Gli interessi sul debito pubblico

-di FRANCO CAVALLARI-

 L’elevato livello registrato negli ultimo 20 anni dalla spesa per interessi necessaria al finanziamento del debito pubblico è dovuto principalmente all’enorme accumulo di del debito stesso e alla dinamica dei tassi di interesse del mercato mondiale. In certi periodi, a questi fattori si è aggiunto, con andamento altalenante, il premio di rischio concernente vari elementi contingenti di instabilità politica ed economica. Il tema è molto complesso e costituisce il pane quotidiano per gli specialisti preposti alla gestione del reiterato finanziamento dei titoli pubblici. Tuttavia, la descrizione delle linee essenziali degli elementi che hanno inciso sul costo del debito e che ne condizioneranno l’andamento negli anni futuri, può risultare utile alla comprensione della situazione presente e dei possibili sviluppi futuri di uno dei problemi più rilevanti dell’economia italiana.

Osserviamo innanzitutto che nel nostro Paese il rapporto Debito/PIL è stato negli ultimi 30 anni sempre superiore a 100, vale a dire che l’ammontare del debito è stato costantemente superiore al Prodotto Interno Lordo annuale. L’evoluzione di questo indicatore ha conosciuto negli ultimi 20 anni un notevole aumento, con qualche pausa,  come quella del periodo dal 2000 al 2008, in cui osserviamo una lieve tendenza alla diminuzione; ne è conseguita una non trascurabile riduzione della spesa per interessi, favorita anche dalle condizioni del mercato finanziario internazionale, con una riduzione nel periodo del costo medio del debito  dal 5,8% al 4,4%.

Nel periodo immediatamente successivo alla crisi del 2008 la spesa per interessi è cresciuta in seguito all’aumento tassi mondiali, cui si è aggiunta un’importante lievitazione del premio di rischio sui titoli italiani (lo “spread” BTP-Bund) oscillante tra 100 e 200 punti base. In realtà, dal 2009 al 2012, la spesa pubblica per interessi è cresciuta di un punto di PIL per effetto non solo dell’ampliamento del premio di rischio (spread oltre i 500 punti base nell’autunno 2011), ma anche dell’aumento del volume del debito in una situazione di  grande contrazione del PIL conseguente alla crisi.

 L’avvio del “Quantitative Easing” (QE) da parte della BCE nel 2013 ha calmierato il mercato dei capitali, consentendo l’acquisto di titoli di Stato domestici sul mercato secondario da parte della Banca d’Italia. Il trend della spesa per interessi ha in conseguenza registrato una sensibile flessione, nonostante il debito sia notevolmente aumentato (più di 10 punti di PIL tra il dal 2012 e il 2017). Così, malgrado l’aumento del debito, dopo il 2012, il miglioramento delle condizioni di mercato ha consentito al Tesoro di ridurre le emissioni a breve termine, secondo una linea strategica orientata all’allungamento della vita media del debito.

E’ noto che oltre al rapporto Debito/PIL, anche il rapporto tra il Saldo nominale del bilancio pubblico annuale e il PIL rappresenta un indicatore di grande importanza nella valutazione della solvibilità di un Paese (e quindi anche del livello del tasso di interesse). Con riferimento all’Italia, rileviamo che il primo rapporto ha raggiunto nel 2017 il preoccupante livello di 131,8%  e che nel 2018 e nel 2019 si attende una leggera decrescita, rispettivamente a 130,8 e a 128,0; dal canto suo, negli stessi anni, il rapporto tra il saldo nominale di bilancio ed il PIL, malgrado la (modesta) flessibilità dei saldi passivi accordata negli anni 2017-2019 dall’Unione Europea al nostro Paese, ha registrato anch’esso una leggera diminuzione, (rispettivamente -2,3%, -1,6% e -0,9%) in linea con gli impegni di pareggio del “Saldo strutturale”  di cui parleremo in seguito.

Accanto ai dati concernenti il disavanzo di bilancio nominale e il debito pubblico,  esiste tutta una serie di indicatori dei paesi membri che, in base al Patto di stabilità e crescita (PS&C), le autorità dell’Unione Europea calcolano per ogni Paese, secondo una metodologia concordata,  in ordine all’esigenza di valutare l’evoluzione della capacità dei singoli Paesi di convergere verso equilibri del bilancio pubblico compatibili con la coesione comunitaria riassunti in Obiettivi di Medio Termine (OMT). I principali di questi indicatori sono dati dall’”output gap” , vale a dire lo scostamento dalla “crescita potenziale” (crescita effettiva al netto degli effetti del ciclo economico e dei provvedimenti “un tantum”), dal “Saldo Primario” che non tiene conto della spesa per interessi, e dal “Saldo Strutturale”, che rappresenta l’indebitamento netto annuale della PA depurato della componente legata al ciclo economico e di quella legata alle entrate e spese una tantum, in sostanza il saldo di bilancio compatibile con la crescita potenziale.

 Senza entrare nel dettaglio dell’evoluzione  negli ultimi anni di detti indicatori, indichiamo soltanto che L’Italia, insieme alla Polonia, al Portogallo, alla Slovenia e al Regno Unito, si trova in “deviazione dal percorso di aggiustamento verso l’OMT”, sebbene tale incongruenza sia valutata “non significativa”, mentre solo l’Ungheria e la Romania si trovano in “deviazione significativa”  rispetto al percorso di aggiustamento. Rileviamo anche che nell’insieme dell’UE  i “saldi nominali” del 2018 e del 2019 sono attesi in lieve miglioramento rispetto al 2017, mentre per l’Italia lo “scenario tendenziale” presentato dal Governo dimissionario dovrebbe registrare nel biennio un miglioramento medio annuo pari a 0,8 punti di PIL.

 Il disavanzo strutturale, ossia il deficit annuale al netto della componente ciclica e dei provvedimenti “una tantum”, rappresenta l’indicatore fondamentale ai fini della valutazione degli aggiustamenti. Esso è ricalcolato dalla Commissione europea secondo una complessa metodologia concordata a livello UE, e, per i paesi dell’area dell’euro, nel 2019 risulta pari a 0,6 per cento di PIL. Il “disavanzo strutturale” dell’Italia atteso secondo il “bilancio tendenziale” per l’anno prossimo è leggermente superiore a quello dei paesi dell’area euro (0,8 % del PIL, contro lo 0,6)).

Infine, il “saldo primario”, vale a dire al netto della spesa per interessi sul debito, anch’esso influenzato dalle condizioni cicliche dell’economia oltre che da politiche di bilancio discrezionali, risulterebbe nel 2019 nella media dei Paesi dell’Eurozona pari all’1,4% del PIL, mentre per l’Italia il “quadro tendenziale”, contempla un miglioramento dello 0,6% del PIL , con un “avanzo primario” consistente, pari al 2,7% del PIL.

L’OMT che tutti questi indicatori si propongono di tenere sotto controllo, hanno certamente importanza come linea guida per le prospettive di risanamento della Finanza pubblica dei singoli Paesi. Ma va considerato  che le deviazioni da questo binario, anche se reiterate e non proprio insignificanti, comportano sanzioni non molto rilevanti, al massimo, l’avvio di una “procedura di infrazione”, come ne sono state avviate molte in passato, anche nei confronti di altri Paesi. Si tratta di una procedura sanzionatoria formale che nella maggior parte dei casi si risolve senza gravi conseguenze negative per i destinatari. Essendo  il potere sanzionatorio dell’Unione, nella sostanza, abbastanza flebile e privo di efficacia diretta. Tuttavia, le indicazioni di correzioni e le procedure di infrazione costituiscono importanti indicazioni per il mercato, più credibili delle quotazioni delle “Agenzie di rating”.

In realtà, il vero problema delle deviazioni dal cammino di stabilità del bilancio pubblico, non risiede nelle eventuali azioni sanzionatorie dell’Unione, ma nella reazione dei mercati; i quali, anche aldilà delle sanzioni europee, non tardano, se del caso, ad esigere un più elevato premio di rischio, che aggiunto al tasso di interesse, può rendere eccessivamente oneroso il rifinanziamento del debito. E, ove gli sconfinamenti dei saldi fossero eccessivi,  il  mercato potrebbe rifiutare la sottoscrizione del debito, indipendentemente dal livello del premio di rischio. Si aprirebbe così la via ad un insanabile “default” del Paese, molto simile a quelli vissuti dall’Argentina, con le conseguenze devastanti di natura economica e sociale analoghe a quelle subite da quel Paese per ben due volte in una generazione.

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