-di SANDRO ROAZZI*-
Cinquanta anni fa, Pietro Nenni a 77 anni tornò a rivestire il ruolo nel Governo Rumor di Ministro degli Esteri. Un incarico che aveva un precedente lontano nel tempo: nell’ottobre del 1946 il socialista Padre della Repubblica aveva fatto parte con quell’incarico del Governo De Gasperi, prima che la coalizione dei partiti che avevano guidato la Resistenza ed il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica tramontasse con l’avvento di un mondo che si avviava a sancire la divisione in blocchi. Nel 1968 invece i governi di centrosinistra erano alle prese con uno scenario internazionale mutato, con l’esplosione della contestazione e di nuove lotte operaie in un’Europa che reclamava un’anima sociale e nel quale la Cina di Mao faceva presagire un futuro da gigante della scena mondiale che Nenni aveva intuito per tempo. Il ritorno di Nenni al Ministero degli Esteri diventa oggetto di riflessione nella iniziativa che la Fondazione Nenni insieme al Ministero degli Esteri ha promosso nella sede della Farnesina con apporti di politici, sindacalisti, esponenti della cultura laica e socialista. Lavori aperti da Giorgio Benvenuto Presidente della fondazione e dall’ambasciatore d’Italia in Cina Ettore Sequi. “Nenni si batte perché le porte dell’Onu si aprano alla Cina e per riconoscere questo grande Paese. E’ un impegno che affronta con il solito coraggio e in coerenza con una visione dell’internazionalismo socialista insofferente della angusta logica dei blocchi” sostiene Giorgio Benvenuto che ricorda la simpatia del leader socialista verso la figura di Mao come viene espressa in una intervista ad Oriana Fallaci dopo un suo viaggio in Cina: “Mao resta il personaggio che mi è piaciuto di più. Ma, se dovessi motivare questa scelta, non ne sarei capace. Perché nasce da un istinto. Suppongo che mi sia piaciuto perché viene dal mondo contadino, ed io sono figlio di contadini, senza alcuna contaminazione cittadina o borghese”. Benvenuto ricorda poi che nei suoi Diari, Nenni abbia rammentato una sorta di parabola che Mao raccontava fin nel suo letto di morte e riguardava un vecchio contadino che voleva spianare con i suoi figli a colpi di zappa una montagna. Ed a chi gli ricordava l’inutilità di questa impari impresa il contadino ribatteva che di generazione in generazione proseguendo questo lavoro con determinazione quella montagna sarebbe stata vinta. “In un certo senso potremmo dire che questo racconto disegna anche la storia politica ed umana di Nenni, consapevole che le lotte per la libertà e contro le diseguaglianze sociali ed economiche sono difficili, ma che alla fine i colpi di zappa possono risultare vincenti. Un atteggiamento che, aggiungeremmo oggi, con realismo ma anche con passione ideale non rinuncia mai a vedere il bicchiere mezzo pieno. Il senso della continuità che è forte in Mao, pensiamo alla lunga marcia ovvero una… ritirata che condurrà alla Cina moderna, lo è altrettanto in Nenni che lo ha sperimentato sulla propria pelle e nelle battaglie che ha condotto nella sua vita”.
Allora la Cina era un Continente del quale si sapeva poco e che semmai suscitava l’ammirazione di un certo estremismo europeo che era lontano dagli ideali politici di Nenni, come si spiega allora questo interesse?
“Nenni comprende prima degli altri il ruolo che la Cina è destinata ad esercitare nella comunità mondiale. E non solo perché intuisce che il bipolarismo Usa- Urss è destinato a tramontare, ma perché le potenzialità della Cina sono enormi, possono favorire un mondo multipolare nel quale far crescere contro gli egoismi nazionali una migliore cooperazione. La Cina per Nenni non è un enorme satellite che gira attorno a mondi dominanti, ma un universo del quale si deve tener conto perché aspira legittimamente ad un ruolo da protagonista. Ed è quello che avviene: chi avrebbe mai detto che proprio la Cina, sia pure per suoi interessi, sarebbe diventata il difensore del commercio internazionale contro la politica dei dazi: chi avrebbe potuto mai credere che avrebbe sfidato la egemonia statunitense sul terreno delle nuove tecnologie e della intelligenza artificiale? Nenni non arriva a tanto, ma si sente di scommettere su una avanzata di questo gigante mondiale prima di molti altri statisti”.
Ma resta pur sempre il problema di un Paese a guida comunista…
“In questo senso funziona il pragmatismo nenniano che vuole la Cina sempre più integrata in un sistema internazionale, vedi l’accesso all’Onu, oltre che capire quanto possa essere importante il dialogo Europa-Cina, nel quale l’Italia poteva giocare un ruolo rilevante. Il legame con la Cina è antico come sappiamo, più antico dei viaggi di Marco Polo. Inizia con l’invio come “ambasciatore” di pace di un francescano. Giovanni da Pian del Carpine, da parte del Papa Innocento IV. Sarà poi collaudato dal rapporto fra il gesuita Matteo Ricci e la società cinese. In ognuno di questi incontri prevale il senso dello scambio reciproco delle rispettive conoscenze, culture. Un metodo che anche oggi, vedi la via della seta, può produrre buoni risultati per il nostro Paese, l’Europa e la Cina”.
Ma al tempo della globalizzazione difficile come può funzionare un rapporto fra un’Europa che dimostra di non aver una bussola ed un mondo che procede a velocità doppia come quello cinese?
“Anche in questo caso ci sorregge l’intuizione di Nenni in politica internazionale. Con i cinesi, la cui strategia è ad ampio raggio basta vedere le sue politiche verso l’Africa, i viaggi non bastano, né l’illusione di ottenere favori immediati. Ci vuole lungimiranza, un lavoro di lunga lena, perché la Cina di oggi guarda lontano. Ci vuole un’Italia che sia in grado di incidere sulla politica europea. Ci vuole un azione di Governo che abbia le stesse caratteristiche di quello che la Cina intende fare: realizzazioni capaci di compiere progressi validi nel tempo”.
E sul piano sindacale questo impegno di Nenni che seguito aveva?
“Nel 1978 organizzammo, come Uil, un viaggio in Cina. Mi recai da lui per qualche consiglio: mi incoraggiò perché era convinto che si seminava nel campo di rapporti che costituiva il futuro. Interessante fu anche l’esito di una visita di una delegazione del ricostituito sindacato cinese, invitato dalla sola Uil e che dovette superare difficoltà posta da quella che potremmo chiamare una lobbie filorussa. Non poterono partecipare alla celebrazione del Primo maggio ma incontrarono Pertini, Presidente della Repubblica, Craxi, Berlinguer , Piccoli ed altri politici di primo piano. In quella occasione cogliemmo l’interesse cinese verso il nostro Paese considerato come un interlocutore in grado di esercitare una influenza importante nelle relazioni internazionali”.
Nenni metteva però del suo anche con il suo temperamento, la sua umanità…
“Vero. Aveva quel senso vivace ed intenso della vita che meravigliò Zhou Enlai che la identificò in una eterna giovinezza, quella capace di spinare montagne. Ma il Nenni Ministro degli Esteri a 77 anni ci ricorda anche un altro tratto della storia socialista: il valore di un impegno politico sovranazionale se si vogliono cambiare le cose, se si vuole dare voce a chi non l’ha, se si vuole dare forza alle esigenze del mondo del lavoro, se si vuole difendere la dignità della persona. Oggi invece manca un movimento riformista che si ispira a questi valori. La presenza riformista politica e sociale soffre di divisioni e di un vuoto di prospettive che sono anche il frutto di una lunga sudditanza alle logiche liberiste e della finanza. Nenni su questo punto era certamente diverso: cercava la coesione, voleva l’inclusione, agiva per la comprensione. Un messaggio che resta valido anche se il mondo è cambiato e cambierà ancora”.
*Intervista pubblicata il giorno 11/12/2018 su “Nuovo Corriere Nazionale”