La Fondazione Nenni incontra Ivana Veronese

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

Quando Carmelo Barbagallo nell’ultimo congresso nazionale della UIL ha annunciato la sua elezione in Segreteria Confederale, sul volto di Ivana Veronese s’è affacciato un barlume di commozione. Possiamo immaginare che in quegli istanti, d’improvviso, si siano manifestati, in un turbinare di ricordi, emozioni ed esperienze affastellate in anni di intenso lavoro nel sindacato.

E se c’è una nota che contraddistingue Ivana Veronese, questa è la passione: la capacità di immedesimarsi in ciò che fa per conoscerlo al meglio in ogni sua sfumatura.

Dote non comune. Eppure essenziale per chi fa il sindacalista. Solo attraverso una sincera empatia si può riuscire a realizzare grandi progetti di riforme in grado di migliorare la condizione attuale, non certo facile, dei lavoratori.

Ivana, la tua elezione alla Segreteria Confederale è stata un bel traguardo.

Assolutamente sì. Ma io, come in tutto ciò che faccio, amo considerarlo un punto da cui iniziare.

Al tuo arrivo nel nuovo ufficio come ti sei sentita?

Indubbiamente emozionata. Non ultimo perché, come quasi sempre è accaduto nella mia vita lavorativa, è un cambiamento che si è verificato in coincidenza di un momento molto particolare per il nostro paese.

Alludi alla situazione politica?

Certo. E poi a quella sociale che dalla politica scaturisce direttamente.

E questa coincidenza la reputi fortunata?

Più che fortunata, oserei definirla stimolante.

Perché?
Perché in virtù delle deleghe che mi son state date, avrò un confronto con l’attuale Governo molto vivo e su temi di stringente attualità.

Potresti dire quali sono queste deleghe?

Certo. Sono: il Mezzogiorno, Politiche attive e passive del lavoro, Immigrazione, Federalismo, Politiche regionali e fondi europei, Pari opportunità e Fiscalità locale.

In pratica son tutti temi che, per un verso o per l’altro, toccano il contratto di Governo coi punti da realizzare nei prossimi cinque anni.

Esattamente. Ecco perché ti dicevo che la mia elezione in Confederazione arriva in coincidenza di un momento politico particolare.

Particolare in che senso, secondo te?

Indubbiamente quello che si profila da qui ai prossimi anni sarà un Governo di cambiamento. Ma lo dico non nello stesso senso con cui lo intendono i diretti protagonisti. Ci saranno risvolti diversi rispetto al passato. E bisognerà vedere, passo passo, cosa succederà e regolarsi in conseguenza.

Quanto della tua esperienza nella UIL-TUCS porterai in questo tuo nuovo momento lavorativo?

La mia categoria di provenienza ha un mondo del lavoro molto variegato. Quindi sul piano dell’istituto della contrattazione vi è stato tanto da fare. Gran parte di quella esperienza, certamente, la porterò con me in questa nuova fase della mia vita sindacale.

Che ne pensi del Decreto Dignità?

Partiamo dal presupposto che tutto quello che va a ridurre la precarietà va bene. Perché non è possibile chiamare contratti a termine quelli che durano tre anni. Sono a termine? E allora non possono durare più di due o tre mesi. In casi eccezionali un anno, ma solo per esigenze realmente particolari. Quindi va bene ridurre la precarietà. Poi è chiaro che vi sono cose da migliorare, anche sui contratti a tempo determinato, perché ci sarà bisogno di porre mano ad una norma transitoria per far sì che le persone così contrattualizzate non perdano il lavoro.

Non è quindi un decreto tutto da buttar via.

No. Comunque teniamo presente che la sua redazione definitiva ancora non c’è. Stiamo ragionando sempre su stesure provvisorie. Vediamo la versione ultima e a quello che bisognerà fare per migliorarla.

Vi sarà un cambiamento da parte del Governo nel rapporto coi corpi intermedi come è il sindacato?

Probabile che vi sia. Teniamo conto che negli ultimi anni questo cambiamento nel rapporto col mondo del sindacato già vi è stato, e di sicuro non positivo. Non per niente noi abbiamo scioperato contro il Jobs Act. Adesso c’è da capire quali saranno gli equilibri. Noi rappresentiamo dei bisogni e penso che il sindacato debba fare la sua parte per migliorare la situazione del paese. Dobbiamo essere propositivi e mi auguro che la Politica, più che il Governo, sia disposta ad ascoltarci. Non ultimo perché rappresentiamo un mondo plurimo che non si può né si deve ignorare.

La UIL ha registrato un aumento esponenziale nelle ultime elezioni delle RSU.

Assolutamente sì. Ed è indicativo del fatto che mentre Politica e Governo si allontanavano da noi, i lavoratori hanno cercato un rapporto più stretto col sindacato. C’è da dire che noi della UIL siamo molto radicati sul posto di lavoro. Non siamo un sindacato da ufficio.

Che differenza c’è, secondo te, nel lavorare in Confederazione rispetto ai metodi e al modus operandi?

In UIL-TUCS, anche in virtù della diversità delle realtà lavorative rappresentate dalla federazione, ho acquisito un bagaglio di competenze così variegato che lo porterò di sicuro con me in questa nuova esperienza. D’altra parte, assumendo un ruolo più trasversale, non posso privilegiare una categoria piuttosto che un’altra. Quindi sul piano del lavoro bisognerà operare una sintesi delle esperienze passate e di quelle che farò.

Sei d’accordo sul fatto che gran parte dell’economia italiana è tutta basata sulla piccola e media impresa?

Sì.

Cosa servirebbe per rilanciarla?

Intanto defiscalizzare il costo del lavoro a carico di queste realtà imprenditoriali. Ma prima ancora, è necessario alleggerire il carico fiscale che grava sui lavoratori dipendenti in generale. Così come la situazione è, a lungo non si può reggere. La piccola e media impresa è sempre stata la nostra forza. Bisogna tener presente che si tratta di realtà che hanno bisogno anche di un aiuto per confrontarsi con un mercato globale in cui dovranno giocoforza inserirsi per non morire. In sintesi, per rilanciare la piccola e media impresa occorrerebbe: defiscalizzare il costo del lavoro, purché vi sia un concreto sviluppo occupazionale, e quindi un’elevata responsabilità sociale da parte di queste realtà produttive; e in secondo luogo, aiutarle a dialogare e ad inserirsi nel più vasto mercato globale.

Come ti è nata la passione per il sindacato?

Ha un’origine un po’ familiare. Mio padre lavorava come fango-terapista ed era un rappresentante della UIL-Turismo; mia madre era una RSU del comune di Montegrotto. Quindi ho sempre sentito parlare di sindacato in casa mia. Poi quando cercavo lavoro, ho iniziato come impiegata in UIL ad Abano facendo un po’ di patronato e un po’ di CAF. Pian piano mi hanno chiesto se volevo provare a fare il salto e diventare sindacalista. E da lì è partito tutto. Son diventata la segretaria provinciale più giovane della UIL-TUCS, poi segretaria regionale e poi nazionale.

Sono cambiate le metodologie operative nel sindacato?

Alcune cose sono rimaste immutate: l’ascolto di quello che le persone ti dicono e la risoluzione dei loro problemi. Questi due aspetti non sono cambiati. Si tratta di una grande forza, soprattutto della UIL: la partecipazione attiva. Trovo, invece, che sia cambiata la circolarità della informazioni e il modo con cui si entra in contatto con i nostri iscritti. In passato, ricordo che si spedivano delle lettere. E a casa io e la mia famiglia le affrancavamo una ad una. Adesso, anche grazie alla capillarizzazione dell’informatica e delle tecnologie digitali, questo aspetto si è molto più velocizzato. Ed è tutto più facile.

Che desideri ti piacerebbe realizzare?

Io spero sempre di riuscire a migliorare le cose. Se attraverso il mio contributo riuscirò in tal senso, sono già felice. Soprattutto per i lavoratori e per le deleghe che mi hanno dato. La fortuna che ho è quella di non essere sola e di avere colleghi bravissimi il cui apporto sarà essenziale.

pierlu83

Rispondi