-di MAURIZIO BALLISTRERI-
Per tentare di descrivere il ruolo della sinistra nel nostro Paese, forse si può evocare il romanzo di Italo Calvino “Il cavaliere inesistente”: un’allegoria su come si possa pensare di essere qualcuno solo grazie alla funzione sociale che si svolge; quando se ne viene privati ci si trasforma in una figura frutto dell’immaginazione, vuota, proprio come l’armatura del cavaliere Agilulfo.
E così la sinistra post-comunista dopo il 1992, distrutto per vita mediatico-giudiziario (pronubi alcuni “poteri forti” nazionali e internazionali”) il Partito socialista, pur continuandosi a ritenere espressione della storia e dei valori democratici e progressisti, in realtà ha profondamente deviato da questa tradizione, compiendo scelte sociali ed economiche che hanno penalizzato i ceti più deboli, con una deriva culturale in favore del modello elitista legato agli interessi della finanza globale.
Conseguentemente l’austerità imposta in Europa dalla Germania è stata fatta pagare ai disoccupati, ai pensionati, agli operai, al ceto medio e al Mezzogiorno, tutelando banche e assicurazioni e le altre lobby economiche, come dimostra, ad esempio, l’assenza di prese di posizioni sul recente annuncio di significativi rincari delle tariffe energetiche, che penalizzeranno ancora le famiglie e le piccole imprese.
Il Partito democratico, nato dall’incontro tra grande parte dell’antico ceto politico di ceppo comunista e quello della cosidetta “sinistra” democristiana, ha generato il “renzismo”, una teoria di gestione del potere similbonapartista (senza la grandezza di Napoleone!) svincolata da ogni riferimento ideologico alla sinistra del ‘900, in particolare alla tradizione del riformismo socialdemocratico che in Europa, dal secondo dopoguerra sino al crollo del Muro di Berlino, ha assicurato benessere e sviluppo economico; un modello politico bocciato ripetutamente dagli elettori, con le due Waterloo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 e delle elezioni politiche del marzo scorso, ma che emblematicamente, più di queste drammatiche sconfitte, ha subito una débâcle nelle recenti elezioni amministrative nel cuore del potere del vecchio Pci: Toscana ed Emilia Romagna!
Una “sinistra” delle élites, in grado solo di recitare come un disco rotto una sorta di mantra sgangherato, il ritornello dei diritti civili e degli immigrati e che per contrastare il governo “gialloverde” ha lanciato l’improbabile proposta di un “Fronte repubblicano”, come se esistesse il pericolo di un revanscismo monarchico! Una sinistra assente, clamorosamente, dalle battaglie sociali, in primo luogo da quella per il lavoro, mai mortificato e vilipeso nella storia repubblicana come con il Jobs Act, che ha compresso i diritti in nome di una modernità senz’anima, senza approntare nuove tutele, ad esempio per i lavori sfruttati della Gig-economy.
Il conflitto sociale, tratto distintivo della sinistra novecentesca per rivendicare libertà ed uguaglianza, è stato espunto dalla strategia e dal lessico del Pd, non meno che da quelli dei sindacati “storici”, immobili rispetto alla demolizione dei diritti del lavoro e delle pensioni, attenti a difendere un “blocco corporativo” con le grandi (un tempo…) associazioni datoriali, con il sostegno di pezzi delle burocrazie ministeriali, ma senza il consenso di quelle che si definivano le “masse popolari”.
E così, la “sinistra” made in Italy ha abbandonato il conflitto sociale quale strumento di rappresentanza collettiva e di lotta politica, sperando nei default finanziari, nell’uso antinazionale dello spread e, magari, nella Troika per battere gli avversari al governo, senza ascoltare le riflessioni degli intellettuali che più volte hanno ammonito come queste scelte avrebbero condotto alla catastrofe politica.
Eppure c’è una possibile sinistra che senza scivolare nelle scorciatoie nazionalpopuliste, riscopra le antiche radici, adattandole al mondo che cambia in continuazione. I laburisti inglesi di Jeremy Corbyn, i socialisti spagnoli di Pedro Sánchez e quelli portoghesi di Antonio Costa, la sinistra francese di Jean-Luc Mélenchon e i giovani Jusos tedeschi che guardano alla Linke, mentre negli Stati Uniti sono ricorrenti i fermenti socialisti, con Alexandria Ocasio-Cortez allieva di Bernie Sanders, costituiscono la prova che è possibile un’altra sinistra rispetto a quella subalterna al pensiero unico neoliberista e mondialista, che vuole approntare strumenti di difesa, senza eccessi protezionistici, rispetto all’offensiva globalista, che metta in valore la sovranità popolare, quale espressione della democrazia dal basso, con la solidarietà verso il lavoro nelle sue varie forme e per gli anziani e i giovani in cerca di occupazione.
Insomma, che ricordi quanto affermava Norberto Bobbio, allorquando ammoniva la sinistra a non perdere la stella polare dell’uguaglianza; l’alternativa per molti che hanno militato in quel campo sarà il ritiro negli studi e nella riflessione scientifica o nell’anomia politica anche con l’attrazione per l’esperienza “gialloverde”.
Compagno Balistreri, giusta l’analisi e importante l’invito al lavoro politico nella Sinistra democratica e di governo. Il passo finale verso i 5stelle può essere utile se inteso come ricerca e studio del fenomeno politico, nato, purtroppo, dall’assenza socialista nelle fase politica che attraversa il Paese. Ritengo però che questo movimento, seppure al governo, non sia una soluzione data la mancanza in Italia di una forte formazione di stampo socialista europeo ca pace di inserire il Paese nella battaglia globale, che deve vedere l’Europa nelle sfide mondiali.Data la necessità europea, nel confronto con le altre aree geopolitico-economico-militari, quale interprete progressista e sociale nel controllo della globalizzazione, imposta dalla galoppante tecnologia e informazione ,che hanno modificato il rapporto di produzione economico nel mondo,utilizzato invece dal neoliberis
mo a favore della concentrazione finanziaria speculativa a danno della produzione di beni reali.