lavori. La quota spesa, entrando in circolazione innesca una specie di reazione a catena: i percettori immettono nel ciclo della spesa una quota della liquidità ricevuta, in proporzione della rispettiva propensione al consumo; detta quota è a sua volta spesa dall’operatore che la incassa, alimentando il secondo step del ciclo di spesa. In modo analogo, il processo prosegue per il terzo, quarto ed ennesimo step, con quote di spesa sempre minori, fino a ridursi ad una quantità irrilevante. La sommatoria di tutte le quote spese dai partecipanti al ciclo rappresenta l’incremento del prodotto generato dall’impulso iniziale della maggiore spesa pubblica (o della minore entrata), che, rapportato all’intervento iniziale costituisce il moltiplicatore.
Il ciclo così descritto rappresenta solo una configurazione teorica di ciò che avviene in quanto contiene un certo numero di approssimazioni, come ed esempio, quella derivante dall’elevato grado di volatilità dei fattori che influenzano la propensione al consumo; la quale, dal canto suo, opera presso i soggetti che intervengono nei vari step in modo estremamente diversificato e casuale. Si noti che la propensione al consumo che interviene nelle varie fasi, infatti non è osservabile direttamente e viene ricavata con calcoli econometrici; ma neanche i più sofisticati modelli consentono di rappresentare esattamente le rispettive propensioni medie al consumo insite nel comportamento dei vari insiemi di soggetti coinvolti nel ciclo di spesa; i quali si diversificano sempre di più man mano che si avanza nelle fasi successive alla prima.
Da considerare che ciò avviene nell’ambito di un processo iterativo che si sviluppa normalmente in 6-8 fasi riguardanti un certo numero di gruppi di spesa sempre più eterogenei, nell’ambito di un ciclo che copre normalmente un arco temporale di circa 6-15 mesi. Ne consegue che anche le stime più sofisticate dei moltiplicatori risentono di queste elevate diversificazioni e variabilità del quadro di riferimento, che si riflettono amplificate sull’approssimazione dei risultati.
Esiste una vasta e consolidata letteratura economica in materia 1, che ha evidenziato come il calcolo dei moltiplicatori del bilancio pubblico sia caratterizzato da grande incertezza e dipenda da molteplici fattori inerenti le caratteristiche delle economie, quali, ad esempio, la fase congiunturale, il grado di rigidità del mercato del lavoro, l’ampiezza e la struttura del debito pubblico, il grado di stabilità della politica economica, l’elasticità dei salari, il grado di fiducia del mercato, ecc. .
Alcuni autori 2 hanno riscontrato puntualmente che i meccanismi di formazione delle attese degli agenti possono essere tra i fattori alla base non solo dell’entità, ma anche del segno dei moltiplicatori. Per il caso italiano, ad esempio, è stato stimato che gli effetti espansivi di manovre di bilancio incentrate sull’incremento della spesa corrente potrebbero essere interamente neutralizzati dall’incertezza delle politiche economiche; per cui il risultato finale potrebbe tradursi anche in un’indesiderata riduzione del prodotto 3 e dell’occupazione.
Le noiose osservazioni tecniche che precedono non sono, evidentemente, esaustive ed hanno il solo scopo di supportare le conclusioni che seguono, evitando l’impressione esse siano il frutto di indimostrate valutazioni di natura politica.
In definitiva possiamo concludere in argomento su alcuni punti fermi fondamentali:
- a) La spesa pubblica per investimenti ha un moltiplicatore considerevolmente superiore rispetto a quello della spesa pubblica corrente, proprio in ragione della fiducia sugli sviluppi futuri che apre negli orizzonti economici, stimolando gli operatori privati ad investire. La spesa corrente, invece, ha un’influenza sulla crescita forse più immediata, ma meno duratura e, soprattutto, meno stimolante per i nuovi investimenti da parte degli imprenditori privati.
- b) Valutare una legge di bilancio solo sulla base dei moltiplicatori medi è utile soltanto in prima approssimazione, in quanto può risultare fuorviante nel dettaglio. La quantificazione dell’impatto degli interventi di politica economica richiede valutazioni d’insieme molto più complesse, basate anche sull’analisi del contesto in cui la manovra si inserisce e non solo su supposte reazioni comportamentali degli operatori, a volte difformi o di segno contrario rispetto a quelle che ci si attende normalmente.
- c) Non è, infatti, raro il caso in cui, in contesti particolari come quelli delle crisi di fiducia del mercato, o in contesti in cui gli orientamenti di politica economica siano soggetti ad oscillazioni notevoli, i moltiplicatori di bilancio basati sulla spesa corrente comportino non un aumento, ma una riduzione del prodotto e dell’occupazione, come riportano alcune stime relative alla manovra di bilancio italiana per il 2019 3.
- d) La distorsione nella valutazione dell’impatto dei provvedimenti risulta particolarmente accentuata in caso di anomalie di sviluppo, come nelle fasi di forti stagnazioni. È questo il caso, ad esempio, delle forti recessioni, in cui il basso livello dei tassi di interesse riduce di molto l’efficacia della politica monetaria.
- e) La valutazione complessiva di un insieme di misure di bilancio non può essere semplificata da pochi moltiplicatori medi sul bilancio pubblico 4, in quanto questo metodo tende a trascurare altri effetti importanti per la politica economica, quali l’evoluzione del mercato del lavoro o l’andamento dei prezzi.
- f) Per l’Italia, che attraversa un’evidente crisi di fiducia, i moltiplicatori che si riferiscono alle maggiori poste di spesa corrente della manovra, calcolati da autorevoli osservatori, risultano particolarmente bassi per le spese correnti relative al Reddito di cittadinanza e, addirittura, zero per la Quota 100.
Tenuto conto di queste considerazioni e, avuto riguardo alla scarsità della nuova spesa per investimenti aggiuntivi, è lecito attendersi che la ripresa auspicata dalla maggioranza per la seconda metà dell’anno non possa che restare nel novero delle speranze deluse, mentre sempre più minacciosa avanza la prospettiva di una manovra correttiva in corso d’anno.
1) Cfr Brainard W.C. “Uncertainty and the Effectiveness of Policy”,in American Economic Review, 1967; Born B. e Pfeifer J. “Policy risk and the business cycle”, Journal of Monetary Economics, 2014; Fernàndez-Villaverde J e altri “Fiscal Volatility Shocks and Economic Activity”, in American Economic Review 2015; Broner S., e altri ““Fiscal Multipliers and Foreign Holdings of Public Debt”, ESM WP Series 30/2018.
2) Cfr. Anzuini A., Rossi L. e Tommasino P. “Fiscal policy uncertainty and the business cycle: time series evidence from Italy”, Temi di Discussione N. 1151, Banca d’Italia, (2017).
3) Secondo i canoni della Contabilità Nazionale, l’importo di ogni aumento di spesa entra comunque completamente nel calcolo del PIL; il maggior reddito derivante dal moltiplicatore si aggiunge a detto importo.
4) Cfr. Mineshima, A. e Weber, A. “Fiscal Multipliers”, in “Post-Crisis Fiscal Policy”, a cura di Cottarelli, C., Gerson, P. e Sendhadji, A., Cambridge, MIT press 2014