-di GIULIA CLARIZIA-
9 ottobre 1967. Bolivia. Ernesto Guevara, detto El Che, viene ucciso dopo essere stato catturato dal reparto antiguerriglia dell’esercito boliviano.
Medico, rivoluzionario per vocazione, iniziò la sua battaglia con un viaggio in motocicletta nel nord rurale dell’Argentina, per poi proseguire lungo numerosi paesi dell’America Latina. Non aveva ancora finito gli studi che conobbe le pessime condizioni in cui erano tenuti i malati di lebbra, l’ingiustizia della miseria più estrema di fronte alla ricchezza. E allora comprese che la risposta a tutto questo poteva essere una sola: la rivoluzione.
Prese la laurea con l’obiettivo di ripartire, il prima possibile. Questa volta però, le sue attenzioni erano rivolte alla lotta politica che si portava avanti in paesi come la Bolivia o il Costa Rica, dove la United Fruit regnava sovrana. Poi si stabilizzò in Messico, dove tra gli esuli conobbe Raùl e Fidel Castro, allora leader dell’organizzazione paramilitare volta a contrastare la dittatura di Batista a Cuba, il Movimento del 26 luglio. E fu proprio all’interno del movimento che El Che iniziò a combattere, fino ad assumere la guida della sua seconda colonna. Egli prese parte all’alba dell’era castrista, entrando nel governo dopo aver ottenuto la cittadinanza onoraria cubana.
Passarono cinque anni. Poi lasciò l’isola nel mistero. “Altri Paesi nel mondo hanno bisogno dei miei modesti sforzi”, scriveva a Castro. La lotta all’imperialismo non poteva arrestarsi.
Stava addestrando alla guerriglia un gruppo di dissidenti boliviani, quando l’esercito, spalleggiato dalla CIA, si mise sulle sue tracce. Fu catturato nei pressi del villaggio di La Higuera insieme ad alcuni compagni. Solo il giorno successivo fu ucciso.
Il 9 ottobre morì l’uomo e nacque il mito. In alcuni casi non è esagerato dire che nacque il culto. In Bolivia, la foto scattata al volto senza vita del comandante è stata associata a quello di Cristo, e in molti ancora oggi lo pregano.
Per i sessantottini- tanti lo ricorderanno bene- egli divenne il martire della rivoluzione. D’altronde, ogni lotta ha bisogno di un eroe a cui ispirarsi, e gli eroi, si sa, “son sempre giovani e belli”.
Se sapesse di essere diventato oggi un’icona spesso commercializzata dallo stesso capitalismo che per lui era la causa dei mali della società, forse si rivolterebbe nella monumentale tomba dove riposa a Santa Clara de Cuba. Non serve conoscere la sua storia e le sue idee per riconoscere l’inconfondibile sagoma contornata dal basco, stampata su una maglietta in qualche negozio di souvenir.
È diventato quasi un personaggio scontato, svuotato del suo ruolo storico per essere eletto invece ad eroe senza tempo, il comandante di tutti i compagni. Eppure oltre il mito c’è una figura storica che meriterebbe di essere approfondita al di là del luogo comune. El Che non va ricordato perché va di moda, ma perché la sua storia aiuta a comprendere il complicato mondo della lotta alle dittature militari in America Latina e non solo. Tra le altre cose, aiuta a indagare gli equilibri della guerra fredda, la cui scacchiera era il mondo intero. O più semplicemente, a capire come un viaggio compiuto al momento giusto della vita, può cambiarla per sempre.
Hasta siempre, comandante.