-di ANDREA PANACCIONE-
Myriam Bergamaschi, I sindacati della UIL 1950 – 1968. Un dizionario, Bibliotheca Edizioni, Roma, 2018, 548 pp.
Questo dedicato alla UIL è il terzo volume di una serie di dizionari curati, e in grandissima parte scritti, dalla stessa autrice: il primo è stato I sindacati della CGIL 1944 – 1968. Un dizionario, Fondazione ISEC – Guerini e Associati, Sesto San Giovanni – Milano, 2007; il secondo I sindacati autonomi in Italia 1944 – 1968. Un dizionario, BFS Edizioni, Pisa, 2017. Tre importanti strumenti di studio per la storia del movimento dei lavoratori in Italia dalla fine della seconda guerra mondiale a quella degli anni ‘60, costruiti con una forte unità metodologica malgrado lo scarto temporale della pubblicazione del primo volume dagli altri due, e strutturati, come indicato nei titoli, come dizionari di organizzazioni. Il numero rilevante delle organizzazioni censite nei tre dizionari (277 nel primo, 167 nel secondo, 86 nel terzo), per ciascuna delle quali le rispettive voci ricostruiscono la storia e forniscono informazioni sui gruppi dirigenti, le linee contrattuali ecc. e indicazioni bibliografiche di approfondimento, è di per sé un’indicazione dell’utilità di questi lavori come strumenti di consultazione.
Come sappiamo esiste una tradizione più che secolare di strumenti diversi (dizionari, enciclopedie, annuari, manuali, lessici biografici e bibliografici, ecc.) che hanno accompagnato la storia dei movimenti dei lavoratori nei vari paesi e che spesso, oltre che strumenti di consultazione e di informazione, sono stati un’occasione importante per fare il punto sullo stato degli studi e per stimolare nuovi approcci di ricerca. Negli ultimi decenni del secolo scorso questo è stato particolarmente vero per il genere dei dizionari biografici del movimento operaio, che sono stati realizzati in molti paesi seguendo l’esempio, rimasto per la verità insuperato, del Dictionnaire biographique du mouvement ouvrier français, avviato da Jean Maitron con la pubblicazione del primo volume nel 1964 e poi sviluppato in un’opera monumentale con diverse serie temporali per la Francia e con alcuni importanti volumi dedicati agli altri paesi. Non mi soffermo sulle realizzazioni analoghe in Inghilterra (sotto la direzione di Joyce M. Bellamy e di John Saville), in Italia (sotto la direzione di Franco Andreucci e di Tommaso Detti) e in altri paesi; vorrei solo indicare come un fattore essenziale dell’interesse e della fortuna di queste opere fosse l’esigenza di superare una storia solo istituzionale (la storia dei congressi) e la rivalutazione della dimensione della pluralità, della varietà delle figure e delle esperienze che potevano essere comprese in una espressione canonica come quella di movimento operaio e che, nella ricostruzione di tanti percorsi individuali, ponevano agli studiosi le questioni del rapporto tra storia sociale, storia dei milieux di vita, delle culture, delle mentalità, e la storia politica o delle organizzazioni.
Contrariamente a certi atteggiamenti di sufficienza verso la storia delle organizzazioni, mi sembra che questi lavori di Myriam Bergamaschi presentino dal versante opposto, cioè partendo appunto dalle strutture organizzative, e quindi naturalmente anche dagli uomini che ci lavorano ma colti in un impegno e una dimensione specifici della loro vita, le stesse sollecitazioni e stimoli; mi sembra particolarmente felice, da questo punto di vista, l’osservazione di Carmelo Barbagallo, nella Prefazione a questo volume sulla UIL, sulle organizzazioni che riflettono, subiscono, si adattano e cercano di dominare “un mondo del lavoro che continuamente cambia”, un elemento sviluppato da Giorgio Benvenuto nella sua Introduzione a proposito di una struttura organizzativa che continuamente si evolve. Ritengo anche che questo permetta di comprendere alcuni caratteri essenziali della storia del movimento sindacale italiano. In primo luogo il suo carattere politico, molte volte sottolineato ma che rimane un concetto complesso e che per il periodo considerato da Myriam Bergamaschi allude all’impronta di figure fondanti come Buozzi e Di Vittorio, all’importanza che ha avuto per entrambi l’esperienza dell’esilio, al ruolo di una nuova generazione di dirigenti sindacali passati attraverso la Resistenza, al peso della guerra fredda come confronto sociale e insieme politico-ideologico a livello nazionale e internazionale nella fase ricostitutiva o costitutiva delle grandi confederazioni, all’importanza delle strutture orizzontali o territoriali e alla fatica fino agli anni ’60 dell’affermarsi di un sindacalismo delle categorie che si realizzerà pienamente solo con lo sviluppo industriale del Paese e dopo il “miracolo economico”, al rapporto con i partiti, allo stesso obiettivo della fine degli anni ‘60 di riformare la società a partire dalla fabbrica. Questo carattere politico, che comunque rimarrà una costante dalla “CGIL di Di Vittorio” al sindacato dei consigli al sindacato dei cittadini, dovrà però fare i conti con una realtà del mondo del lavoro sempre molto diversificata (che si tratti di dizionari del lavoro frammentato era già una giusta osservazione di Stefano Musso nell’introduzione al volume sulla Cgil), che rifletteva gli scarti e le disuguaglianze dello sviluppo economico italiano, anche in quella che è stata definita la “breve stagione matura dell’industrialismo” (Giuseppe Berta) e insieme la struttura dello Stato italiano e le continuità con il fascismo, su cui esiste una importante storiografia (è significativa da questo punto di vista, ma è anche il riconoscimento di una risposta reale a diffusi bisogni associativi, la presenza di un volume dedicato ai sindacati autonomi, così come la voce nel dizionario sulla UIL dedicata a “I sindacati autonomi confluiti nella Uil”), e che faranno del pubblico impiego e dell’amministrazione pubblica il versante più debole dell’azione riformatrice dei sindacati e il terreno privilegiato dell’intreccio tra azione corporativa e “mediazione poltica” nel senso più deteriore dell’espressione.
Un confronto fra i tre volumi permette di evidenziare, insieme al carattere unitario che ho già indicato, il vero arricchimento rappresentato dal volume sulla UIL: in particolare, insieme al corredo iconografico, per l’appendice documentaria, in gran parte ricavata dai fondi della Fondazione Bruno Buozzi, dedicata alla ricostruzione del clima che ha visto nascere la confederazione, su cui si sofferma l’Introduzione di Benvenuto, indicando nell’impegno a farsi riconoscere autonomamente sul piano internazionale rispetto al privilegiamento della CISL nel sindacalismo americano una vera lotta per la sopravvivenza e un capitolo non secondario dello scontro internazionale per il controllo delle organizzazioni dei lavoratori nella prima fase della guerra fredda.
Nel N. 3, 2007, di “economia & lavoro”, Piero Boni, con la sua passione non solo di protagonista ma anche di storico del sindacato, aveva recensito il primo dei lavori della Bergamaschi, indicandone i pregi di “una visione complessiva sostenuta da un unico, costante e concreto indirizzo” e sollecitandone lo sviluppo sia per il periodo dagli anni ’70 che per le altre grandi organizzazioni dei lavoratori in Italia. Se la prima sollecitazione rimane ancora qualcosa di difficile da progettare, soprattutto ad opera di un/a singolo/a studioso/a, Myriam Bergamaschi è andata molto avanti nel rispondere alla seconda, che è stata comunque unanimemente ripresentata, per quanto riguarda la CISL, in occasione di una presentazione/discussione dei tre dizionari svoltasi a Milano il 13 giugno 2018.
Vorrei concludere su un concetto che a mio parere è molto indicato a definire la natura dei lavori di Myriam Bergamaschi e che è quello di “guida” e non di semplice repertorio, anche senza avere prioritariamente “obiettivi interpretativi”, come scrive l’autrice nel volume sulla Uil. Guida significa stimolare una visione che, per un determinato periodo, stabilisca delle connessioni e indichi un percorso, un possibile confronto con altri periodi, sia precedenti che successivi, e permetta quindi di situare la storia dei movimenti sindacali dentro quella della società italiana e, a chi utilizza questi strumenti, di confrontarsi con una lettura d’insieme.