Juncker per un’Europa ad una sola voce: lo Stato dell’Unione 2018

– di GIULIA CLARIZIA-

Giornata densa di avvenimenti ieri al Parlamento Europeo, dove il Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha tenuto l’ultimo discorso sullo Sato dell’Unione del suo mandato.

Il presidente ha esordito con una riflessione. I cinque anni che stiamo per lasciarci alle spalle, sono solo una breve parentesi rispetto alla storia dell’Unione Europea. Le commissioni e i Parlamenti cambiano, quello che resta è l’Europa. Quell’Europa che è garante di pace, e che per questo merita un rispetto quasi sacro.

Se a livello economico l’UE è in netta ripresa dalla crisi, mantiene il suo primato di più grande mercato unico al mondo, ed ha accordi commerciali con 70 paesi terzi, non possiamo essere altrettanto soddisfatti della sua forza politica. A livello internazionale, l’Unione Europea è rimasta a guardare i disastri che ci hanno circondato e tutt’ora ci circondano, con un diretto riferimento alla Siria e alla Libia.

Bisogna dunque rafforzare l’unione politica in modo tale da poter essere presenti sullo scenario internazionale, dove ancora troppo contiamo sulle alleanze del passato nella speranza che esse non cambino, perché se dovessero cambiare ci troverebbero impreparati.

A questo proposito, è necessario lavorare sull’incremento delle capacità militari dell’Unione. Non ai fini di una militarizzazione, ma per essere più responsabili e indipendenti.

Il Presidente si è poi soffermato sulla questione dei flussi migratori, rispetto ai quali l’Europa rischia di comportarsi come una fortezza, che volta le spalle a chi soffre. Al contrario, non bisogna dimenticare i valori di solidarietà su cui l’Unione si basa. Sicuramente l’Unione Europea, in merito alla politica migratoria, ha collezionato una serie di insuccessi, soprattutto perché le proposte che vengono presentate non vengono approvate e implementate. E in questo, senso, Juncker ha puntato il dito contro le altre istituzioni, soprattutto quelle intergovernative come il Consiglio Europeo e il Consiglio dell’UE, dove si stenta a trovare un accordo per la gestione dei flussi.

Non si può continuare a trovare soluzioni ad hoc per ogni nave che arriva”, una riforma è fondamentale. Anche perché, Junker lo ha detto esplicitamente, l’Europa ha bisogno di immigrati preparati al lavoro. Non si può pensare di chiudere la porta e accelerare la politica di rimpatrio per gli immigrati illegali, senza aprire un’efficace via di accesso legale per chi vuole entrare.

Rispetto agli stati africani, poi, è necessario sostituire l’atteggiamento di carità che ha caratterizzato per decenni la politica degli europei nei loro confronti, con l’istituzione di una equal partnership.

Non poteva mancare il riferimento alla Brexit, i cui negoziati dovrebbero terminare per il prossimo marzo. Il Presidente ha chiarito che se da un lato bisogna rispettare la decisione della Gran Bretagna, questa a sua volta non può immaginare che uscendo, mantenga i privilegi di uno stato membro.

Juncker non dimentica poi la questione del bilancio, ancora in fase di approvazione, che esorta a concludere prima delle elezioni.

Verso le conclusioni, il Presidente ha affermato con vigore che l’Unione Europea continua e continuerà sempre a difendere lo stato di diritto, e lo farà attraverso l’applicazione dell’articolo 7, che prevede sanzioni fino alla sospensione del diritto di voto di uno stato che si rende colpevole della violazione dei fondamentali principi che reggono l’Unione Europea. Il chiaro riferimento è alla votazione che quello stesso giorno avrebbe riguardato l’attivazione della procedura di sanzioni nei confronti dell’Ungheria di Orban.

L’assemblea ha approvato la condanna, accusando il premier ungherese di aver minato la democrazia attraverso l’introduzione di riforme che, tra le altre cose, hanno limitato l’indipendenza della giustizia e la libertà di stampa. C’è da dire però che, per quanto il risultato sia storico, il passaggio della palla al Consiglio Europeo bloccherà verosimilmente la procedura. Il voto all’unanimità, permetterà ai sostenitori di Orban, quali Polonia, Repubblica Ceca e – ahi noi- forse anche l’Italia, di arrestare il processo.

giuliaclarizia

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