I “tranvi” del “sor Capanna”

 – di STEFANIA CONTI –

Nell’era del web , il romano denuncia, posta, fotografa, filma su Istagram autobus che vanno a fuoco o che si rompono.

Bestemmia in modo indicibile per i tempi stellari tra l’arrivo di un mezzo e l’altro. Indirizza parole irripetibili agli scioperi continui (chissà perché sono sempre di venerdì).

Ma c’è stato un tempo in cui il romano era più spiritoso e creativo. Nel 1912, per esempio, un tram perde il controllo, esce dai binari e va a sfracellarsi dentro il Foro Romano. Diciotto feriti.

Non c’era internet e il giornale il popolino lo comprava poco, ma c’era er sor Capanna, stornellatore, cantastorie e attore di strada che informava a dovere <chi adesso monta in tranve o gente mia. Sarebbe mejo prima d’annà drento Che dasse un bacio a tutta la famia (famiglia n.d.r.) E doppo poi lasciasse er testamento>. Inutile dire che lo stornello passò di bocca in bocca.

Notare: il tramway in romanesco era diventato “er tranve” (si dice ancor adesso), plurale “li tranvi” (si dice meno).

In occasione di un altro incidente, “Pepparello er muratore”, spalla del sor Capanna, inventa una canzoncina “li tranvi furiosi a Roma” <è un commodo davvero sciccheria Ma pe’ strada le persone Si nun fanno un po’ attenzione Sai che fa er tramme: Je po’ staccà la testa co le gamme >.

Ci sono poi stornelli sessisti e a dir poco maleducati. Quando scoppia la prima guerra mondiale i tranvieri (tutti maschi) partono per il fronte e le vetture vengono guidate dalle donne.

Uno scandalo. Er sor Capanna, sensibile agli umori popolari, si inventa là per là <si giri tutta Roma Nun trovi ‘na puttana L’ha requisite tutte la Società romana>, con la quale i romani intendevano la società pubblica di trasporto.

Le tranviere non la presero bene e una sera un gruppetto di loro aspettò sotto casa er sor Capanna e lo fece nero di botte.

Facezie a parte, la rete tranviaria comunale (già diventata elettrica) era ormai una realtà che stava sbaragliando le società private. Nel 1909 un referendum popolare indetto dal sindaco Nathan sancisce uno schiacciante consenso alla nascita dell’azienda municipale azienda tranviaria municipale – Aatm – antenata dell’odierna atac.

Il già citato “Pepparello er muratore” stornella <er tranve der comune nun c’è male Co’ du sordi fai ‘na corsa tale Quello davero te fa fa le mia (miglia:n.d.r.)>

Ma l’Osservatore Romano si dichiara certo che gli elettori si pentiranno di questa loro scelta. Lo riporta Vittorio Emiliani nel suo libro “Roma capitale malamata”.

C’è da notare che la municipalizzata prevede la partecipazione agli utili per operai e impiegati, <per realizzare – secondo Nathan – il duplice intento di avere solidale il personale per evitare gli attriti tra capitale e lavoro>.

Inoltre il biglietto costa meno e le linee aumentano. Tanto che all’arrivo del regime fascista – stiamo sempre citando il libro di Vittorio Emiliani – Roma si presenta all’avanguardia in Europa con oltre 430 chilometri di rotaie tranviarie e una cinquantina di linee regolari.

L’aumento così intenso del trasporto pubblico cambia ancora una volta il costume dei romani.

Appena finita la prima guerra mondiale, nel 1918, cominciano i lavori per la costruzione della linea Roma-Ostia, che si completa nel 1924. E’ un successo clamoroso.

L’auto è ancora un privilegio per pochi e  grazie a quel trenino, la popolazione tutte le domeniche si riversa al mare. Nasce la canzoncina, conosciuta ancora adesso, “tutti al mare/tutti al mare / per godere e per amare…” (in verità anni più tardi diventerà “pé mostrà le chiappe chiare”, ma allora si era un po’ più morigerati).

Nasce anche il cosiddetto “quartiere marino di Roma”, che oggi è diventata una vera e propria città. Nasce il pendolarismo, di gente che lavora nella capitale ma risiede a Ostia.

La passione per la gita “for de porta” in realtà era già scoppiata all’inizio del ‘900 , con l’apertura della linea Roma-Frascati, cui seguiranno i collegamenti con gli altri paesi dei Castelli, acciambellati sulle colline a sud della città. così vicini ma così poco frequentati.

Tra il 1912 e il 1916 saranno praticamente tutti collegati con Roma ed esplode così la moda della villeggiatura ai Castelli.

Ci si va anche solo di domenica. Si mangia nelle “fraschette” portandosi  il cibo da casa, e si beve il vino locale. E non è raro incontrare nell’ultimo convoglio della sera, uomini euforici o assopiti (le donne no, non stava bene che bevessero, nemmeno le popolane).

Nel 1925,  grazie ai “tranvi” che consentivano di andarsi a godere la frescura delle colline nasce a Marino “la sagra dell’uva”, una festa dedicata alla madonna del rosario.

La fontana dei Mori nella piazza principale del paese, la prima domenica di ottobre getta vino invece che acqua.

E’ diventata famosissima e lo è ancora oggi. Se la inventa Ercole Pellini, in arte poeta Leone Ciprelli, mentre l’anno successivo Ettore Petrolini lancia la canzone “La gita ai Castelli”, più nota come Nannì (parole e musica Franco Silvestri): una carrellata su quei boschi e paesi che  fanno da corona al vulcano laziale.

Sono citati tutti e “s’annamo a divertì Nannì Nannì” è entrata nel folklore romano, una canzone che si identifica con  Roma e che ancora adesso gli stornellatori propinano agli stranieri nei ristoranti.

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